Il segretario del Pd punta sulla Borsellino, questa volta in accordo con Di Pietro e Vendola. Se alle primarie vince, si rilancia l'ipotesi di un'alleanza di sinistra. Se perde, nel partito scoppierebbe una Bosnia
di Marco Damilano
23 febbraio 2012
È una tappa obbligata per i big del centrosinistra: tutti a Palermo. L'ultimo fine settimana è sbarcato il sindaco di Firenze Matteo Renzi, domenica 26 è il turno del primo cittadino di Napoli Luigi De Magistris, la settimana prossima arriverà Pier Luigi Bersani. A Roma la politica deprime, tutta in mano ai tecnici e a Bruxelles, a Palermo risorge. L'altro giorno, riuniti a Montecitorio attorno all'ex segretario della Cisl Sergio D'Antoni, palermitano doc, c'erano il massiccio senatore Mirellino Crisafulli, ex diessino, l'ex ministro delle Poste nei governi D'Alema di fine anni Novanta Totò Cardinale, che nel partito di Bersani ha piazzato la figlia come deputata, a un certo punto si è avvicinato anche l'ex ministro dell'ultimo governo Berlusconi Saverio Romano, incuriosito. Argomento obbligato: chi vince?
Già, chi vince le primarie a Palermo? La domanda tormenta i vertici nazionali del Pd, più che nei casi precedenti: la Puglia, Napoli, Cagliari, Milano, Genova. Stazioni di una via Crucis per il partito più grande. Nel capoluogo siciliano, dove si vota il 4 marzo, Bersani si gioca qualcosa di più di un sindaco. E questa volta il nemico non arriva da sinistra, dall'area di Nichi Vendola, che pure nell'isola domenica scorsa ha inflitto l'ennesimo smacco al Pd a Piana degli Albanesi, dove uno sconosciuto professore di liceo ha battuto il senatore democratico Costantino Garraffa, dal 2001 in Parlamento. Anzi, a Palermo Vendola e Antonio Di Pietro sono uniti sul nome preferito da Bersani: l'europarlamentare Rita Borsellino, 67 anni, indipendente senza tessera del partito eletta a Strasburgo nel 2009 come capolista del Pd nella circoscrizione Isole con 229 mila preferenze. Talmente indipendente che Renzi, in un'intervista all'"Unità", l'ha collocata addirittura in un altro partito, definendola "eurodeputata di Sel" e accusando il Pd di finanziare la sua campagna elettorale: "Una situazione paradossale". E chissà se si è trattato di un semplice errore, o di un lapsus (se la candidata Borsellino è in grado di vincere le primarie non può che essere vendoliana), o più probabilmente di un affondo malizioso che punta a svelare il vero peccato originale di Rita: la foto di Vasto.
La coalizione Bersani-Vendola-Di Pietro, indubitabilmente gauchista, che fu ufficializzata la scorsa estate nella simpatica cittadina abruzzese alla festa di Idv. Nei sondaggi il trio era dato saldamente sopra la coppia Pdl-Lega, ma poi è successo di tutto, è crollato Berlusconi, è arrivato il governo Mario Monti, il Pd è andato in maggioranza con il Pdl e con il Terzo polo, Idv è rimasto all'opposizione, Sel non è in Parlamento e corteggia la piazza, di quella breve stagione non sembrava essere rimasto nulla.
E invece eccola rispuntare a Palermo, nei tratti gentili della signora Rita, farmacista di professione, sorella del giudice ucciso dalla mafia esattamente il 19 luglio di vent'anni fa in via D'Amelio, amatissima dai movimenti della società civile. Accompagnata dall'ex sindaco Leoluca Orlando, protagonista all'inizio degli anni Novanta della Primavera di Palermo e oggi portavoce dell'Idv, uno schiacciasassi in campagna elettorale che era tentato di correre e poi si è ritirato: "Le grandi storie non si ripetono, solo quelle piccole ci provano".
Bersani ci spera. Perché una vittoria della Borsellino a Palermo, città amministrata negli ultimi undici anni dal centrodestra berlusconiano, rilancerebbe a livello nazionale le sue speranze di candidarsi a premier nel 2013, nel momento più difficile, quando Walter Veltroni riapre la questione della leadership. Mentre una sconfitta di Rita significherebbe il trionfo di chi chiede il cambio di cavallo anche a Roma. È il motivo per cui Renzi è sceso a fare campagna a Palermo, a fianco del suo candidato, il deputato regionale Davide Faraone. Vite parallele: entrambi classe 1975, entrambi scafati professionisti della politica nonostante la giovane età, uno democristiano, l'altro figiciotto (nel 2000 Faraone, venticinquenne, fu nominato segretario cittadino dei Ds, un anno prima Renzi era stato eletto segretario provinciale del Ppi fiorentino), entrambi decisi a bombardare il quartier generale. A Palermo si è piazzato da oltre un mese lo spin doctor di Renzi, l'ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori, e i risultati si vedono. Convention all'americana, al teatro Golden la stessa scenografia della stazione Leopolda che ospitò il raduno di Renzi, social network invasi, polemiche di fuoco. Come quella sui finanziamenti dei candidati: "Il Pd nazionale ha già versato 40 mila euro alla Borsellino", accusa Faraone. "Vogliono schedare gli immigrati che andranno a votare, roba da Soviet supremo", rincara il giorno dopo. Se il rottamatore palermitano dovesse riportare un buon risultato, o addirittura vincere, lo spread di Renzi a livello nazionale salirebbe alle stelle.
Ma quella del sindaco di Firenze, com'è nel suo stile, è una sfida a viso aperto. Mentre è molto più complicato capire chi punta sul terzo incomodo (la quarta candidata è la ginecologa Antonella Monastra): il consigliere comunale Fabrizio Ferrandelli che ha lasciato l'Idv in rotta con Orlando. Tra i suoi sponsor c'è il potente capogruppo del Pd al consiglio regionale Antonello Cracolici e il senatore Giuseppe Lumia, che nel 2008 strappò la quinta ricandidatura consecutiva al Parlamento grazie agli appelli del movimento antimafia e che non ha ricambiato la cortesia con la Borsellino. Cracolici e Lumia a Roma fanno riferimento a Massimo D'Alema, Luciano Violante, Anna Finocchiaro. A Palermo sostengono la giunta Lombardo, il governo dei tecnici versione siciliana, con il politico di lunghissimo corso Lombardo al posto del professor Monti. E si preparano a sfiduciare il segretario regionale Giuseppe Lupo, appoggiato da Bersani.
A Palermo potrebbe incrinarsi, per la prima volta, l'asse Bersani-D'Alema che governa il Pd nazionale. Anche per questo le primarie di Palermo non sono una sfida solo locale. Per questo il Pd di Bersani, quello del rottamatore Renzi e quello che parteggia per la Grande Coalizione à-la-Monti anche dopo il 2013 si danno appuntamento sotto il Monte Pellegrino. Per testare alleanze passate e future, leadership antiche e nuove, scomposizioni e ricomposizioni. Palermo è una metafora, come sempre.