La conferenza stampa di Impegno Italia lo ha dimostrato: il premier è stato abbandonato dai "suoi". Dal litigio con Dario Franceschini (poi smentito) all'ex collaboratore passato col segretario, sono le ore delle mediazioni

Solo era solo, Enrico Letta, ieri, in conferenza stampa. C’erano i giornalisti, certo, c’era il suo attacco a Matteo Renzi, c’era Impegno Italia, il piano per «un nuovo governo». I fedelissimi di un tempo, quelli però non c’erano più. C’erano i deputati Marco Meloni, Paola De Micheli e il senatore Francesco Russo. E basta. E gli altri?

«Sono diventati tutti renziani», è la semplicissima analisi. Un po’ come i bersaniani, che ormai non esistono quasi più. Tutti a partire dall’uomo della smart blu, prestata a Renzi per andare dalla stazione Roma Termini a Palazzo Chigi, proprio per l’incontro con Letta. Ernesto Carbone, che di Enrico era un collaboratore, che per Vedrò - il think tank lettiano - si occupava di agricoltura. Con lui i rapporti si sono raffreddati da tempo, perché il salto da Renzi non è dell’ultima ora, ma risale a prima delle primarie. Ricordate quando Letta aveva suggerito di far slittare la competizione per la segreteria del partito, temendo esattamente quello che sta accadendo oggi? Aveva le sue buone ragioni. La prima era il fuggi fuggi generale verso il nuovo carro del vincitore. Di Carbone («che si è comportato malissimo», dicono fonti vicine a Letta), ma non solo.

L’addio che fa più male è quello Dario Franceschini. Doveva essere l’uomo che assicurava una navigazione tranquilla in parlamento, per «il governo di servizio», come ancora lo chiama Letta. Si è trasformato invece nell’uomo di servizio, sì, ma del Renzi 1.

I due smentiscono la ricostruzione del Corriere della Sera, che ha affrescato le scene del litigio. Enrico Letta nega di aver mai detto di volerlo fuori dal governo, nel caso vincesse il braccio di ferro con Renzi: «Leggo stamani su alcuni quotidiani frasi su Dario Franceschini che smentisco nel modo più assoluto di aver mai pronunciato». Franceschini scrive una nota sdegnata: «A tutto c'è un limite,  anche alla morbosa tentazione di gossip e di gettare fango sulle persone e sui rapporti personali». «Leggo di un litigio totalmente inventato tra Letta e il sottoscritto», ricostruisce il ministro, «con tanto di idiozia di una presunta foto che mi sarei fatto con la Smart con cui Renzi è arrivato a Palazzo Chigi». La scenetta sarebbe effettivamente divertente, ma per Franceschini non è mai successa: «Penso che la deontologia professionale dovrebbe imporre di verificare le cose prima di scriverle con tanta leggerezza». Che Franceschini, però, sia uno degli uomini chiave del passaggio di testimone è difficilmente negabile. E ancora ieri sera, partecipava alle riunioni per la staffetta, forse per rendere tutto meno doloroso possibile.

Letta è solo, dunque. Ma è convinto di non aver ancora perso, perché Renzi - pensa - eviterà lo scontro frontale. La dichiarazione che i renziani affidano a Lorenzo Guerini lo fa ben sperare: «In Direzione non ci sarà nessun duello. Il contributo offerto dal premier sarà oggetto di una discussione responsabile e approfondita». Il senso, in realtà, è però che i renziani si aspettano le sue dimissioni senza dover abbondare ancora di più in scortesia.

«Per amore del Paese e per amore del Pd occorre che Enrico eviti di dar seguito a quella che appare sempre più come un'azione solitaria, fermandosi un attimo prima di qualsiasi votazione», dice però diretto il deputato Dario Ginefra che pure a Vedrò, ospite di Letta, ha conosciuto Laura Ravetto, dando vita a un amore simbolo delle larghe intese.

Si tenta anche l’ultima mediazione, prima della direzione. La tenta proprio Guerini, portavoce della segreteria del partito. Una ricostruzione vorrebbe che l’offerta fosse il ministero dell’economia. Sembra difficile. A Palazzo Chigi, intanto, però, Guerini va con i capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda. Non con Franceschini.