Il deputato ed ex ministro dell'Università commenta la decisione dei compagni di partito Migliore e Fava di lasciare la formazione di Vendola. E dice che nei dem di nuovo c'è solo "la figura del segretario"

«Non sono traditori, ma sbagliano, sì», dice Fabio Mussi dei deputati di Sinistra Ecologia Libertà che stanno lasciando il partito per andare verso il governo e il Pd di Matteo Renzi. Gennaro Migliore, Claudio Fava e gli altri compiono «un errore politico, una mossa priva di senso», perché secondo Mussi «così non si aiuta neanche il Pd, che ha bisogno di uno stimolo a sinistra». Fabio Mussi, ex ministro dell’Università, era alla guida della minoranza Ds, sconfitta al congresso, che lasciò il partito quando la maggioranza decise di fondare il Pd insieme alla Margherita di Francesco Rutelli. «Il Pd di Renzi» dice all’Espresso «pare diverso perché diversa è l’immagine del leader, dinamico e veloce». Però, continua «il motivo per cui con Cofferati ed altri ci ponemmo in minoranza nel partito è perché i Ds decisero di guardare a Blair». «E lì, ancora, dice di guardare Renzi». Cos’è cambiato, quindi? «Nulla».

Lei, Mussi, con un «buona fortuna compagni», lasciò il suo partito per non fondare il Pd. Disse «nei Ds ci sono tre correnti, nel Pd saranno 33, non si sentirà la nostra mancanza». Ora quelli che con lei fecero quella scelta si avvicinano al Pd. Le sembra così cambiato, e in meglio, quel partito?
«Il Pd oggi è un’altra cosa, perché è il Pd di Renzi ed è un partito molto legato alla figura nuova e dinamica del suo segretario. Oltre questo, però, ci sono dei tratti che continuano a suscitare vasti interrogativi: gli stessi che ci ponevamo ben prima della nascita del Pd. Quando con Cofferati e altri passammo all’opposizione nei Ds, fu perché la maggioranza aveva deciso che la stella polare era Tony Blair, dando il via alla stagione dell’adattamento subalterno al liberismo. Vorrei far notare ai compagni che se ne vanno che è la stessa strada che indica oggi Renzi».

Con un ampio consenso, però.
«Renzi parla di un partito della nazione, è vero. Ma a me scorre un brivido lungo la schiena quando sento parlare di partito pigliattutto, perché sono destinati al fallimento politico, e perché i partiti per definizione devono rappresentare una parte della nazione»

Filippo Ceccarelli commentando la scissione si chiedeva su Repubblica: «C'è davvero bisogno di Sinistra e libertà?». Qual è la funzione di un partito a sinistra del Pd?
«Io non credo che l’intero vocabolario della sinistra transatlantica possa essere riassunto nel renzismo. Ho sostenuto da sempre una linea di centrosinistra, e ancora di quella c’è bisogno. Per fare il centrosinistra, serve un soggetto di sinistra più critico. Se finora non siamo stati all’altezza, se abbiamo messo in piedi solo progetti fragili, non significa che non ci sia più la necessità che ci ha mosso finora. Vorrei poi far notare che senza quel 3 per cento preso da Sel alle ultime elezioni politiche, il premio di maggioranza lo avrebbe preso Berlusconi e oggi Renzi non avrebbe il gruppo parlamentare che si ritrova».

Perché gli stessi deputati di Sel, ora ex, dipingono il partito che lasciano come una forza con la tentazione «minoritaria», sposando quella che per anni è stata la rappresentazione esterna della «sinistra dei no»?
«Posso dire, come premessa, che io sono molto soddisfatto dei no che ho detto, dei no che abbiamo detto da sinistra? Posso dire che non mi preoccupo se mi procurarono il timbro di radicalismo, posso dirlo? Con altri dicemmo no alla guerra in Iraq, per stare all’attualità. Chi disse sì era l’estremista, oggi lo sappiamo, perché si sta concretizzando il disegno di Bin Laden, con il califfato, e noi eravamo i moderati. Io dissi no, stando nel governo, al Mose, e i giornali mi bacchettarono forte le mani. Abbiamo detto no alle leggi sulla precarietà del lavoro, e anzi forse ne avremmo dovuti dire di più. Estremista è il decreto Poletti».

Sarà ma allora perché quello del minoritarismo è l’incubo della stessa sinistra?
«È la potenza dei luoghi comuni, che sono forme di ideologia. Noi siamo minoranza numericamente, sì, perché ora valiamo un milione e duecentomila voti. Ma minoritari, francamente no».

Secondo lei quella di Migliore e Fava «è una mossa priva di senso politico».
«Mi pare evidente. Non ha senso entrare nel governo, che risultati pensano di poter ottenere?»

Lei che cosa pensa otterranno?
«Per ora mi pare solo di imbarazzare il Pd. Perché sei, sette, otto o anche dieci parlamentari che passano prima al gruppo misto e che poi, forse, dicono, in prospettiva, vedremo, passeranno con te, non è un fatto politico ma è una transumanza. Altra cosa sarebbe stata se Sel avesse deciso di entrare nel Pd. Quello sarebbe stato un fatto politico. Ma così non è, fortunatamente».

Ora Sel deve lavorare per riunire tutto ciò che c’è a sinistra del Pd?
«Tutto ciò che c’è a sinistra, no, perché non bisogna fare mucchio e basta. Ma tutto ciò che condivide un determinato orientamento, ad esempio la vocazione di governo, sì».

Continuando sulla strada segnata dall’esperienza della lista Tsipras?
«Sì, ma senza immaginare di poter semplicemente aggregare tutto ciò che stava lì. Bisogna considerarlo un primo passo di un percorso generale».

Si può superare, e come, il difficile rapporto con alcuni garanti? con Barbara Spinelli e la sua scelta di sedere nell’Europarlamento? Con Guido Viale?
«Spinelli il primo errore lo fece annunciando che si sarebbe dimessa se eletta, il secondo lo ha fatto cambiando idea. Detto ciò si può sicuramente andare oltre. Con gente come Barbara Spinelli, Marco Revelli e Luciano Gallino, ma anche con uomini di cultura come Piero Bevilacqua bisogna mantenere un rapporto forte. Perché è un pezzo importante di questa sinistra capace di criticare alla radice il modello dominante, che ha scelto anche il renzismo».

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