Sparito Fini, sconfitto Alemanno, La Russa confinato in un mini partito. Che ne è degli ex missini che per vent'anni sono stati tanto potenti? Politicamente, poco. Ma c'è un tesoretto da 400 milioni da spartire

Qualcuno l'ha chiamata "operazione nostalgia", giusto per chiarire dal principio che la premessa non è tanto il futuro, quanto una mesta rievocazione di un passato di cui non si ha più traccia, se non nelle sue macerie di rivendicazioni, pentimenti e qualche schizzo di veleno sulle responsabilità.

Altri "la nuova cosa nera", che rievoca più un passato extraparlamentare, che non un presente rassicurante tra i banchi delle Camere. Eppure, anche se i protagonisti si sfilano da entrambe le definizioni, qualcosa, nel magmatico e sempre più confuso pentolone del centro destra, si sta muovendo.

Dopo la slavina elettorale delle scorse amministrative, e la rovinosa sconfitta dell'ex sindaco Alemanno a Roma, gli ex colonnelli di Alleanza Nazionale stanno lavorando al progetto di ricostruire una nuova identità. Alcuni confluiti in Fratelli d'Italia, altri in rivoli di progetti similari.

Tramontato il suo leader Gianfranco Fini (alle prese con un libro nel quale racconterà la "sua verità"), Futuro e Libertà si è sciolta lo scorso maggio. Un triumvirato guidato da Roberto Menia, Aldo Di Biagio e Daniele Toto dovrebbe ora accompagnare il defunto partito, nato il 13 febbraio del 2011 da una scissione interna del Pdl, verso una "comune casa di destra": formula quanto mai vaga.

Del resto, l'emorragia di voti nel Pdl, otto milioni all'ultimo giro, sono un appetitoso banchetto su cui pasteggiar. Un elettorato senza più padri, in cerca di una destra moderna, europeista, riformista che avrebbe forse votato Renzi, è in cerca di una congrua creatura politica. E allora?

Lo scorso week-end, Fratelli d'Italia ha organizzato a Milano le "Giornate Tricolori": l'obiettivo - seguiranno altre iniziative simili - è quello di discutere insieme le vie da percorrere per ricomporre la creatura morente. Eppure, a giudicare dal panel degli invitati - oltre a vecchi protagonisti di An anche l'ex Ministro Tremonti, Magdi Allam, e qualche volto di "Fermare il Declino" - la rotta sembra più posizionata verso il centro, che non in direzione di una destra pura.

Altro nodo gordiano è la questione della leadership: La Russa accende il riflettore su Giorgia Meloni, da alcuni ribattezzata "la Renzi del centro-destra". Formula quanto mai spendibile in tempi di rottamazione e insistente richiesta di rinnovamento. Ma non tutti sono d'accordo.

L'ombra lunga del Cavaliere, inoltre, sembra essere condizione imprescindibile per la nascita della nuova formazione: in attesa che il volto della rinnovata Forza Italia assuma lineamenti più chiari, molti ex An già oggi non escludono la possibilità di allearsene, anche se l'ex senatore Domenico Nania parla di "pulizia etnica della destra del Pdl". Lo stesso La Russa, che raggiunto dall'Espresso non ha voluto parlare perché "contrario al taglio del giornale", ha spiegato ieri che l'intento non è quello di sottrarsi a Berlusconi, ma di comporre la terza gamba "di una coalizione in grado di vincere". Del resto, i senatori Matteoli e Gasparri, ex An, hanno già chiarito che resteranno nel rassicurante alveo del Pdl: l'uno, a capo della commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni di palazzo Madama, l'altro come vicepresidente del Senato.

Chi è, al contrario, in cerca di collocazione, ci sta invece pensando. Andrea Ronchi, che nel 2011 uscì da Fli per entrare nel gruppo misto, sostiene che si commetterebbe un grosso errore, se si pensasse a un'operazione nostalgia: "Alleanza nazionale era un progetto intelligentissimo, che ha avuto la sua massima espressione in un momento storico molto diverso dall'attuale. Fino al 1993 l'Msi era considerato un partito "paria", impresentabile e oggetto di razzismo politico. Fu Fini a sdoganarlo, quando si candidò a Roma come sindaco, contro Rutelli. Nacque tutto lì. Il Cavaliere lo scelse e si aprì la seconda Repubblica. E proprio a Roma, dove tutto ha avuto principio, tutto è finito con la sconfitta di Alemanno. Si apre una terza fase".

Un partito che guardi anche al centro - spiega Ronchi - e si rivolga al volontariato cattolico e alla Cisl. Che si occupi di lavoro, legalità, sussidiarietà, nazione, welfare sociale, cura economica, e che non tralasci gli ultimi. "Coinvolgerei Luciano Ciocchetti (ex vicepresidente del Lazio con la Polverini), Adriana Poli Bortone, Silvano Moffa. Senza pensare a una leadership precisa, però, perché finché resiste Berlusconi, non si può pensare ad altri. Certo, non vedrei male un imprenditore come Alfio Marchini...".

