

Ha fiutato il pericolo: «Abbiamo cominciato la campagna con il piede sbagliato. Sento gente che dice "abbiamo già vinto". Si scherza col fuoco». Ora si è finito di scherzare con primarie, giaguari da smacchiare, giovani turchi, trecento spartani e altri giochini, Bersani si è bruciato, lui no. Capotavola, si diceva un tempo, è dove siede lui. Solo che questa volta una sedia non ce l'ha.


Nel 2002 in piazza San Giovanni era lui l'artista barbuto che guidava la rivolta della società civile, buttava i leader giù dal palco scatenando reazioni furibonde: antipolitica! Dieci anni dopo al suo posto si è ritrovato Grillo, mentre Nanni si esponeva per Bersani. Invano: con questi dirigenti si poteva, al massimo, pareggiare.


L'incubo di tutte le signore di bella età: convivere con un marito improvvisamente impazzito. Uno che rumoreggia al telefono in San Pietro, fa il simpaticone dopo decenni di noia, si lancia in tv a bere birre con la conduttrice, adotta un cane e ti lascia a comprare la ciotola. Lei ha tollerato, con eleganza. In attesa di dire: Mario, ora basta, torna a casa.


Assieme a Andrea Riccardi e a Federico Toniato, la portavoce del governo è stata la più influente regista della salita in politica di Monti. Accanto a lui a twittare faccette e punti esclamativi, la regista della campagna comunicativa del premier. Altro che guru americani, la spin di SuperMario è stata lei. Operazione empatia: riprova, sarai più fortunata.


Finalmente ha vinto! Si è molto ironizzato sui marxisti per Tabacci, gruppo facebook organizzato per le primarie. Ma se Bersani può contare sulla maggioranza alla Camera è merito del suo minuscolo Centro democratico: 167 mila voti, lo 0,5, la distanza esatta con il Pdl-Lega. Legge dell'utilità marginale: il massimo risultato con il minimo numero.


Le due mine vaganti, a destra e a sinistra, sono esplose in mano ai loro leader. L'ex pm pronto a riprendere la toga non si è mai ripreso dall'imitazione di Crozza. A liquidare il giornalista bi-laureato (per finta) ci ha pensato il mago Zurlì in persona: «Non ha mai partecipato allo Zecchino d'Oro». Oscar, però, non si è perso d'animo: «Ho fatto le selezioni».


Ha azzeccato la previsione: vincerà la realtà sull'iper-realtà, il corpo sudato di Grillo sulla plastica di Berlusconi. Nel suo saggio sulla televisione ha scritto che, nella conquista dell'audience e dell'elettorato, il futuro sarà della moltitudine: parola chiave del lessico grillesco, unisce collettivo e individuo. Da Hobbes e Spinoza a Toni Negri e Casaleggio, l'immaginazione al potere.


Ha toppato la previsione: in una campagna elettorale dominata dalla competition tra i sondaggisti, il vecchio leone a urne chiuse con i suoi instant poll sulla Rai ha scatenato il tweet praecox. Tutti i dirigenti del Pd a esultare per il trionfo, fino al terrificante cambio di scena epocale. La vittoria è un instant fuggente.


Nel salotto domenicale di Raiuno, vero laboratorio dell'anti-politica (l'arena di "Domenica In" sta a Grillo come il mezziogiorno di Funari a Di Pietro negli anni di Tangentopoli), alla vigilia di Natale, il giornalista-presentatore si trasforma in un domatore e mette a sedere la belva di Arcore: «Qui non siamo dalla D'Urso». Urlo di liberazione.


La puntata del 10 gennaio di "Servizio Pubblico"con lo show di Berlusconi che spolvera la sedia di Travaglio è stato il punto di svolta della campagna del Cavaliere, la dimostrazione che la rimonta era possibile. Ma anche il momento finale della Seconda Republica televisiva: con i due nemici sorpresi ad accapigliarsi mentre arrivava lo tsunami.


