La Grecia è andata al voto per eleggere un nuovo parlamento che, almeno nelle speranze di molti politici e burocrati a Bruxelles e a Francoforte, avrebbe dovuto confermare la linea seguita dall'esecutivo tecnico di Lucas Papademos.
Quel governo, sostenuto da una grande coalizione includente Pasok (Partito Socialdemocratico) e Nuova Democrazia (Partito di destra liberista) nasceva dalla necessità di rispondere ad un principale compito politico: ratificare le misure di austerità imposte dalla Trojka (UE-BCE-FMI) e dunque proseguire nell'opera di risanamento (o presunto tale) iniziata dal precedente governo del socialdemocratico Papandreou e resa sempre più difficile dalla progressiva frammentazione del sistema partitico e parlamentare greco.
Che il processo democratico potesse rappresentare un potenziale pericolo per il lineare svolgimento e adempimento delle intenzioni della Trojka, tuttavia, era stato ampiamente preventivato da molte parti.
In primo luogo, si è potuta notare una progressiva apprensione da parte di molti attori di rilievo a livello continentale nei confronti delle consultazioni elettorali (siano queste elezioni vere e proprie, o referendum sulle politiche di austerità).
In secondo luogo, la diffusione di sondaggi e previsioni sui risultati delle elezioni è stata regolarmente accompagnata da rumoreggi e smottamenti dei mercati internazionali: per il caso greco, ma anche per quello francese, i mercati hanno voluto commentare la campagna elettorale sottolineando in modo palese come le preferenze degli elettori non coincidessero affatto con le loro priorità e interessi.
Infine, e forse a coronamento di questi due processi paralleli, l'intero sistema di salvataggio della Grecia si basa sul controllo 'rafforzato' di FMI, UE e BCE sulle decisioni prese dal parlamento di Atene e, dunque, sulle decisione prese dagli elettori greci.
Per usare le parole di Wolfgang Schaeuble, ministro tedesco delle finanze, e cioè le parole della personalità politica che incarna al meglio l'immagine e il simbolo della pressione europea sulla politica e sulla società greca, «se gli elettori greci decideranno di votare per una maggioranza che non volesse ottemperare agli impegni presi, la Grecia ne pagherà le conseguenze».
Ebbene, 6.438.966 di greci (su 9.896.789) sono andati a votare per il rinnovo del parlamento di Atene. Un impressionante tasso di astensione (34,94 per cento) ha accompagnato la sconfitta dei partiti che hanno caratterizzato gli ultimi vent'anni della storia politica di quei paesi, indicando il possibile inizio di un'epoca radicalmente nuova nel sistema politico greco.
Non solo, il messaggio politico che è stato inviato attraverso le urne è chiaro: i Greci hanno votato per un cambiamento radicale, contro la Trojka, contro i grandi partiti di centrodestra e centrosinistra, e contro le misure di austerità.
La Grecia è il terzo paese PIIGS dopo l'Irlanda e la Spagna che vota nel contesto della crisi finanziaria.
Il terzo paese che offre una risposta politico-elettorale al progressivo aumento della disoccupazione, in particolare di quella giovanile, all'aumento della tassazione diretta e di quella indiretta, al taglio dei salari e allo sfaldamento sociale.
Come in Irlanda e in Spagna, anche in Grecia i partiti che hanno appoggiato, promosso e implementato le misure di austerità (e più in generale le linee di politica economica suggerite dalle istituzioni finanziarie internazionali) sono stati fortemente puniti dai loro elettori.
Le dinamiche elettorali nel tempo della crisi sembrano, dunque, seguire una linea comune in Spagna, Grecia e Irlanda.
I tratti di somiglianza del sisma elettorale che ha colpito i sistemi partitici e politici dei tre paesi, sono due in particolare: la perdita di consenso dei principali partiti di centro e di governo, e l'aumento di consensi per partiti e movimenti collocati all'estremità del sistema politico, e cioè per quelle realtà che in passato erano state marginali (o marginalizzate), sia destra sia a sinistra.
Concentriamoci per iniziare sulla perdita di consenso dei principali partiti di governo.
In Grecia come in Irlanda e in Spagna, i grandi partiti socialdemocratici e della destra liberale, che erano stati al potere a partire dall'esplosione della crisi finanziaria nel 2008, sono usciti a pezzi dalle elezioni.
Gli elettori ne hanno punito non solo l'incapacità politica nel fronteggiare la crisi, ma anche e soprattutto la loro inadeguatezza come rappresentanti degli interessi della comunità di fronte al progressivo smantellamento del benessere nazionale in nome di una austerità decisa altrove, voluta altrove e, spesso, percepita come necessaria altrove molto più che in patria.
