Che cosa significa il linguaggio usato dai ministro del governo del professore? Che tipo di cultura esprime? L'Espresso lo ha chiesto agli esperti del settore, agli analisti della politica

L'ultima è arrivata questa notte, dal Giappone: «Il governo ha un alto consenso, i partiti no». Un messaggio forte per rintuzzare gli attacchi al suo esecutivo e alla sua riforma del lavoro, ma anche un inedito riferimento ai sondaggi e appunto al consenso, di cui fino aieri il premier diceva di non tener conto.

Solo del giorno prima l'altra dichiarazione del professore «Se il Paese non è pronto non tireremo a campare» - che a molti è suonato come un ricatto e una caduta di stile. Quasi un linguaggio da docente universitario che rimanda a casa lo studente che non è ancora preparato rinviandolo alla sessione successiva.

Insomma sembra che da Monti in giù, i tecnici abbiano fatto propria una nuova forma di comunicazione politica, con un linguaggio a volte provocatorio (lo «sfigati» del viceministro Martone ai 28enni non ancora laureati), altre un po' insolente («i giovani il posto fisso vicino a mamma e papà»), altre ancora lapidario («non siamo qui a distribuire caramelle»).

Che cosa significa questo linguaggio, che tipo di cultura esprime? L'Espresso lo ha chiesto agli esperti del settore, agli analisti della politica.

Piero Ignazi, politologo e docente di politica comparata:
«Non mi stupisce che ci siano sbavature in questo governo dei professori, nessuno è perfetto. In secondo luogo ci sono elementi di naïveté, non sono sempre consapevoli che ogni loro parola, ogni loro gesto è sotto gli occhi dell’opinione pubblica. Alcune espressioni sono inaccettabili, come quella di Martone, contraddistinte da una volgarità nello stile e nel contenuto, altre, per quanto non adatte nello stile, possono essere condivisibili. L’ultima di Monti è la più politica e la più inopportuna. Ha posto come se fosse una condizione assoluta il fatto che il progetto presentato dal governo non sia stato in toto approvato. Un braccio di ferro che non tiene conto del fatto che invece questo governo è frutto di un consensus e dovrebbe andare verso una mediazione continua. Inoltre è ancora peggio che l’abbia fatto su questo tema e non su altri progetti devastati dalle lobby, Sorge un interrogativo sulla curvatura politica che vorrebbe prendere questo governo».

Edoardo Novelli docente di Comunicazione politica all'Università di Roma Tre:

«Questa nuova classe di governo non aveva e non ha la scaltrezza e l'esperienza del mondo dell'informazione che sono state proprie del governo precedente. Non ha alcuna cultura della comunicazione anche se, per non apparire il governo dei burocrati non legittimato dal voto popolare, ha dovuto ricorrere all'utilizzo dei salotti tv: ricordiamo Monti a Porta a Porta dopo qualche giorno di governo ad esempio. Molte delle ‘cadute di stile’ sono state dovute proprio ad ingenuità piuttosto che a una precisa scelta di stile comunicativo. Solo la frase di Martone sembra più consapevole e  ricorda molto da vicino lo stile di Brunetta nella sua intenzione di procedere per strappi. Oggi sembra consolidata da parte del governo questa modalità di comunicazione ‘cattedra-aula’-‘professore - allievo’: uno stile molto unilaterale senza dialogo diretto con l'opinione pubblica. In questo senso lo stile del governo attuale rappresenta l'esatto opposto del populismo comunicativo berlusconiano, mirava proprio a stabilire un dialogo diretto fra politico ed elettore».

Giovanna Cosenza, docente di Filosofia e teoria dei linguaggi all'Università di Bologna, autrice del volume 'Spot Politik':
«Gli errori più pacchiani sono quelli sul posto fisso. Chiaro che sono frasi tranciate dal contesto, ma è normale lo siano. Dire 'è colpa dei media' non vale. Errare è umano ma perseverare è diabolico, e il diabolico è avvenuto ai primi di febbraio dopo la storia del posto fisso 'monotono', con la Fornero che rincara ('il posto fisso per tutti è un'illusione') e la Cancellieri accodatasi con la frase sul posto 'vicino a mamma e papà'. Quello fu un momento di particolare densità e quindi di particolare fallacia: può capitare una frase sbagliata, ma quando gli altri rincarano la dose c'è un tema di non comprensione dei nervi scoperti in un certo momento in una realtà sociale. Cosa esprime tutto ciò? Una certa difficoltà a capire quali sono gli umori del momento storico in cui uno decide di fare una dichiarazione piuttosto che un'altra. E uno snobismo elitario - del resto, loro rappresentano un'elite accademica e finanziaria - coerente con tutte le varie uscite. Anche con l'ultima: 'Il Paese non è pronto' vuol dire: 'noi siamo a un altro livello'. Capisco che abbiano studiato e sappiano quel che fanno, ma non puoi porti così, dalla cattedra. Monti? Ricorda Andreotti, ma anche Berlinguer e Craxi. La comunicazione di questo governo è un po' Prima Repubblica: un linguaggio, più alto, rispetto a quello della Seconda, che parla alla pancia. Non è politichese, come nella Prima Repubblica. Ma è un linguaggio più stratificato, che ha diversi livelli di lettura. In realtà parlano a suocera perché nuora intenda. Ma a Monti con la frase di Seul («se il Paese non è pronto non ireremo a campare») è sfuggito il livello della nuora. Distinguerei invece l'uscita di Martone: quella è classica Spot Politik.»

