In fondo, per Matteo Renzi nel rapporto coi sindacati vale in metafora la frase che ha usato per la Ast di Terni (indicandola come “priorità”): “E’ fondamentale che il forno resti acceso”. Ormai, con l’incontro di oggi alla Sala Verde, il via gli si è dato: mediaticamente il dialogo è aperto, le differenze tra le tre sigle si sono già dispiegate (sull’atteggiamento verso il governo, ma anche sulla rappresentanza e il salario minimo), di concertazione non v’è traccia e avanti così. Mentre la leader Cgil Susanna Camusso spiega a muso duro che in sostanza non è cambiato nulla, il premier parla di “sorprendenti punti di incontro” (forse ha presente solo Cisl e Uil) e già fissa la data del prossimo incontro: il 27 ottobre, giusto due giorni dopo la manifestazione in piazza a San Giovanni dove la Cgil sarà da sola. Guarda un po’.
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Insomma, a partire dalle ore otto (e qualcosa) del mattino, Matteo Renzi incontra i rappresentanti di Cgil, Cisl Uil e Ugl a Palazzo Chigi, e tutto per lui pare filare come previsto, a modino. C’è il portavoce del governo Filippo Sensi che lancia via Instagram la foto del tavolone della trattativa virata in effetto “gradazioni di grigio” e in “colori vintage” (gigioneggiamento estetico). C’è il siparietto Renzi-Padoan sui riferimenti musicali: la Camusso aveva ironizzato citando “un’ora sola ti vorrei”, il ministro dell’Economia risponde con “Quattro minuti” di Mondo Marcio, il premier con “una settimana un giorno” di Bennato (gigioneggiamento musicale). C’è, soprattutto, la sostanza: dopo mesi di muro, il premier incontra i sindacati e li avvolge (in due casi su tre) nelle spire del “dialogo” sì, ma impostato come vuole lui. Una settimana, un giorno solamente, un' ora a volte vale una vita intera (di trattative).
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Durante l’incontro, dopo un appello sulla necessità che ci sia “un clima di fiducia”, il premier annuncia una parziale apertura sulle modifiche all’articolo 18 (reintegro anche per i licenziamenti disciplinari, ma indicando le fattispecie), ma non mostra il testo dell’emendamento sul Jobs act su cui il governo metterà la fiducia; spiega che il bonus degli ottanta euro sarà strutturale a partire dal 2015; dice che il governo intende stanziare 1,5 miliardi per la riforma degli ammortizzatori sociali, che nella legge si stabilità ci sarà un miliardo per la scuola e due per la diminuzione delle tasse sul lavoro; che forse ci sarà un emendamento al Jobs act con norme sulla rappresentanza sindacale e sull'ampliamento della contrattazione decentrata. Fine dello spot. Ci si rivedrà a fine ottobre, ma della delega sul Lavoro dopo oggi no si parlerà più: è tutto rinviato alla fase di attuazione, quanto la triplice potrà discutere col ministro Poletti dei decreti delegati.
Tutto bene, allora? Per i sindacati, mica tanto. Nella successiva conferenza stampa, le sigle provano a chiarire se e quanto è cambiato, dopo l’ora passata nella Sala Verde. Non sono d’accordo neanche su questo. “E’ stato un incontro simbolico, di valenza politica più che sostanziale”, dice il leader Uil Luigi Angeletti, “ma forse Renzi ha cambiato atteggiamento”. “Si apre uno spiraglio”, spiega il segretario generale aggiunto della Cisl Anna Maria Furlan, prossima a succedere a Bonanni, la quale mostrando un certo ottimismo parla di “positività” e possibile “momento di svolta nei rapporti tra governo e parti sociali”.
Lapidaria invece la Camusso: “C’è stato entusiasmo per la riapertura della sala verde" ma “penso che nessuno possa dire che si sia aperta una stagione di concertazione”, ma nemmeno di “contrattazione sulle materie del lavoro”, tuona. In sintesi, spiega il leader Cgil, il governo ha detto “con voi discutiamo solo dell’applicazione delle leggi, non dei principi”: dunque, “per noi non c'è nessun concreto passo avanti”, “non abbiamo avuto nessuna risposta nemmeno sul Tfr”, il governo “decide unilateralmente” e “ la scelta della fiducia sul Jobs act radicalizza” questa impostazione.
Confermata dunque la manifestazione del 25 ottobre, ma in solitudine. Insomma, se il timore della vigilia era che Renzi volesse certificare la divisione dei sindacati, e magari tendere a riproporre il modello Fiat - ossia il possibile isolamento del maggior sindacato italiano, mentre gli accordi si fanno con le altre sigle - ebbene da oggi quello schema è più vicino.