Il governatore veneto è in prima linea per la fecondazione assistita. Da cattolico. E da leghista. "L'accesso per tutti è una questione di giustizia sociale". Il Carroccio è sempre stato contrario? "Solo i mona non cambiano mai idea".

“Ho sentito parlare di cataloghi, di apertura all’eugenetica. Ma quali cataloghi, quale eugenetica: è una marea di puttanate. Lo può scrivere proprio così. Una marea di puttanate”.

Luca Zaia, governatore del Veneto, ex promessa della Lega sin dagli anni Novanta, quando giovanissimo divenne presidente della provincia di Treviso, stupisce ancora una volta. In questo caso, per il piglio con il quale difende il diritto di accesso all’eterologa, le cui linee guida sono state appena approvate dalla conferenza dei presidenti di Regione, dopo la sentenza della Consulta che ha aperto la strada in Italia alla possibilità di ricorrere a un donatore esterno alla coppia in caso di infertilità.

Una battaglia nella quale si è messo in prima linea. Da cattolico, e da politico. Con argomenti e posizioni che sono l’esatto contrario di quelli “classici” sostenuti proprio dal Carroccio sin dai tempi dell’approvazione della Legge 40 e successivo referendum. All’epoca, la Lega disse un no rotondo all’eterologa. “Ma da allora è cambiato tutto, e solo i mona non cambiano mai idea”, dice adesso Zaia.

Per il resto, il presidente del Veneto è soddisfattissimo. “Penso che l’approvazione delle linee guida da parte di noi presidenti sia un intervento di civiltà, fondamentale per le circa diecimila persone che ogni anno possono sottoporsi a questa procedura”.

Non teme distorsioni?
“Guardi, bisogna partire dalle banalità, spiegare al partito del no, che tira fuori storie inverosimili, che qui si tratta di far incontrare un ovulo e uno spermatozoo, e dar vita a un bambino. E lo dico da cattolico: questa è una battaglia per sostenere la vita”.

E cosa risponde a chi paventa valanghe di richieste per avere figli con gli occhi azzurri e i capelli biondi?
“Posso capire le preoccupazioni, ma ci sono anche le risposte. Le abbiamo date. Nelle linee guida parliamo di un limite di 43 anni per le donne, tre tentativi, e non ci sono business dei laboratori. Ma quali business: se ne fa carico la sanità pubblica, si pagherà un ticket”.

C’è chi punta il dito sullo screening preventivo che dovranno fare i medici.
“Lo screening non servirà a stabilire il colore degli occhi. Ma a scoprire se ci sono portatori sani di malattie genetiche. Se la fecondazione è naturale, sono i genitori a farsi lo screening, di solito: quindi non vedo cosa ci sia di strano. Così come non vedo stranezze nel fatto che il medico abbia il registro delle foto dei donatori, che restano comunque anonimi. Trovo naturale che si cerchi di fare in modo che alcune caratteristiche del bambino siano compatibili con quelle dei genitori: se padre e madre hanno i capelli biondi e lisci, si cerca di fare in modo che il figlio non nasca riccio e moro. Non vedo lo scandalo. Lo so anche io che in natura può accadere, perché c’è il tema di Mendel e dei caratteri recessivi: ma insomma, mediamente i figli hanno le caratteristiche fisiche dei genitori”.

Perché i presidenti di regione hanno deciso di fare lo strappo?
“Dopo la sentenza della Consulta c’era un vuoto legislativo, in Italia non si decideva come al solito. E noi che siamo in prima linea sul territorio, non possiamo vedere i nostri cittadini andare all’estero per ottenere prestazioni che sono possibili anche in Italia. E’ una questione di giustizia sociale”.

Addirittura?
“Certo. Non capisco perché la moglie dell’industriale può andare a Barcellona, e la moglie dell’operaio deve restare a casa a piangere per il bambino che non può avere. Perché ci si dimentica spesso di questo: all’eterologa si può accedere solo in caso di comprovata infertilità. E mai nessuno pensa a tutte quelle donne che non sono più fertili perché hanno avuto magari un cancro, o si sono sottoposte a cicli di chemioterapia. Perché impedire loro di avere un figlio?”

Ma la sanità pubblica, che ha già tanti problemi, può sobbarcarsi anche questo costo?
“Non è una procedura che abbia costi paurosi: chi ragiona così, sotto sotto, è contrario alla fecondazione assistita”.

Il ministro Lorenzin, e non è sola, dice che serve una legge nazionale.
“Una legge nazionale a mio avviso sarebbe servita prima, per inquadrare il problema. Adesso aspettiamo il sì della conferenza stato-Regioni: in ogni caso il Veneto andrà avanti. Comunque, se la Lorenzin vuol fare una legge la faccia, ci consideriamo dalla stessa parte in questa battaglia”.

A un certo punto dell’estate era sembrato che la legge si facesse…
“Poi non s’è fatto nulla, come al solito. E’ che per Renzi non sarebbe stato facile: pensi che difficoltà, fare una slide sull’eterologa. Difficile, far sorridere sull’eterologa”.

Non che la Lega sia stata sempre in prima linea sull’eterologa: quando se ne discusse in parlamento, era contrarissima.
“Beh fu una scelta di ragionevolezza anche quella: era un altro mondo, c’erano altri problemi, c’erano diverse certezze. Dieci anni sono tanti dal punto di vista della ricerca: quando si parlava di eterologa era ancora una frontiera, c’era sì il rischio dell’eugenetica”.

Guardi, la Lega di allora usava gli stessi argomenti contro i quali oggi si rivolta lei.
“Il mondo cambia, ti informi, ti documenti. Se oggi tutti i presidenti delle regioni, compresa la Lombardia (guidata da Roberto Maroni, ndr) sono sulla stessa posizione, qualcosa vorrà dire: non è che Zaia ha preso un colpo di sole. E poi, come si dice in Veneto, solo i mona non cambiano idea”.