C'è chi, come i cittadini svizzeri, la scorsa settimana ha deciso con un referendum di mettere per legge un tetto agli stipendi e di vietare liquidazioni e paracadute milionari per i dirigenti delle società quotate in borsa.
E poi c'è chi, come i cittadini italiani, rischia di veder evaporare una ben più magra prospettiva: ottenere la restituzione dei ricchi bonus percepiti dai manager delle società a controllo pubblico anche quando, secondo la Corte dei Conti, quei soldi sono stati erogati indebitamente.
La beffa potrebbe consumarsi già tra qualche mese, quando le Sezioni Unite della Cassazione saranno chiamate ad esprimersi sul "regolamento di giurisdizione" chiesto dall'ingegner Elio Catania, ex presidente dell'ATM di Milano revocato dal sindaco Pisapia nel 2011, ma soprattutto criticatissimo ex amministratore delegato e presidente di Ferrovie dello Stato dal 2004 al 2006.
L'ingegner Catania, attuale vice-presidente vicario di Alitalia-CAI, tra i "traghettatori" della cagionevole compagnia di bandiera dopo l'addio dell'amministratore delegato Andrea Raghetti, è stato citato dalla magistratura contabile del Lazio per aver beneficiato di un bonus entry milionario quando era alla guida della società che gestisce la rete ferroviaria italiana.
Tre milioni e 480 mila di euro: questa la cifra che il consiglio di amministrazione di FS deliberò come risarcimento per il manager costretto a dimettersi dall'incarico dirigenziale precedentemente ricoperto alla IBM. Un contributo straordinario, in aggiunta a uno stipendio annuale di un milione e settecentomila euro totali, la cui entità fu decisa da un apposito "compensation committee" in accordo con lo stesso Catania, che di quel cda era presidente e amministratore delegato.
Il riconoscimento della "buonentrata", secondo le memorie presentate dai protagonisti citati in giudizio, sarebbe in linea con una prassi adottata in tutte le principali aziende partecipate dallo Stato nei confronti dei top manager provenienti dal settore privato. Mentre per la procura regionale del Lazio non esiste nemmeno la prova che l'azionista unico della spa Ferrovie dello Stato, il Ministero dell'Economia, sia stato all'epoca informato della delibera, né che l'abbia autorizzata.
Per questo, secondo il procuratore contabile Lucio Alberti, l'ingegner Catania deve restituire a Ferrovie dello Stato il bonus percepito, che non fa parte della strepitosa ma legittima buonuscita da sei milioni e settecentomila euro ricevuta al momento delle dimissioni pretese dall'allora ministro dell'economia Tommaso Padoa Schioppa.
La prima udienza del procedimento, prevista per lo scorso 14 febbraio, è però subito saltata e il collegio ha sospeso immediatamente il giudizio. Perché i legali dell'ingegner Catania hanno sollevato una questione di competenza davanti alla Corte di Cassazione, ritenendo che il potere di controllo sull'operato del manager di Ferrovie dello Stato non spetti alla Corte dei Conti.
Le Sezioni Civili Unite della Suprema Corte, dopo molti anni di consolidata giurisprudenza di segno opposto, recentemente hanno già sfilato alla Corte dei Conti il potere di giudizio sui manager e dipendenti di alcuni importanti enti pubblici economici finiti nel mirino: da Enel a Poste Italiane all'Ama, l'azienda municipalizzata per la raccolta dei rifiuti controllata dal Comune di Roma.
Secondo la Cassazione infatti le società "esercenti pubblici servizi" trasformate in s.p.a., anche quelle il cui capitale sia in maggioranza o totalmente in mano pubblica, possono non ricadere sotto la giurisdizione della magistratura contabile. Avendo assunto una veste giuridica privatistica, hanno ritenuto i giudici, non è possibile contestare ai loro dirigenti una responsabilità di tipo erariale.
L'ultimo stop eclatante risale a poche settimane fa e ha riguardato l'azione intrapresa dalla magistratura contabile per la vicenda Ama Senegal, la disastrosa avventura affrontata nel 2001 dall'azienda municipalizzata di Roma per lo smaltimento dei rifiuti urbani in Africa. Nonostante il danno erariale stimato in 11 milioni di euro dalla procura, il procedimento si è bloccato ed è a forte rischio, perché i funzionari Ama chiamati in causa hanno puntualmente fatto appello alla Cassazione chiedendo "regolamento di giurisdizione".
Se il nuovo orientamento, inaugurato a partire dal 2009, sarà confermato anche nel caso dell'ex amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, l'ingegnere Elio Catania potrebbe essere chiamato a restituire i 3 milioni e 480 mila euro soltanto in caso di azione promossa davanti al giudice civile dal Ministero dell'Economia, dall'attuale management o da quello passato (cioè dagli stessi consiglieri di amministrazione che gli hanno riconosciuto il bonus).
Insomma il processo rischia di evaporare e di non ricominciare mai più di fronte ad altro giudice. Invece, come spiega il presidente della sezione Lazio della Corte dei Conti Ivan De Musso, "la procura contabile può iniziare di sua iniziativa l'azione di tutela dell'erario". Anche i tempi di giudizio sarebbero assai più brevi rispetto a quelli della giustizia civile, visto che per arrivare a una sentenza definitiva potrebbero bastare tra i tre e i quattro anni.
"Nel caso di un danno causato a società partecipate al cento per cento dallo Stato, non mi pare logico che la giurisdizione non venga attribuita alla magistratura contabile", afferma De Musso che nella sua relazione per l'apertura dell'anno giudiziario ha chiesto un intervento legislativo che vada nel senso di "una più completa tutela della regolare gestione delle finanze pubbliche". Il paradosso, fa notare un procuratore della Corte dei Conti del Lazio, è che la magistratura contabile ha invece piena giurisdizione sul privato cittadino che riceve in gestione e amministra soldi pubblici, per esempio il piccolo imprenditore che ottiene dei fondi comunitari.
Il rischio, in assenza della Corte dei Conti, è che venga a mancare totalmente una procura che tuteli gli interessi collettivi e un soggetto che abbia il potere di perseguire gli illeciti amministrativi commessi dagli amministratori di enti pubblici economici. Paradossalmente, proprio ora che il tema della spesa pubblica è balzato con prepotenza all’ordine del giorno e la materia è entrata in tutti i dibattiti politici.
Il tutto, mentre all'orizzonte si profila la possibile citazione a carico di 17 tra amministratori delegati, presidenti, consiglieri e dirigenti di Alitalia in carica nel periodo 2001-2007. Una fascia temporale durante la quale la compagnia di bandiera è sempre stata una società per azioni partecipata a maggioranza dal Ministero del Tesoro. I manager, compresi gli ex amministratori delegati Francesco Mengozzi e Giancarlo Cimoli, potrebbero essere chiamati dalla procura contabile laziale a risarcire circa 3 miliardi di euro di danno erariale per le scelte sbagliate e le "operazioni abnormi sotto il profilo economico e gestionale" che portarono al fallimento di Alitalia.
Sempre che, anche in questo caso, l'eventuale azione di responsabilità della Corte dei Conti non vada ad infrangersi contro le Sezioni Unite della Cassazione. Con buona pace dei contribuenti italiani.