Dopo averlo accusato di aver «ecceduto con l'Amarone in una cena allegra», la stampa di destra continua il trattamento: il giudice che ha condannato Berlusconi «ha un doppio lavoro» (cioè insegna in un'università) e «la mattina compra Repubblica» (scoop ottenuto intervistando l'edicolante). Insomma «è sputtanato»

Esposito, è caccia all'uomo

C'erano una volta i calzini turchesi del giudice Raimondo Mesiano e, adesso, ci sono gli edicolanti di fiducia di Antonio Esposito.

Il presidente del collegio di Cassazione che ha letto la sentenza di condanna definitiva per Silvio Berlusconi nel processo Mediaset è ormai una star indiscussa per le testate di centro destra, come prima di lui era stato il giudice Mesiano, 'reo' di aver condannato Fininvest a pagare 750 milioni di euro e immortalato da Mattino 5 (in onda su Canale 5) mentre fumava una sigaretta indossando dei calzini azzurri.

Se il trattamento Mesiano si era però fermato ai dettagli cromatici, quello per Esposito è invece più elaborato, ma non per questo privo di risvolti esilaranti.

L'obiettivo è chiaro: minare la credibilità personale del magistrato con una raccolta di sentito dire, interviste surreali, dettagli familiari montati ad arte per far passare un messaggio: Esposito è una toga rossa e odia Silvio Berlusconi. Da qui il ragionamento logico successivo: visto che lo odia, non è imparziale e non poteva giudicarlo.

Un paio di esempi del metodo applicato da quasi una settimana arrivano dal sito del quotidiano 'Libero,' che regala oggi ai suoi lettori l'articolo "Esposito, l'edicolante: legge solo Repubblica e il Fatto Quotidiano", accompagnato da un occhiello che rivela "I gusti del giudice". Contenuto del pezzo è uno scoop raccolto da un inviato del Giornale (andato per questo fino a Sapri, in provincia di Salerno) che ha scoperto quali testate acquisterebbe la mattina il giudice. Una chiara prova di scarsa indipendenza insomma.

Meglio allora andare a recuperare l'articolo proprio del Giornale, dal sobrio titolo "Il doppio lavoro del giudice bugiardo" , che 'svela' l'incarico di Esposito come docente di un'università telematica, non facendosi mancare un giudizio tranchant sul finale: «Esposito a Roma ha la residenza e il primo lavoro, casa e Cassazione. A Sapri, seconda casa, seconda bottega, seconda vita. Illecito? No, magari no. Magari il buon giudice ha il via libera, l'ok, del Csm. Magari è normale».

Ecco, magari è normale, e di sicuro nulla ha a che vedere con la sentenza sul caso Mediaset. Di più, l'articolo arriva a segnalare come una stranezza il fatto che il giudice abbia inserito il proprio numero di cellulare tra i contatti della suddetta università, e chiosa: «Resta questa cosa di un alto togato che mette il suo numero di telefono privato, quello del cellulare, tra i contatti per chi vuole fare un master». Speriamo proprio non abbia un profilo Facebook allora, sai che scandalo.

La passione per Esposito da parte del 'Giornale' del resto è ben nota: è stato proprio il quotidiano della famiglia Berlusconi ad aprire le danze il 3 agosto scorso, con una prima pagina che parlava delle "cene allegre di Esposito", pizzicato secondo il quotidiano berlusconiano nel 2009 a «eccedere con l'Amarone" e a esprimere in pubblico «giudizi» sul Cavaliere (che per questo avrebbe "infangato") e sul caso Wanna Marchi che, al momento, stava seguendo. Circostanze smentite punto per punto proprio da Esposito in un'intervista al 'Fatto Quotidiano'  (da cui una controreplica del' Giornale').

Ma il terreno della delegittimazione, preparato con attenzione, ha trovato la sua realizzazione nell'assist fornito dall'intervista al 'Mattino' dello stesso Esposito, diventata un caso mediatico nazionale grazie a una presunta affermazione del giudice sul fatto che «Berlusconi non poteva non sapere», da cui il titolo stesso dell'intervista.

Un'affermazione che si può ascoltare nell'audio, parziale, pubblicato dalla testata, in cui però manca il riferimento al caso Berlusconi, come spiegato bene dal blog Valigia Blu.

Quella di Esposito è quindi una lezione generica di diritto penale, sufficientemente ingenua e inopportuna però da fornire un appiglio alla corte del Cavaliere.

E' così arrivano i titoli che definiscono Esposito un "chiacchierone", "sputtanato", "rovinato dall'ebbrezza mediatica", "un bugiardo". Insomma, uno di cui proprio non ci si può fidare.

Poco importa se ci sono stati tre gradi di giudizio nei quali 15 diversi magistrati sono stati concordi nel definire Berlusconi colpevole per frode fiscale.

Poco importa se lo stesso 'Libero' prima della sentenza definiva il collegio della Cassazione, Esposito compreso, «un pool di giudici dell'area più conservatrice».

Poco importa se il procuratore generale che ha confermato la richiesta di condanna per il Cavaliere, Antonio Mura, è di Magistratura Indipendente, cioè la corrente più di destra della categoria.

Poco importa se il relatore del collegio che ha giudicato e condannato Berlusconi era Amedeo Franco, che in passato si era già espresso sul Cavaliere confermando per lui l'assoluzione nella vicenda Mediatrade.

Passa tutto in secondo piano quando l'edicolante ti vende 'Repubblica'.

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