Gianfranco Pasquino, ordinario di Scienza Politica dell'Università di Bologna, due volte senatore della Repubblica per Sinistra Indipendente e per i Progressisti:
« I tecnici sono politicamente molto più ingenui e personalmente meno ipocriti. Certo sarebbe preferibile se facessero più attenzione ad alcune frasi, ma tutto sommato qualche lezione di verità credo sia utile. Penso per esempio che se si chiedesse a un ragazzo che ha il posto fisso in una catena di montaggio risponderebbe che è monotono, così come credo che un giovane che non si è ancora laureato a ventotto anni possa in parte ritenersi sfigato».

Nicola Piepoli, Istituto Piepoli:
«Queste uscite ci dicono che è un governo di intellettuali autoironici. È un branco di autoironici. Ce ne fossero, in giro. È come se fossero colleghi di università, e si rivolgessero a dei colleghi della Bocconi. Siccome io sono quasi un bocconiano, quel linguaggio mi è familiare. E la politica vi si dovrebbe adeguare. Dovremmo diventare tutti bocconiani. O simili. Queste sono persone che invece di frequentare i sindacati frequentano mense universitarie: così si parla alla mensa universitaria della Bocconi. Certo, sul lavoro è stato usato un linguaggio un po' sfottente. Ma le caratteristiche della comunicazione bocconiana sono quelle di un intellettualismo autoironico. Fa parte del pensiero dei bocconiani la distanza dalla politica. Pensano di essere gente superiore. E lasciamoli pensare! Se la gente pensa che sono esseri superiori, significa che lo sono. E in questo momento la gente lo pensa, perché Monti ha il 60% di fiducia, e non il 44% come dicono Mannheimer e SWG. Ha perso al massimo un paio di punti, non 15. Sono dati diversi, che seguono metriche diverse, internazionali. Noi usiamo le stesse che si usano in Francia e in America per calcolare la fiducia di Sarkozy e Obama. E sulla comunicazione Monti non chiede consigli a nessuno, è tutta farina del suo sacco. Allo stesso modo, gli altri ministri sono tutti molto autosufficienti da questo punto di vista.»

Giuseppe De Rita, sociologo e presidente del Censis:
«Tutti siamo impreparati quando entriamo nel grande mare di comunicazione. Gli esponenti del governo Monti, fino a poco tempo fa, non avevano questo problema di comunicare, non ne avevano né il gusto né la tecnicalità. Quindi in primis un’impreparazione tecnica, poi direi un’impreparazione psicologica. Sono persone che sono altro da noi. Quando uno è altro da noi è facile che ci sia una scivolata non solo di lingua. Si può passare dall’alterità all’alterigia. Alcuni, non tutti, non sono solo altri, sono anche alteri».

Dino Amenduni, Responsabile nuovi media e consulente per la comunicazione politica di Proforma:
«Il governo Monti ha sempre dato la sensazione di avere perfettamente il polso dell'opinione pubblica e di essere un 'governo dei sondaggi' molto più consapevole dell'importanza dei numeri, dei dati, degli orientamenti rispetto all'ultimo governo Berlusconi il quale, in molte circostanze, ha fatto il contrario di ciò che la maggioranza degli italiani chiedeva. Anche l'aumento della tensione comunicativa di queste settimane sembra essere in linea con i dati di fiducia e popolarità del governo Monti. La divaricazione tra la fiducia nei partiti (compresa tra il 4 e l'8% secondo tutte le stime) e quella in Mario Monti (al 60% prima dell'annuncio della riforma del mercato del lavoro) ha indotto il governo ad adottare una comunicazione sempre più 'anti-sistema'. Monti e Fornero, in particolare, sono consapevoli che chiunque si fosse assunto la responsabilità di far cadere il governo avrebbe un tracollo immediato in termini di consenso. Essendo sotto elezioni amministrative, nessun partito può correre questo rischio e dunque si è deciso di alzare la posta. Molte delle espressioni utilizzate da esponenti del governo hanno inoltre la caratteristica di essere fortemente polarizzanti (gli 'sfigati' di Martone, la 'pasta al pomodoro' di Fornero; in generale la discussione sull'Articolo 18 o quella sulle liberalizzazioni) e questo ha portato a un'ulteriore approvazione popolare nei confronti di un governo che, come ricordava Ezio Mauro oggi, è apprezzato perché comunica 'il disinteresse personale e la capacità di decidere.' Lo scenario però è profondamente cambiato negli ultimi giorni. La fiducia nel Governo Monti è scesa dal 60 al 44% dopo l'annuncio delle misure contenute nella riforma del mercato del lavoro. Monti, per la prima volta, non ha la fiducia della maggioranza assoluta degli italiani. Per questo motivo la frase 'se il Paese non è pronto, potrei lasciare' potrebbe risultare molto meno efficace delle altre. E il Governo Monti non deve sottovalutare il rovescio della medaglia: se per assurdo cadesse domani, sarebbe ricordato sì per l'abbassamento dello spread (comunque ai livelli di agosto 2011, dunque assai lontano dai 37 punti con cui Prodi lasciò la Presidenza del Consiglio), ma soprattutto per la riforma delle pensioni, per l'aumento delle addizionali Irpef, per l'aumento dell'Iva e per la totale assenza delle cosiddette 'misure per la crescita'.

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