Il Cavaliere ha deciso all'improvviso di staccare la spina all'esecutivo. Obiettivo: arrivare al voto in fretta e lanciarsi nella campagna elettorale. Ma non tutto il partito sembra disposto a seguirlo. E così c'è la possibilità che una parte confermi la fiducia al Professore, lasciando il Cavaliere con i fedelissimi

Al suo segnale, alla fine, il caos s'è scatenato davvero. Dalla sera alla mattina. Letteralmente: a dodici ore dall'annuncio notturno del ritorno in campo di Berlusconi, il Pdl si è sfilato dalla maggioranza.

L'ha fatto la mattina al Senato, astenendosi dal voto di fiducia sul decreto Sviluppo, e il pomeriggio alla Camera, nel voto sui costi della politica. Un passo, verso la crisi di governo che il Pdl è pronto a scatenare subito dopo l'approvazione della legge di stabilità: una presa di posizione della quale – dopo aver ricevuto le consegne dal capo - il segretario Angelino Alfano parlerà domani mattina con Giorgio Napolitano.

Tutti, a questo punto – Monti compreso - attendono le valutazioni del capo dello Stato, che si è speso nel pomeriggio per chiedere una "non convulsa conclusione della legislatura". Senza il Pdl, del resto, il governo Monti non ha la maggioranza in nessuno dei due rami del Parlamento. Tornerebbe così l'incubo dei numeri, stile 14 dicembre di due anni fa: i voti ballerini, il diabolico gruppo misto e le sue insospettate propaggini.

Conti alla mano, l'attuale esecutivo, senza Pdl, ha infatti 294 voti certi alla Camera (maggioranza è 316) e 147 al Senato (sui 158 necessari). Anche se c'è chi immagina che, dopo un passaggio al Quirinale del presidente del Consiglio – da subito auspicato con forza dal Pd - finirà come nel 2010. Senza la caduta del governo. Ma, stavolta, con Monti al posto di Berlusconi, e Berlusconi al posto di Fini. Vale a dire con il premier confermato e il Cavaliere sconfitto, stavolta.

Ma a quanto pare è un rischio che Berlusconi ha calcolato, e che corre volentieri per recuperare lo scettro dell'eroe che lotta contro il "partito delle tasse". Anche a costo di scissioni nel suo partito, i cui segnali sono molti e palpabili.

Con i voti in dissenso dei senatori Pisanu, Amato e Saro, e quelli dei deputati Franco Frattini, del liberale Giuliano Cazzola, egli ex aennini Alfredo Mantovano e Gennaro Malgieri. Ma anche con le critiche espresse sia da Giorgia Meloni ("un errore ricandidarsi"), che da Gianni Alemanno ("perplesso sulla scelta di astenersi") e le insofferenze espresse in mattinata da Guido Crosetto. Insomma, al di là della sostanziale unità di giornata, sono molti a sentirsi a disagio in questo improvviso intrupparsi sotto le volontà del Cavaliere.

Alcuni di loro – i Fitto, i Frattini, i Pisanu - sono già pronti ad accogliere l'appello carezzevole fatto da Pier Ferdinando Casini in Aula. Altri – gli ex aennini, quelli che avevano sperato in Alfano, soprattutto – per ora si sentono soffocare, ma in caso di necessità un'alternativa di destra-destra ce l'hanno nei piani da tempo.

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