Il deputato dem ed ex sindaco di Messina ha la passione per le società. E ha presunti crediti dello Stato per 1,2 milioni di euro. Che non vuole spiegare
Primo sì del Parlamento all’arresto del deputato democratico Francantonio Genovese. La Giunta per le autorizzazioni della Camera ha infatti bocciato per 12 a 5 la proposta del relatore Antonio Leone (Ncd) di respingere la richiesta di custodia cautelare. Secondo la procura di Messina, Genovese avrebbe incamerato sei milioni di euro di risorse pubbliche destinate alla formazione professionale. A favore dell’arresto hanno votato Pd, M5S e Sel, mentre il centrodestra ha votato contro. La parola ora passa all’Aula, che dovrà dare il responso finale: i grillini spingono perché si voti prima delle europee, ma sulla data si attende la decisione della conferenza dei capigruppo di Montecitorio.Aggiornamento del 7 maggio 2014Tutti i mesi si mette in tasca lo stipendio da deputato. E, mentre a Roma siede in Parlamento, in Sicilia coltiva interessi economici. Una rete di decine di società, con bilanci milionari, che operano in tutti i campi: immobiliare, trasporti, servizi, telecomunicazioni e formazione professionale in Sicilia. È un politico potente Francantonio Genovese, esponente del Pd, ex sindaco di Messina, con un passato nella Democrazia cristiana e poi nella Margherita di Francesco Rutelli. È stato segretario regionale del Pd, appoggiato allora dall’ex ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale.
È ispiratore della corrente “Innovazioni” che si ritrova nel percorso di Renzi e alle ultime primarie per la candidatura alla Camera ha ricevuto nel messinese quasi ventimila voti su 24 mila complessivi. Ed è pure un bravo uomo d’affari, a quanto pare. Basta fargli due conti in tasca: dal 2008 (quando è stato eletto alla Camera dei deputati) al 2012, ha dichiarato redditi sempre in crescita: da 153 mila euro a 489 mila. In più, negli ultimi cinque anni, Genovese ha ottenuto dallo Stato, oltre al cospicuo mensile da deputato, anche un credito complessivo di imposte pari a un milione e 185 mila euro. Una bella somma, che non passa certo inosservata se ad ottenerla è un parlamentare.
Lo Stato è in debito con lui, dunque. Ma come avrà fatto l’onorevole Genovese ad accumulare tutti quei crediti dal Fisco? Per chiarire queste cifre “l’Espresso” ha sollecitato per settimane il parlamentare. Gli ha chiesto di spiegare somme e crediti, eppure Genovese non ha voluto rispondere. Che ci sarà mai, dunque, dietro alle somme incasellate con grande professionalità, secondo le norme, nella sua dichiarazione dei redditi? Il decreto che rende conoscibili i patrimoni dei politici e dei loro familiari semplicemente cliccando sul sito della Camera non è stato preso in considerazione dal parlamentare, che è uno dei pochi deputati del Pd che sul proprio profilo web di Montecitorio non ha inserito la documentazione patrimoniale. I parlamentari, nonostante il decreto che li obbliga a rendere tutto trasparente, continuano insomma a pubblicare la dichiarazione dei redditi, il numero delle macchine e dei pacchetti azionari posseduti e le spese per la propaganda elettorale in maniera del tutto facoltativa.
Così “l’Espresso” è andato alla Camera e ne ha chiesto visione: leggendo e scartabellando, è emerso che possiede decine di unità immobiliari e migliaia di azioni. Per la campagna elettorale che lo ha portato a Montecitorio, invece, ha stretto i cordoni della borsa, dichiarando la modesta spesa di 81 euro e 80 centesimi. Dai redditi indicati dall’ex sindaco di Messina, si ricava che Genovese è azionista in diverse società, in particolare una, Calaservice, che si occupa di “consulenza e pianificazione”, di “forniture di software e compravendita immobiliare”, il cui bilancio contiene un finanziamento che oggi arriva a circa 8 milioni di euro, effettuato dai due soci, che è stato alimentato nel corso degli anni.
