«La politica è una cosa seria, ce l'ha spiegato Aristotele». Stefano Bruno Galli, politologo, docente di storia delle dottrine politiche all'Università statale di Milano, scuote il capo. E ricorda con rammarico le vecchie scuole di partito, quelle che trasmettevano una competenza, selezionavano gli elementi migliori e insegnavano loro cosa fosse il bene pubblico. «In un momento di crisi come questo avremmo bisogno di una classe politica di professionisti competenti e capaci. Lo confesso: sono un po' perplesso».
La democrazia 3.0 di Beppe Grillo è una democrazia dai mille punti interrogativi. Perché «diciamo la verità: la storia della rete va bene, ma non tutti hanno Internet». Barba, capelli arruffati, accento romano. Dario Lovaglio vive in Spagna, a Barcellona, si occupa di marketing ed è un indignado. Di quelli che scendono in piazza, appartengono al gruppo Democracia Real Ya e ogni giorno si riuniscono nei quartieri per discutere dei problemi. Anche spiccioli. Un giorno chiama i pompieri e i fabbri del barrio a sostegno del vicino cui è arrivata l'ingiunzione di sfratto. La mattina dopo aiuta con le scartoffie chi deve andare in banca a chiedere una proroga del mutuo. E nel pomeriggio accompagna dal medico di famiglia il dirimpettaio straniero, ormai senza tessera sanitaria dopo la legge approvata dal governo Rajoy lo scorso 1 settembre.
Insomma va bene il vaffa e l'autodeterminazione della cittadinanza, ma il Movimento 5 stelle «fa il gioco della somiglianze. Lottiamo insieme contro la casta e l'austerity. Ma noi non siamo solo in piazza o sul web. Né abbiamo un leader. Qui tutti interagiscono con tutti, ognuno si assume un compito e lavora per strada».
La discussione è sempre la stessa: i grillini da una parte, partoriti in seno alla circoscritta realtà italiana, che arrivano in Parlamento. Gli indignados dall'altra, nati sotto la spinta di un'opposizione ai processi di globalizzazione, che, tanto per dire, al palazzo de las Cortes non metterebbero mai piede.
«Il 15M non vuole portare al governo i cittadini, sostituire i politici di professione con 'persone comuni'. Gli indignados vogliono cambiarlo il sistema», spiega Aitor Tinoco di Girona, attivista, politologo e membro dell'Osservatorio di Barcellona dell'Università Nomada. Eppure in questi giorni convulsi di trattative, di petizioni, abboccamenti e denunce, il movimento spagnolo così come gli Occupy Wall Street sono entrati nel calderone del «tutti insieme appassionatamente». E sotto la stella dei grillini.
Anticapitalista, antisistema, rivoluzionario, il movimento iberico, nato nel 2011 a Puerta del Sol, si dissocia. «Il M5s non è democrazia orizzontale, ma verticale. È un marchio registrato da Grillo - con l'aiuto di Casaleggio - che è l'unico titolare dei diritti di utilizzo. La struttura è piramidale, autoritaria, per nulla democratica. Non si possono costituire assemblee, aprire sedi né partecipare attraverso il web, dove solo puoi fare commenti. Per di più chi ha tentato di ridiscutere l'organizzazione stessa del movimento è stato cacciato: il movimento è prigioniero di Grillo e di questo esperimento di marketing politico-aziendale».
Che la storia delle cinque stelle nasca da un rapporto verticale ne è convinto anche il professor Galli. «Da una parte il capo, dall'altra la sua folla, magari la stessa che un tempo ha seguito i suoi spettacoli. Grillo usa il disagio, il malessere, il rancore della società. Alcune proteste sono giuste e condivisibili. Ma non vedo dietro un progetto, una linea per il Paese». Per il politologo però c'è ben altro: la pericolosa deriva individualistica che porterebbe a una democrazia atomizzata.
Da Barcellona alzano il tiro: il Movimento 5 stelle occupa uno spazio vuoto nella politica italiana. Ha raccolto lo scontento dei cittadini grazie al carisma personale di Grillo. Inoltre, dicono, anche l'uso della rete è stato strumentalizzato. «Il web è diventata una macchina per costruire consensi, invece di favorire una partecipazione diretta e orizzontale com'è accaduto per il 15M», spiega Aitor Tinoco i Girona.
E sui contenuti? «In comune c'è l'opposizione all'austerità, il pagamento del debito o l'idea del reddito minimo, anche se su questo punto ci sono differenze. Il M5s però non ha dei contenuti chiari. Per esempio l'avvicinamento ai neofascisti di CasaPound o il tema del diritto di cittadinanza degli immigrati sembra più un voler mischiare le carte perché, in sostanza, tutto fa brodo», conclude l'esperto catalano.
Insomma, delle «generiche rivendicazioni senza un progetto», ribadisce preoccupato Stefano Galli che però ci tiene a difendere i partiti. «Sono elementi della sovranità popolare. Va bene rivedere la legge sul finanziamento pubblico, ma volerli abolire, come auspica Grillo, per creare delle associazioni private è un'idea pericolosa».
Tanto vale allora riprendere il leitmotiv degli indignados doc: «Que no nos representan» (Non ci rappresentano). Per gli spagnoli, a quanto pare, neppure quelli del M5s.