Francesco Storace, segretario nazionale della Destra e oggi vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio, ha accolto e rilanciato l'appello di Marcello Veneziani sul "ritorno a Itaca" (riunirsi sì, ma su idee e valori concreti), anche se qualcuno degli ex An sottolinea che, dopo il disastroso risultato delle scorse amministrative (1,30 per cento, rispetto al 3,46 delle regionali di febbraio), non abbia più grande potere contrattuale.

"Dovete pronunciarvi", ha scritto in un recente editoriale su Il Giornale d'Italia nel quale tira bordate a La Russa. "Stupisce il silenzio di Fratelli d'Italia, la cura dell'orticello non è la migliore delle proposte possibili in politica - prosegue - bisogna avere anche il coraggio di mettersi in discussione in un confronto leale sulle idee. Giorgia Meloni e i suoi sono riusciti a racimolare i consensi necessari a rientrare in Parlamento in nove ma adesso devono fare politica anche loro. A che serve guidare una bella pattuglia quando si potrebbe rimettere in campo un esercito?".

Appello cui La Russa ha risposto, invitandolo alle Giornate milanesi. Raggiunto dall'Espresso, Storace ribadisce che "C'è la necessità ci siano tutti, in una nuova Next An. Sono stato l'unico a dire no a Fini e Berlusconi. C'è un vuoto politico da riempire e occorre lavorare per rimettere insieme pezzi di un mondo che si è diviso, ma non distrutto. Ne parlerò io stesso a Orvieto, a metà luglio". E un'allenza con Fratelli d'Italia? "Non ho pregiudizi", risponde.

Roberto Menia, ex coordinatore nazionale di Fli, non ci sta a gettare l'esperienza del passato nel cestino degli errori: "In realtà credo che tanti buoni argomenti li avevamo. Rivendico, però, di essere stato l'unico a essermi opposto allo scioglimento di Alleanza Nazionale. Ma voglio pensare al futuro. Oggi l'elettorato è molto mobile. La dinamica bipolare c'è ancora, anche se non è più da considerarsi in termini bipartitici. La destra, finora, è vissuta in ostaggio del referendum Berlusconi sì o Berlusconi no. Deve rivendicare un suo spazio. Ma non in un'operazione che sappia di zattera di salvataggio per i vecchi trombati. Io vorrei una Alleanza Nazionale 2.0, senza riadoperare il vecchio simbolo, però. Deve essere un soggetto credibile, moderno dentro cui convergano settori anche diversi della società civile che oggi non hanno rappresentanza. Spezzoni di elettorato del nord che non vuole più votare la Lega. Orfani di Fare per fermare il declino. Cisl. Volontariato, imprenditori, associazionismi. Società civile. Sto dando vita a dei comitati sul territorio per la costituente della Destra. Il governo durerà ancora un altro anno. Noi potremmo fare un cartello per presentarci insieme alle europee del 2014".

Davvero nessun errore in Fli? "Abbiamo sbagliato la gestione del progetto. Da salvatori della patria, in una notte, siamo diventati i traditori. Fini, anziché onorare le promesse di rinnovare il centrodestra, ha dedicato le sue energie alla presidenza della Camera: ci è stato fatale. Ci siamo spostati troppo al centro con Casini e Monti e abbiamo rotto il patto con l'elettorato".

Adolfo Urso, presidente delle Fondazioni FareFuturo e FareItalia, anche lui fuoriuscito da Fli con Ronchi e Scalia per confluire nel gruppo misto nel 2011, parla di terza fase: "Si può e si deve aprire. Dev'essere qualcosa di innovativo in un contesto in cui alcuni nodi vanno sciolti con chiarezza. Come quello europeo: quale sovranità e quale unione vogliamo. Poi basta personalismi. Diamo la leadership ai valori: onestà, pattriotismo, sovranità, cittadinanza dei nati in Italia da genitori stranieri. Penso a un partito gollista e riformatore in una nuova repubblica presidenziale". Col giornalista Mauro Mazza, sta scrivendo un libro, in forma di dialogo, in cui si riflette sul passato di An e si pensa al futuro di una nuova destra: "S'intitola Vent'anni e una notte, e uscirà a settembre", rivela. "Il libro finisce con un capitolo sui duelli. Proprio per fotografare l'atavico vizio alla personalizzazione dei partiti. Ci vuole, al contrario, l'investitura popolare del leader".

Chi, invece, è piuttosto scettico sull'operazione nostalgia è Flavia Perina, ex direttrice del Secolo d'Italia e deputata Fli nella scorsa legislatura: "È indubbio che vi sia un elettorato, nell'area dell'astensionismo, che potrebbe guardare con favore alla formazione di una destra non compromessa col berlusconismo. Tuttavia, la riedizione a cui si sta pensando è impossibile, perché legata a filo doppio con Berlusconi, senza cui non potrebbe sopravvivere. Gianfranco Fini è stato il garante di una serie di personaggi che hanno poco valore. E che, senza di lui, non andranno molto lontano. Perché La Russa dovrebbe imbarcarli? Credo che l'unico progetto concreto possa essere un piccolo ampliamento di Fratelli d'Italia. Nulla più".