Nel 2005 era di cinque milioni e 600 mila euro. I soci sono Genovese, che detiene il 99 per cento del capitale, e suo cognato Franco Rinaldi, deputato regionale del Pd, indagato a Messina per l’inchiesta sulla formazione professionale, che detiene l’uno per cento rimanente. Eppure, considerato il reddito dichiarato dal socio di maggioranza, suona piuttosto strano un versamento così elevato. Anche esaminando i bilanci della Caleservice, che sono pubblici, si rileva che nel 2012 l’incremento del finanziamento è di 651 mila euro, mentre l’anno precedente di 451 mila. Cifre che appaiono poco congrue rispetto al reddito dichiarato dal deputato Genovese.
La galassia di imprese in cui è entrato o uscito il parlamentare è vastissima. Una per tutte lo riporta a far affari con la pubblica amministrazione. È la “Mandarian Wimax Sicilia spa”, un’azienda di Catania che opera nel settore delle telecomunicazioni, in particolare nel mercato delle concessioni a banda larga in modalità wireless. Fondata nel marzo 2008, Genovese ne è diventato socio insieme al suo amico Franza, patron di alberghi a Messina e navi traghetto sullo Stretto siciliano.
La “Mandarian” è uno dei cinque operatori assegnatari di licenza nazionale per l’utilizzo delle frequenze nella banda riservata al Wimax. È entrata in affari con imprese del gruppo Finmeccanica, si è consorziata con altre società di telecomunicazioni per prendere appalti anche in Iraq, per la ricostruzione dopo il conflitto. E in Sicilia negli ultimi due anni ha preso appalti con decine di Comuni per centinaia di milioni di euro, per la video sorveglianza o progetti per la sicurezza. In associazione temporanea di impresa la società di Genovese si è aggiudicato un lavoro per 25 milioni di euro dalla Regione siciliana per potenziare i ponti radio della Forestale. E poi ancora appalti nelle Asl, in particolare due anni fa a Palermo per la “realizzazione e gestione di un sistema informatizzato di archiviazione e trasmissione di immagini diagnostiche per l’Azienda” ad un costo di 8 milioni e 600 mila euro. Appalto affidato mentre l’azienda sanitaria era gestita dal manager Salvatore Cirignotta, arrestato a Palermo nelle scorse settimane e poi scarcerato, perché accusato di aver tentato di pilotare una gara per la fornitura di pannoloni.
Un appalto da 42 milioni di euro. E mentre le province, secondo l’editto del governatore Rosario Crocetta, devono essere sciolte e commissariate, ecco che alle società di Genovese arrivano altri incarichi milionari proprio da questi enti. Tutto sotto gli occhi del presidente della Regione, che corre voce non vada d’accordo con l’ex sindaco, ma nonostante ciò ha inserito nella sua giunta un assessore che fa parte della corrente Genovese: si tratta di Nino Bartolotta alle Infrastrutture e la mobilità.
L’ex sindaco di Messina è il ras delle preferenze nella sua città, uomo di potere e di consenso fin dai tempi della Prima repubblica. Un consenso consolidato dopo il 2007, quando guidò il Pd regionale. Potere che si mescola, dunque, agli affari. Con qualche grana per l’onorevole democratico. Nei mesi scorsi, il deputato del partito di Renzi è stato indagato per associazione per delinquere, peculato e truffa, insieme alla moglie, e ai cognati, perché coinvolti nell’inchiesta sui corsi di formazione. Per la procura di Messina c’era chi distraeva centinaia di migliaia di euro di fondi pubblici destinati alla formazione e se ne appropriava in modo sistematico. E chi costruiva rendicontazioni infedeli traendo in inganno anche la Regione Sicilia.
Un’indagine che offre uno spaccato della gestione privatistica dei soldi pubblici in cui emerge il ruolo fondamentale del parlamentare.