Fa presto Gianni Cuperlo a ripetere ancora una volta, alla vigilia del voto di Montecitorio, che il referendum sulla riforma costituzionale non dovrà essere un plebiscito su due anni di lavoro di palazzo Chigi. L’ha detto anche il presidente del Senato Pietro Grasso. Matteo Renzi però lo considera un passaggio fondamentale, un giudizio su di sé, da cui dipende la sua stessa carriera.
Al Tg1 ha così ripetuto il concetto: «Per anni la classe politica non ha fatto niente, adesso è arrivato un governo nuovo che ha cercato di realizzare alcune cose. Se, sulla madre di queste battaglie, che è la riforma costituzionale, i cittadini non sono d’accordo hanno tutto il diritto di dirlo e io ho il dovere di prenderne atto». Però si badi: «Io non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona».
Al Tg1 ha così ripetuto il concetto: «Per anni la classe politica non ha fatto niente, adesso è arrivato un governo nuovo che ha cercato di realizzare alcune cose. Se, sulla madre di queste battaglie, che è la riforma costituzionale, i cittadini non sono d’accordo hanno tutto il diritto di dirlo e io ho il dovere di prenderne atto». Però si badi: «Io non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona».
E mentre la Camera dei deputati si appresta a dare il suo voto sul testo uscito dal Senato il 13 ottobre scorso («Oggi la Camera farà da passacarte», dice giustamente la forzista Daniela Santanché ), a pochi metri dall’aula plenaria si organizza il fronte del No. L’imbarazzo che i referendum provocano in un pezzo del Pd esce bene dalle bocche storte sulla sala della Regina concessa da Laura Boldrini ai costituzionalisti, poi sostituita dalla sala dei gruppi, per via dei troppi accrediti stampa.
Un mezzo sgarbo della presidenza, pare, che ha fornito un palcoscenico troppo in vista, da cui i soliti Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky potranno sostenere le loro ragioni in contemporanea con il voto dell’aula. In estrema sintesi, i costituzionalisti dicono: «Il ddl Boschi, accoppiato con l’Italicum, produce un’involuzione costituzionale». E poi, pensando anche alla riforma della Rai, aggiungono: «Tutto finirà accentrato nelle mani del governo».
Un mezzo sgarbo della presidenza, pare, che ha fornito un palcoscenico troppo in vista, da cui i soliti Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky potranno sostenere le loro ragioni in contemporanea con il voto dell’aula. In estrema sintesi, i costituzionalisti dicono: «Il ddl Boschi, accoppiato con l’Italicum, produce un’involuzione costituzionale». E poi, pensando anche alla riforma della Rai, aggiungono: «Tutto finirà accentrato nelle mani del governo».
Quello di oggi è comunque solo un primo passaggio della lunga battaglia, di cui avremo modo di scrivere, e che vivrà ancora altri due voti, uno al Senato - che Renzi vuole prima del delicato passaggio sulle Unioni civili, che potrebbe rovinare i rapporti con Ncd - e un altro alla Camera. Poi ci aspetta il referendum oppositivo che sarà a ottobre, come ha annunciato il premier («Come se fosse lui a doverlo convocare», ha subito notato l’altro esponente del fronte del No la professoressa Lorenza Carlassarre).
A convocarlo saranno invece i parlamentari contrari con le loro firme. E se sono scontate quelle della sinistra varia (di Civati e di Sinistra Italiana) e dei 5 stelle, i costituzionalisti, sul punto, cercano di stanare proprio la minoranza dem. Che ha votato la riforma costituzionale, ma se il premier continua a caricare di altri significati la consultazione, potrebbe avere qualche imbarazzo. Renzi lo fa anche per smarcarsi dal giudizio delle amministrative («Non saranno un test sul governo», dice «saranno semmai un test per scegliere chi è il sindaco di Roma, di Milano, di Torino, di Napoli, di Bologna»), ma facendolo lega alla riforma del Senato leggi che invece non hanno trovato l’unanime sostegno del partito, come il jobs act o la stessa legge elettorale.
A notare l’atteggiamente del premier sul referendum non sono comunque solo i promotori dei comitati per il No o i parlamentari di Sinistra Italiana: «Mi impressiona l'uso strumentale che il presidente del consiglio sta facendo della scadenza referendaria, prescindendo del tutto dai contenuti della riforma», ha detto ad esempio anche Gaetano Quagliariello, ex Ncd ora a capo del suo movimento: «Mi sembra un modo per coprire le sue difficoltà e per 'scavallare' la prova delle amministrative». E sono invece queste, dice ancora Quagliariello, intervistato da Sussidiario, ad avere semmai un significato, perché sono un voto locale, sì, «ma nessuno può negarne la valenza politica».
A convocarlo saranno invece i parlamentari contrari con le loro firme. E se sono scontate quelle della sinistra varia (di Civati e di Sinistra Italiana) e dei 5 stelle, i costituzionalisti, sul punto, cercano di stanare proprio la minoranza dem. Che ha votato la riforma costituzionale, ma se il premier continua a caricare di altri significati la consultazione, potrebbe avere qualche imbarazzo. Renzi lo fa anche per smarcarsi dal giudizio delle amministrative («Non saranno un test sul governo», dice «saranno semmai un test per scegliere chi è il sindaco di Roma, di Milano, di Torino, di Napoli, di Bologna»), ma facendolo lega alla riforma del Senato leggi che invece non hanno trovato l’unanime sostegno del partito, come il jobs act o la stessa legge elettorale.
A notare l’atteggiamente del premier sul referendum non sono comunque solo i promotori dei comitati per il No o i parlamentari di Sinistra Italiana: «Mi impressiona l'uso strumentale che il presidente del consiglio sta facendo della scadenza referendaria, prescindendo del tutto dai contenuti della riforma», ha detto ad esempio anche Gaetano Quagliariello, ex Ncd ora a capo del suo movimento: «Mi sembra un modo per coprire le sue difficoltà e per 'scavallare' la prova delle amministrative». E sono invece queste, dice ancora Quagliariello, intervistato da Sussidiario, ad avere semmai un significato, perché sono un voto locale, sì, «ma nessuno può negarne la valenza politica».