Un altro aennino che ignora volutamente il richiamo delle sirene del rientro a Itaca è Fabio Granata. Ex deputato di Fli, e vicecoordinatore nazionale del partito, sta per lanciare un nuovo progetto che con la destra non ha grandi comunanze. Il 28 giugno prossimo presenterà al Maxxi di Roma, Italia Green, un movimento trasversale che ispira le sue origini nel pensiero di Alexander Lang, e lavora insieme a Legambiente: "Vuole essere una nuova forza politica che punti a un'Italia di qualità - spiega all'Espresso - Un partito repubblicano moderno, ma europeista, che valorizzi il made in Italy, l'innovazione, le imprese di qualità, lo sviluppo sostenibile, il pattriottismo del paesaggio. Vogliamo seguire l'esempio dei verdi tedeschi. Sto lavorando con Fabio Renzi (segretario nazionale di Symbola, la Fondazione che promuove il made in Italy), e anche Ermete Realacci guarda al progetto con interesse. Ho coinvolto Stefano Leoni, presidente del Wwf, Roberto Della Seta e Francesco Ferrante (ex senatori Pd ed ex dirigenti di Legambiente)".

Davvero più nessuna nostalgia della destra? "La ricomposizione a cui sto assitendo è su basi politiche e culturali confuse. Mi sembra un'esperienza nata solo con lo scopo di trovare collocazione alla vecchia nomenclatura. Peraltro sotto lo scacco, di nuovo, di Berlusconi. Non capisco come possa fare Menia a sedersi ancora al tavolo con Ronchi, Urso e La Russa. La mia ostilità non è verso gli ex di An, ma verso quelli di Fli. In questo tentativo vedo solo necessità e convenienza personale. Feci un giuramento sulla tomba di Paolo Borsellino. Mai più alleato con Berlusconi".

E Gianni Alemanno, dopo la sconfitta romana? Durante una tramissione, in campagna elettorale, ha chiarito che il suo futuro resta nel Pdl, ma qualcuno a lui vicino non esclude che, se il Cavaliere lo scaricasse, sarebbe pronto a un repentino ripensamento verso "la nuova cosa nera". Diversa la posizione di Italo Bocchino che, orfano di incarichi, è tornato a fare il giornalista e sta cercando un riavvicinamento con Viespoli e Moffa in particolare. La nostalgia, nel suo caso, è così forte che ha proposto, per le europee del 2014, di ripresentarsi con il vecchio simbolo di An.

Nell'operazione Itaca, c'è, infine, un particolare non di poco conto che potrebbe spingere gli ex colonnelli a riallineare le truppe: quel tesoretto - circa 400milioni di euro tra cash, 65 milioni, e patrimonio immobiliare - confluito dalle casse del vecchio partito missino a quelle della Fondazione Alleanza Nazionale. Denaro proveniente dai rimborsi elettorali (sui conti correnti di An) e lasciti piuttosto noti alle cronache: il celebre appartamento di Montecarlo donato dalla contessa Anna Maria Colleoni e poi venduto al fratello della compagna di Fini, Elisabetta Tulliani.

A chi andranno quei soldi? Il recente caso Lusi (l'ex tesoriere della Margherita), di certo non rassicura i vecchi missini. La Fondazione, dopo una lunga impasse - il consiglio di Stato, alla fine del 2012, ha dato il via libera alla sua iscrizione nell'albo delle persone giuridiche - ha ripreso la sua attività. Ma il denaro è bloccato. A capo del cda della Fondazione c'è un uomo molto vicino a Matteoli, Franco Mugnai, del Pdl, che potrebbe entrare nella nuova Forza Italia. È in buona compagnia: tra i soci di maggioranza della Fondazione ci sono anche La Russa e Gasparri. Oggi, dopo svariate diatribe legali sulla liceità del trasferimento del denaro di An alla Fondazione, la vicenda è in mano a due nuovi liquidatori del Tribunale. Si andrà a sentenza probabilmente a settembre. Alcuni ex An sostengono che molto denaro è sparito dal tesoretto citato, in forma di prestiti o finanziamenti ad attività del Pdl, per poi non fare più rientro. E molti immobili della vecchia An ospiterebbero le sedi del Pdl, che non paga neppure il canone d'affitto.

Ma sembra che gli ex colonnelli non siano obbligati a costituire un unico grande partito, per riappropriarsi del denaro. Per gli assetti statutari della Fondazione, infatti, potrebbe bastare anche un accordo politico tra nuove correnti e diversi partiti di destra. È anche la tesi di Barbara Ciabò, che dopo una lunga militanza in An, è uscita dal partito per aver fatto scoppiare il caso "Affittopoli" a Milano, come presidente della Commissione Demanio del comune, nella giunta Moratti: "L'unica operazione nostalgia a cui sono interessati alcuni ex aennini è quella nei confronti del patrimonio. Non aspettano altro che rientrare in possesso del denaro della Fondazione, tanto più in un periodo di vacche magre. Non c'è nessuna volontà di costituire un nuovo reale soggetto politico, al di là di questo".