Si tira fuori dall'operazione Monti dopo il vertice al convento delle suore di Sion in cui resta isolato. Casini, Fini, Riccardi e il premier, "Mario", bocciano la sua proposta di lista unica alla Camera e al Senato. Ora quella sconfitta è una vittoria: i suoi avversari non ci sono più, il ministro dello Sviluppo è rimasto con le mani libere. E vorrà usarle.


Si è tirato fuori anche lui, come candidato, la sua Italia Futura ha prodotto qualche deputato, pochino. Nel 2007, da presidente di Confindustria, fu il primo ad agitare l'anti-politica dall'alto: «La politica costa 4 miliardi l'anno: duplicazione di strutture, prebende a spese della collettività». Poi è arrivata l'antipolitica dal basso: e l'ha spettinato.


La berlusconiana Biancofiore ha scritto un'autobiografia ("Il cuore oltre gli ostacoli. Nel sogno di Silvio"), manco fosse la Thatcher. Le amazzoni del Pdl si preparano a una legislatura di anonimato dopo anni di gloria mediatica. Tutte o quasi, tranne la divina Mara. I padrini di un tempo sono spariti, a 37 anni è una veterana: in riserva.


Fecero amicizia quando una delle due fu operata e l'altra la assistette. Poi solo fuoco e fiamme, come si addice a caratteri passionali. Le due Paole, la Binetti dell'Opus Dei e la gay Concia, resteranno fuori dal nuovo Parlamento. Diritti contro clericalismo, è stato il vero bipolarismo in questi anni. Ma senza di loro si rischia una legislatura eticamente insensibile.


Il mellifluo, levantino presidente della regione Campania è uno dei vincitori del 24-25 febbraio. Si è sbarazzato del rivale interno Nicola Cosentino, ottenendo la sua esclusione dalle liste. E ha trascinato il Pdl campano alla conquista del prezioso premio al Senato in regione. Il "fighetto" è uno degli uomini forti del dopo-B.


Tutti d'accordo: lo scandalo Monte dei Paschi è stato il vero momento di decollo per 5 Stelle. Cordate politiche (la fondazione di nomina Pd), accordi trasversali (con Denis Verdini), fondi all'estero, derivati, vigilanza bancaria aggirata o incerta, preti, massoni e fantini: il menu migliore per il Grillo furioso anti-partiti e anti-banche. E ora, a urne chiuse, l'inchiesta promette nuovi dolori.


La sporca coppia del 14 dicembre (2010), i diepietristi berlusconizzati che salvarono il Cavaliere mollando Tonino, rientrano nel Parlamento più anti-Casta di tutti i tempi, sopravvissuti a tutti i cambi di regime. Meglio così, forse: tra tutti quegli esordienti, giovani, donne, grillini, finalmente due volti noti. Inconfondibili.


L'eroe del 14 dicembre (2010), il delfino di Almirante e poi di Berlusconi che si è ribellato al destino dell'eterno secondo accelerando la caduta di B., non viene eletto e conduce il suo drappello di coraggiosi alla scomparsa. Come canta De Gregori nel "Cuoco di Salò": «Qui si fa l'Italia e si muore, dalla parte sbagliata si muore». E peccato che, almeno questa volta, fosse la parte giusta.


Convitati di pietra/1. Sindaco di Roma, super-ministro, segretario del Pd. Lo candidano a tutto, lui si è dileguato, con il fair play che tutti gli riconoscono. Non era d'accordo con la scelta di Monti di candidarsi, ma era il suo premier e non lo ha mai attaccato. Non ha condiviso la timidezza del Pd, ma si è tenuto lontano dagli scontri di corrente. Per entrare in campo dovrà spostare molte macerie.


Convitati di pietra/2. Ha fatto bene il sindaco di Firenze ad aiutare Bersani? E ora deve candidarsi alla successione? Tira una strana aria attorno al Bimbaccio: due mesi fa nel Pd lo trattavano da berlusconiano mascherato, ora tutti lo invocano come salvatore della patria. E se fosse tardi anche per lui?