In questo senso, Paul Krugman sul New York Times parla di Europei "in rivolta" contro le misure di austerità, contro provvedimenti che si sono dimostrati non solo impopolari e dannosi per la tenuta politica dei PIIGS, ma anche inefficienti e involutivi.
È il caso di Portogallo e Irlanda, i cosiddetti "good students" della Trojka, che sono gli unici paesi ad aver applicato per intero e quasi senza obiezioni le misure di austerità, seguendo appieno il diktat della Trojka per poi ritrovarsi, al pari di Grecia, Italia e Spagna, paralizzati dalla stagnazione.
E gli elettori europei, contraddicendo il disperato appello ad una non meglio definita "responsabilità" e ad un molto sopravvalutato "rigore" proveniente da Berlino, Bruxelles e da alcuni mesi anche da Roma, hanno deciso di sanzionare le rappresentanze che si sono rese responsabili, e a volte anche complici, di un tale drammatico errore di calcolo.
Così, le elezioni irlandesi del 2011 hanno visto un cambiamento di direzione radicale rispetto a quelle del 2007, con il Fianna Fàil (Partito Repubblicano) che si è ritrovato mutilato di quasi un quarto delle proprie preferenze (meno 24,2% dei voti).
La più grande flessione di consenso nella storia quasi centenaria del partito.
Un destino analogamente avverso ha travolto il Partito Socialista dell'ormai ex Primo Ministro spagnolo José Luis Zapatero, che alle ultime elezioni (novembre 2011) ha perso oltre il 15% rispetto al risultato ottenuto alle elezioni precedenti (ottenendo così il peggior risultato degli ultimi 30 anni per lo PSOE).
Stessa sorte è toccata ieri al socialdemocratici greci del Pasok, che rispetto alle elezioni del 2009 hanno perso quasi il 31% dei consensi, cifre che sembrerebbero assurde per un paese occidentale, e che invece non rappresentano altro che la materializzazione elettorale del crudo svilupparsi della crisi finanziaria, economica, sociale e politica del paese.
Se i partiti di governo sono stati sistematicamente travolti da un'onda di delegittimazione, lo stesso non è avvenuto per gli altri grandi partiti di opposizione.
Al contrario gli elettori dei PIIGS sembrano voler premiare quei partiti che si sono potuti nascondere dietro la libertà di movimento che viene garantito dal sedere sugli scranni dell'opposizione, indipendentemente dal loro colore politico.
E' il caso dell'irlandese Fine Gael (Partito Democratico-Cristiano) che ha aumentato i suoi consensi dell'8,8% e del Ruairi Quinn (Partito Laburista) che ha conquistato il 9,9% di consensi in più rispetto al 2007, diventando così la seconda forza politica del paese.
In Spagna a beneficiare del ruolo di opposizione è stato il Partido Popular di Rajoy che è cresciuto di quasi cinque punti percentuali in appena tre anni, garantendosi così la maggioranza relativa, ma anche Sinistra Unita che ha aumentato i suoi consensi del 3,15% rispetto alle precedenti elezioni.
Da questo punto di vista, lo scenario greco è diverso, dal momento che il principale partito di opposizione (la Nuova Democrazia, centrodestra) ha contribuito attivamente a sostenere il governo tecnico di coalizione filo-Trojka nato a inizio 2011.
Pur rimanendo il primo partito del paese con il 18,8% dei voti, la perdita di consensi per Nuova Democrazia è stata verticale: rispetto alle elezioni del 2009, Nuova Democrazia perde nel 2012 il 14,6% dei voti.
A fare da contrappeso c'è Syriza, la sinistra radicale che da sempre si oppone alle misure di austerità, e che ieri ha ottenuto il suo miglior punteggio di sempre, raccogliendo il 16,7% dei consensi rispetto al 4,6% delle precedenti elezioni. Syriza diventa così, da ieri, la seconda forza politica della Grecia.
La cruda realtà dietro questi numeri sembra indicare come in un contesto di crisi e di recessione, gli elettori tendono a punire i partiti che si fanno promotori di misure economiche restrittive, indipendentemente dal loro colore politico.
Le elezioni, così come temuto dalle euroburocrazie di Bruxelles e Francoforte, materializzano il malcontento popolare e ridefiniscono i rapporti di forza in parlamento in favore dei movimenti e dei partiti che si oppongono all'implementazione delle misure di austerità riconoscendone gli impatti drammatici sul benessere e sulla tenuta sociale dei paesi.
