Scaduto De Giorgi, dopo lo scontro con Giorgia Meloni, il premier non ha ancora nominato un nuovo direttore per l'Ufficio antidiscriminazioni, così come 15 esperti. In ballo ci sono 50 milioni di euro

In Italia dal 2003, applicando una direttiva comunitaria contro le discriminazioni, esiste un organismo del dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri che vigila sulle discriminazioni, appunto, e lavora per rimuoverle. Si chiama Unar, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. E da settembre è però senza un direttore.
 
L’ultimo, forse ricorderete, è stato protagonista di una polemica con Giorgia Meloni, giusto poco prima che scadesse il suo incarico. Marco De Giorgi, infatti, dirigente a capo dell’Unar, aveva inviato all’onorevole Meloni, leader di Fratelli d’Italia, una lettera in realtà standard, prevista dai protocolli dell’ufficio, lettera che l’Unar manda ogni volta che riceve una segnalazione al suo contact center.

La lettera cercava di spiegare a Meloni come «una comunicazione basata su generalizzazioni e stereotipi non favorisca l’integrazione e la coesione sociale», e la invitava a «considerare per il futuro, l’opportunità di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore». A Giorgia Meloni non è però piaciuto l’appunto e, nei panni della vittima, ha evocato la censura, e si è
imbavagliata sotto palazzo Chigi.

Matteo Renzi non difese il dirigente di palazzo Chigi, De Giorgi ha così finito la sua esperienza all’Unar. De Giorgi era stato incaricato dal Governo presieduto da Mario Monti, ma era già stato all’Ufficio anti discriminazioni, fondandolo di fatto, sotto la gestione del ministro Stefania Prestigiacomo, che aveva la delega alle pari opportunità nel quarto governo Berlusconi. Quando la stessa Meloni era ministro della gioventù.
 
A due mesi dall’addio di De Giorgi la nomina del successore non è ancora arrivata e l’ufficio, dunque, è per ora decapitato. La pagina del sito istituzionale dove c’era il curriculum di De Giorgi dice solo «in aggiornamento». La deputata Pd Giovanna Martelli, consigliera per le pari opportunità del premier (che ha tenuto per sé la delega, pur vantando un governo con tante donne quanti uomini), in merito non rilascia dichiarazioni: «È una questione amministrativa», riferisce l’ufficio comunicazione del dipartimento, «una decisione che spetta a palazzo Chigi». Martelli non ne sa nulla. Da palazzo Chigi fanno invece sapere che è stata avviata la procedura di interpello, la call interna destinata ai dirigenti che hanno i titoli. Lo stesso De Giorgi pare abbia presentato la candidatura. E un direttore quindi arriverà.
 
Ma sarebbe poca cosa, alla fine, se fosse solo la nomina dell’erede di De Giorgi, il punto. Con il direttore, infatti, anche i 15 esperti che curano i progetti e molte delle attività dell’Unar non ci sono più. E con la loro assenza, fermi sono circa 50 milioni di euro di fondi comunitari, una porzione dei soldi che l’Europa stanzia per l’Italia attraverso il Fondo Sociale Europeo.

Fondi su cui siamo già in ritardo e a cui quindi, almeno in parte, potremmo finire col rinunciare. Cosa non strana, si dirà, visto che del complesso dei fondi europei per la programmazione del settennato precedente - la cui rendicontazione scade a dicembre - l’Italia ad oggi si prepara a restituire circa 6 miliardi di euro. Anche qui la comunicazione che segue la consigliera del premier Martelli non dice nulla: «Sentite palazzo Chigi». Ed è allora da palazzo Chigi che arriva una risposta. Ci viene fatto notare che i 15 esperti sono scaduti a giugno, ben prima di De Giorgi, e che quindi ogni idea di un disegno, ogni paventato intento di depotenziare l’ufficio è infondato. Dicono, semplicemente, che l’impegno degli esperti si era concluso.
 
In un’interrogazione dei primi di ottobre, però, la deputata di Sinistra Italiana, Celeste Costantino, ha segnalato al governo come risulti «complesso comprendere il depotenziamento dell'ufficio in cui occorrerebbe avviare interventi per risorse importanti, su cui già grava un notevole ritardo rispetto all'intero periodo di programmazione». La finestra per i fondi, infatti, in questo caso è il settennato 2014-2020. Ma i fondi seguono una pianificazione di spesa annuale e sono suddivisi sui sette anni.
 
C’è anche un’interrogazione del senatore Pd Sergio Lo Giudice, che si concentra sul tema. In entrambi i documenti si nota come a farne le spese siano gli obiettivi previsti dall’accordo di partenariato sottoscritto con l'Europa e i progetti su cui proprio quei 15 consulenti sono riusciti a far allocare una somma non proprio irrisoria. Sono tutti progetti a cui ovviamente manca la progettazione esecutiva, e che mirano all'inclusione sociale, all'occupazione e al contrasto delle discriminazioni delle minoranze, dai rom alle vittime di tratta, dalle discriminazioni per l’orientamento sessuale alle vittime di omotransfobia.
 
Per quei fondi, a quanto risulta all’Espresso, manca ancora proprio la convenzione con cui l’autorità di gestione, il ministero del Lavoro, dovrebbe incaricare della corretta spesa il dipartimento delle Pari opportunità. Ancora una volta non abbiamo ricevuto chiarimenti in merito dalla consigliera alle Pari opportunità.

Ultima nota è un’altra poltrona vacante. Non solo De Giorgi, infatti, non è stato sostituito, ma anche quello che è nei fatti il suo superiore, il Capo dell’intero Dipartimento delle Pari Opportunità di palazzo Chigi è ancora una casella vuota. È scaduto, infatti, l’interim assegnato alla direttrice del dipartimento per le Politiche della Famiglia Ermenegilda Siniscalchi. Anche qui palazzo Chigi vuole rassicurare: non è obbligatorio indicare un capo per ogni dipartimento, che è capace di lavorare facendo riferimento diretto al segretario generale. L’esempio che portano è il dipartimento per i Rapporti con il Parlamento, anche quello senza vertice. 

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