Quando Renzi difendeva la legge 40 "Prevalgono i diritti del bambino"

Dopo la sentenza della Consulta, che ha smontato un altro pezzo della legge sulla fecondazone assistita, il premier non ha rilasciato dichiarazioni. Ma nel 2005 si era dichiarato contrario al referendum abrogativo

«Non andrò a votare. Rivendico la legittimità della posizione di chi ritiene di dover far fallire il referendum facendo mancare il quorum», parola di Matteo Renzi, all’epoca presidente della provincia di Firenze. In ballo c’era il referendum abrogativo sulla Legge 40, fallito lontanissimo dal quorum, fermo al 25,9 per cento dei votanti. Il cardinal Ruini chiese ai cattolici di non andare alle urne, e Renzi fu tra gli esponenti della Margherita che seguì quell’indicazione.

Intervistato da Repubblica Renzi disse però di farlo «nonostante» l’appello di Ruini: «Ruini fa il vescovo e lo rispetto. Io faccio un mestiere diverso, quella della politica, e rispondo ai cittadini non alla Cei». E poi: «Non faccio come Andreotti che cambia idea su richiesta della Chiesa, però non capisco nemmeno Prodi quando va a votare perché "cattolico adulto". Non mi sento un cattolico adolescente se scelgo l' astensione». «Non si risolve con un referendum una materia di questa complessità» diceva Renzi: «La questione in gioco non riguarda la fede ma la vita. Perciò è così complessa e difficile. Invidio chi sbandiera certezze».

Il precedente torna utile ora che la Corte costituzionale ha bocciato per l’ennesima volta la legge 40, dichiarando incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, cioè il ricorso a un donatore esterno alla coppia. Ora che il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, alfaniana, vorrebbe correre ai ripari (e che il ministro Lupi parla di un «far west procreativo, con tutte le conseguenze, anche di mercificazione della vita e dei corpi, che un vuoto normativo o una non chiarezza delle legge trascinerebbe con sé»), è importante capire come si schiererà il premier.

E proprio sull’eterologa, però, Renzi si diceva convinto: «Entrano in gioco l'interesse legittimo della donna ad avere il figlio e il diritto soggettivo del bambino di sapere chi siano i suoi genitori. La mia opinione è che sia quest'ultimo diritto a prevalere».

Renzi aveva fatto la sua scelta. «Magari non avessi dubbi» diceva: «Il connubio tra il rigore giuridico e il progresso scientifico è una sintesi difficilissima anche se necessaria da trovare. Se la scienza ogni giorno scopre qualcosa di nuovo sul processo evolutivo dell'embrione, in base a quale certezza stabilisco il momento fisico in cui l'embrione diventa tutelabile? A questa domanda non sanno rispondere né i sostenitori del sì, né quelli del no, né gli astensionisti. Non servono toni tranchant ma riflessioni e dibattito. Un referendum non chiarisce nulla». Anche perché la Legge 40 era «comunque meglio del far west precedente con nonne madri e uteri in affitto».

Sono passati nove anni esatti. Cosa farà adesso il premier? «Siccome è già intervenuta la corte spero che Renzi e con lui il governo voglia astenersi anche questa volta da interventi» auspica ironico Giuseppe Civati, sentito dall’Espresso, ma nella maggioranza di governo c’è chi spinge per un ritorno in Parlamento: «La sentenza apre nuovi gravi problemi che la legge 40, una legge equilibrata che aveva dato buoni risultati, aveva finora evitato: ora serve un intervento del Parlamento», dice ad esempio Eugenia Roccella, alfaniana. Di Renzi non si trova neanche un tweet. E dallo staff confermano: «Per ora non commenta».

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