Il dissenso nel Partito democratico intorno alla norma sembra raffreddarsi e il premier ostenta sicurezza. Anche grazie a un emendamento del governo sul Jobs act che tenga tutti dentro e «occulti i problemi»

Non si fa fatica ad immaginare un premier poco o per nulla preoccupato. Il dibattito al Senato sul Jobs act è cominciato, in sordina, ed entrerà nel vivo la prossima settimana con il voto. I malumori del Pd stanno rientrando, con l’eccezione dei civatiani che però, come notano gli onorevoli vicini al premier, non hanno mai strappato nonostante le continue minacce. Per questo dalla segreteria del premier si dicono sicuri: «Sull'articolo 18 si è fatto molto rumore per nulla».

Non si fatica ad immaginare Renzi pronunciare i virgolettati che riporta Maria Teresa Meli, sul Corriere: «La fiducia? E chi ha detto che il governo ha deciso di mettere la fiducia sul Jobs Act?». Potrebbe non servire, se, piano piano, il dissenso continuasse a rientrare.

Ci si sta comunque ancora pensando. Certo, c’è Miguel Gotor che, uscendo dalla riunione della trentina di senatori malpancisti firmatari dei sette emendamenti presentati sul testo del governo, ha detto a mo’ di avviso «siamo tutti d’accordo sul principio di autonomia dei parlamentari». Ma sono solo parole, che dovranno resistere alla prova dei fatti, e la prova è l’emendamento che sta preparando l’esecutivo.

Se il documento dovesse ricalcare il testo che in direzione i democratici hanno votato con una maggioranza così schiacciante (anche dalemiani storici come l'europarlamentare Roberto Gualteri hanno votato per la soluzione del segretario), sarà difficile giustificare un dissenso. E ancora più difficile sarà giustificarlo se, come temono i senatori meno convinti della riforma, il testo dell’emendamento sarà vago: «Temo che arriverà un testo dal grande valore letterario» dice un senatore all’Espresso. «Approfittando della caratteristica vaghezza della legge delega», infatti, il governo potrebbe cavarsela così come è stato fatto in direzione, senza dare troppi dettagli, per non scontentare i bersaniani e non far insospettire ancora di più Maurizio Sacconi e gli altri Ncd. Dell’operazione "occultamento", fa parte anche l’idea - divisiva, ma non come l’articolo 18 - dell’anticipo in busta paga del Tfr. Il cui obiettivo, oltre che «rilanciare i consumi» è quello di far parlare d'altro.

Chi vuole si potrà insomma sempre raccontare che l’articolo 18 non viene in fondo toccato, neanche esteso, ma non cancellato. Almeno finché non toccherà al governo mettere tutti i puntini sulle i con i decreti.

Un favore al premier, in questo senso, sono le reazioni del centrodestra: «Contrordine compagni! Matteo Renzi riduce flessibilità in entrata e mantiene articolo 18. Peggio della Fornero», scrive su twitter Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia. A tirare troppo la corda sulla legge delega, insomma, si corre il rischio che Forza Italia ci ripensi, voti con il governo, e cambi così la maggioranza.

Sarebbe una crisi, anche se probabilmente senza conseguenze. Ma è sempre meglio evitare. Alla domanda che conta Gianni Cuperlo, ad esempio, risponde così: «Mettete in conto una crisi di governo?», chiede su Repubblica, Giovanna Casadio. «Non scherziamo» risponde l’ex candidato alle primarie.