Difensore dell’ex premier nel processo sulle escort. Sostenitore accanito della non retroattività della legge Severino (che lui stesso aveva votato) e della protesta Pdl contro i pm di Milano. Berlusconiano senza dubbi da quando è in Parlamento. Ritratto del candidato più azzurro che c’è

Amici di lunga data, la scorsa legislatura era facile vedere uscire sottobraccio dalla commissione Giustizia i deputati Pdl Alfonso Papa e Francesco Paolo Sisto. «Noi siamo i Papa Sisto» l’immancabile battuta. Il primo è finito a Poggioreale, l’altro dovrebbe andare alla Corte costituzionale.

Tuttavia per capire il personaggio-Sisto, il penalista figlio d’arte che Forza Italia vorrebbe a tutti i costi alla Consulta (la sua candidatura “resta salda” hanno messo a verbale i capigruppo Romani e Brunetta), è utile partire da qui. Dal gusto per la facezia, l’iperbole e anche la galanteria di questo avvocato barese di 60 anni, uno dei pochi che nell’anno domini 2015 ancora ostenta con orgoglio il vezzo del baciamano in Transatlantico.

Malgrado sulla carta il margine dell’accordo stretto fra Pd e Forza Italia si aggirasse sui 150 voti, alla sua nomina a giudice costituzionale ne sono mancati 60. E se il Pd, in nome dell’intesa, richiamerà alla disciplina i riottosi, le porte della Consulta si spalancheranno davvero per Sisto. «Il mio nome piace molto ma per ora faccio il mio dovere di parlamentare» si schermiva lui (non senza una punta di autocompiacimento) appena un mesetto fa, quando fra gli azzurri era iniziata a circolare l’idea di una sua candidatura.

Eppure, dietro la simpatia e i modi garbati, Sisto per tutta la scorsa legislatura è stato uno degli scudi umani contro la presunta congiura delle toghe ai danni di Silvio Berlusconi: un ruolo che sembra aver pagato, visto che l’ex premier lo ha nominato suo difensore nel processo barese sulle escort che gli sarebbero state procacciate da Giampi Tarantini.

Così, a rileggere alcune dichiarazioni relativamente recenti, viene a chiedersi se davvero possa giudicare la costituzionalità delle leggi chi ha sostenuto con tanta pervicacia tesi discutibili dal punto di vista giuridico. O abbia avallato atti gravi nei confronti dell’indipendenza della magistratura, come l’aver definito “una protesta seria contro l'uso politico della giustizia” la manifestazione del Pdl davanti alla Procura di Milano.

Lo sforzo più recente di Sisto, come tutti i berluscones in servizio permanente effettivo, è stata tuttavia la battaglia (persa) per sostenere la non retroattività della legge Severino, che lui stesso aveva votato appena pochi mesi prima. Un corpo a corpo che, come in molti altri casi, lo ha costretto a più di un salto mortale. Ad esempio subito dopo la condanna di Berlusconi nel processo Ruby, che ne avrebbe comportato la decadenza: «Non si può chiedere la sua espulsione (dal Senato, ndr), bisogna essere certi che sia un cartellino rosso e non giallo» ripeteva a ogni piè sospinto. E a chi gli faceva presente che la sanzione prevista dalla legge era di natura amministrativa e quindi poteva essere retroattiva, Sisto replicava con piglio: «È inutile discutere se è per tre quarti amministrativa o penale o metà e metà: la sostanza non cambia».

In quelle calde settimane a Sisto capitò perfino di tirare in ballo i principi della Carta su cui ora dovrebbe vigilare: «La politica può disquisire su tutto ma dire che Berlusconi è incandidabile o che per lui vale la decadenza è incostituzionale». Poi il bersaglio divenne il divieto di tenere comizi: «Non è pensabile che un diritto di rango costituzionale, come quello di svolgere attività politica, possa essere ritenuto antitetico al recupero sociale; sarebbe una violazione, grave e inaccettabile, dei principi».

Il meglio di sé, tuttavia, Sisto lo ha probabilmente dato in occasione della presentazione del disegno di legge parte del forzista Luigi Vitali che prevedeva la prescrizione breve per incensurati e over 65: in pratica un ritratto di Berlusconi. Eppure per lui una legge simile - benché con la specifica che si trattava di proposte avanzate “a titolo personale” e “non condivise” dal partito - non avrebbe affatto inciso sui processi del presidente del Consiglio.

Una nota congiunta firmata assieme a un altro (ex) collega di partito dalla carriera fortunata: Enrico Costa, oggi viceministro alla Giustizia. Sarà un caso, ma tanto poco influiva sui processi in corso che dopo qualche giorno Vitali ritirò alla chetichella il ddl.