E la lezione greca ci suggerisce che la medesima dinamica può presentarsi anche in paesi che si considerano almeno relativamente estranei alla crisi finanziaria stricto sensu. È quello che ha avuto luogo ieri in Francia, dove l'alternanza Sarkozy-Hollande, qualora fosse confermata dalle elezioni legislative del giugno prossimo, potrebbe rimettere in discussione l'asse Merkozy in Europa.
Veniamo ora al secondo elemento che accomuna le elezioni "della crisi": la crescita di consensi per i piccoli partiti situati alle estremità del sistema politico.
Un fenomeno forse meno visibile in Irlanda - dove il piccolo partito in timida crescita è il Partito Socialista (+ 0,56%) - ma centrale in Spagna e soprattutto in Grecia.
In Spagna infatti, oltre alla citata coalizione delle sinistre, il partito Unione Progresso e Democrazia aumenta i suoi consensi del 3,5% tra le due elezioni (2008-2011), e allo stesso modo crescono i liberal democratici di Convergenza e Unione (+ 1,14%).
Tuttavia, il caso più eclatante è ancora una volta quello greco. Il Partito apertamente neo-nazista (Alba Dorata) aumenta in modo esponenziale i propri consensi e con il 6,7% (fino a ieri, Alba Dorata navigava su un livello di consensi intorno al punto percentuale) ottiene per la prima volta l'ingresso in Parlamento con 21 seggi su 300.
Alba Dorata non è solo un partito di estrema destra, ma è un partito che si dichiara apertamente neo-nazista, con una sub-cultura neo-pagana, e che nel suo programma elettorale propone l'apertura di campi di lavoro forzati per gli immigrati.
E' lo stesso leader di Alba Dorata, Nikos Michaloliakos, che ieri ha obbligato i giornalisti riuniti per una conferenza stampa ad alzarsi in piedi durante la sua dichiarazione, e che davanti alla troupe della RAI si è rifiutato di parlare in inglese per marcare il proprio senso di appartenenza etnica.
Il successo di Alba Dorata segue di appena poche settimane quello ben più inaspettato di Marine Le Pen e del Front National al primo turno delle presidenziali francesi.
Un Front National che sebbene sia ormai diventato un elemento stabile del sistema politico d'oltralpe, non aveva mai registrato un tale livello di consensi.
E questo indica che anche quelle risposte che fino a poco tempo fa non erano considerate accettabili da ampi settori della popolazione perfino di fronte alla catastrofe economico-politica che rappresenta l'austerità, sembrano riguadagnare credibilità e accettabilità davanti alla testarda ostinazione per il rigore da parte dei partiti di governo e delle burocrazie europee.
In questo contesto internazionale, tra circa un anno anche l'Italia sarà costretta dall'inesorabile conclusione della legislatura, ad andare alle elezioni.
E malgrado ci si continui a definire, almeno nella narrazione istituzionale, come "diversi" dagli altri paesi PIGS, le elezioni potrebbero metterci davanti ad una realtà in tutto affine a quella che si è materializzata in Grecia, Irlanda e Spagna.
Anche l'Italia è parte integrante della crisi finanziaria mondiale, anche il nostro tessuto sociale va dissolvendosi, e anche i nostri partiti non riescono a risolvere il puzzle della credibilità.
Il Partito Democratico e il Popolo della Libertà condividono la responsabilità (nell'accezione di "atteggiamento responsabile") di sostenere il governo tecnico del "rigore" Merkeliano, ma al contempo si rimbalzano la responsabilità (nel senso di "colpa") delle misure di austerità da quello stesso governo pensate, sviluppate e approvate.
Al contempo, i piccoli partiti della destra e della sinistra radicale non sembrano sufficientemente attrezzati per catalizzare il dissenso sociale montante, e lo scandalo che ha travolto la Lega Nord potrebbe aver messo in fuori gioco un attore-chiave per la ristrutturazione del sistema politico italiano.
Al contempo, invece, i nuovi attori che sono emersi nella fase finale della parabola berlusconiana sembrano poter incarnare - quantomeno sotto il profilo elettorale - quella "alternativa" che gli elettori al tempo della crisi si ritrovano a dover cercare nella destra neo-nazista di Alba Dorata, nelle sinistre anti-austerità come Syriza in Grecia, o nella pseudopolitica strategica del Movimento 5 Stelle in Italia.
Mentre scriviamo, scorrono su Repubblica.it le proiezioni delle amministrative di Genova, Palermo, Parma, Verona. Il centrosinistra non passa al primo turno in nessuna delle quattro città, il centrodestra sparisce o quasi dal panorama politico, e sfondano i Grillini e gli altri candidati di alternativa ai grandi partiti di governo. Elezioni al tempo della crisi, anche in Italia.
*si ringrazia il dott. Markos Vogiatzoglou dello European University Institute per la consulenza e l'aiuto per il caso greco