
Ad agosto ha ricevuto un doppio incarico. Prima Renzi l’ha nominato vice segretario generale del Palazzo (e con lui sono diventati tre). Poi in piena sindrome da commissariamento l’ha anche designato commissario per Bagnoli, l’area ex Italsider di Napoli incrocio di appetiti così contrastanti da annullarsi tra loro, tormento e fallimento di 22 anni d’amministrazione partenopea. Una decisione a dispetto dell’anatema del sindaco Luigi De Magistris, non un adepto renziano e uno che di Nastasi farebbe volentieri polpette. Soprattutto ora che il nome del commissario è girato persino come candidato a Palazzo San Giacomo, sede del Comune, eventualità improbabile, voce assai fastidiosa.
Dal momento della doppia nomina è passato quasi un semestre. Il giorno della vigilia di Natale con il premier e con il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini in visita pastorale a Pompei c’era anche Nastasi, e in evidente confidenza con i due, è stato notato dai corifei del sito archeologico. Nel frattempo, oltre a Bagnoli, di mese in mese, sul suo tavolo sono approdati altri dossier. Quello sul turismo (l’Enit), sulla cultura, sul cinema. Nastasi evita di farlo sapere, non s’impiccia e minimizza. Di sicuro fa gli scongiuri e tace raccontano a Palazzo, e chi lo conosce sa che lo sforzo dev’essere inaudito. Molti scommettono che, prima o poi, sulla sua scrivania arriverà anche il fascicolo del dopo Expo.
Simbolo del gran potere dei mandarini della burocrazia, 42 anni, dodici mesi più vecchio di Renzi, conosciuto un decennio fa a Firenze al tempo della presidenza della Provincia e quando lui era commissario (un vecchio vizio dunque) del Maggio fiorentino, grande amico del grande amico del premier il sindaco Dario Nardella, Nastasi è l’ossimoro della rottamazione. O forse il risultato di una rottamazione più pragmatica, entrata nell’età della maturità. Nato a Bari, padre funzionario di Banca d’Italia, mamma magistrato della Corte dei Conti, può vantare una rete di parentele più estesa di quella per la pesca di un tonno rosso. Giulia, la moglie sposata cinque anni fa quando era già molto potente, è figlia di Giovanni Minoli e Matilde Bernabei e nipotina di Ettore, ex direttore generale Rai e molto altro. Espressione quasi metafisica del grand commis, è sopravvissuto a sette governi, a otto ministri. E a mille attribuzioni. Gianni Letta e quindi giù tutta la filiera, Guido Bertolaso, Luigi Bisignani, con le illazioni e le fioriture del caso. Ma anche Francesco Rutelli e quindi lo stesso albero genealogico-politico di Renzi e Filippo Sensi, alter ego portavoce del premier.
Chiacchierato e invidiato, esuberante, alto e massiccio, viso e barba da cantante lirico, è entrato al ministero per concorso nel 2000, diventando a 31 anni direttore generale, nominato da Rocco Buttiglione, poi capo di gabinetto di Sandro Bondi, Giancarlo Galan, Lorenzo Ornaghi, con Massimo Bray un idillio, andando a genio a destra e a sinistra. Un feudatario di rara potenza che gestiva e distribuiva una montagna di quattrini, per dirne solo una quella del Fus, il fondo unico per lo spettacolo, oltre che un collezionista di un’impressionante mole d’incarichi. Come quella di commissario (ma allora è più che recidivo) del teatro San Carlo di Napoli, missione affidatagli nel 2007 da Rutelli ministro della Cultura, e per scelte, nomine e indirizzo, anche una delle cause dei rapporti non da Castore e Polluce con De Magistris.
Ora, è partita la scommessa di Renzi su Bagnoli (e anche su Nastasi) con le visite sempre più ravvicinate in Campania, Pompei e Caserta a pochi giorni di distanza, l’accento sullo sviluppo della cultura, l’appello per Bagnoli nell’intervista al “Mattino” l’ultimo dell’anno.
Un’operazione simile a quella fatta con l’Expo. Nastasi come Sala, con le differenze del caso. Ma Bagnoli è scommessa da far impallidire Expo. Un’area immensa sottoposti a ogni sorta di vincoli, da riqualificare con l’Invitalia di Domenico Arcuri e con l’Anac dell’Anticorruzione di Raffaele Cantone. Un groviglio di sprechi, sequestri giudiziari, società da liquidare, scorie in una terra contaminata dalla malavita. Senza dimenticare lo scenario politico: il Pd napoletano sempre più conflittuale, l’ombra del ritorno di Antonio Bassolino, Vincenzo De Luca a Palazzo Santa Lucia. E un sindaco in campagna elettorale che considera Renzi Lucifero e la nomina di Nastasi frutto di «consorterie criminali» e presagio di speculazioni selvagge. Tanto da disertare la cabina di regia per Bagnoli e da provocare la stizza del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti: «De Magistris metta al primo posto gli interessi della città, non inutili personalismi», è sbottato. Nastasi non ha proferito verbo optando per l’aria maliziosa da gatto del Cheshire, quello di Alice (la favola, non la mail).
Secondo fonti informate e ciarliere, nell’incontro di agosto Renzi avrebbe fatto a Nastasi più o meno questo discorso:« Se rinasce Bagnoli, rinasce Napoli. E se rinasce Napoli rinasce il Sud. Mi devi risolvere Bagnoli». Scenari apocalittici ventilati, genere “Mani sulla città”, a parte, perché la scelta di Nastasi? Non è un manager come Sala, è un tecnico della cultura. Però conosce bene la città e i suoi poteri, dicono a Napoli, e dal palcoscenico del San Carlo ha avuto a che fare con bilanci e sindacati indigeni. Peccato che Bagnoli sia ben altro che un ente lirico. Ma chi l’ha visto all’opera sostiene che ha i nervi d’acciaio necessari per stare su un territorio difficile e rispondere per le rime agli attacchi. E va sottolineato che non è di poco conto occuparsi di Bagnoli dalla tolda di Palazzo Chigi.
Si diceva da tempo che Nastasi stesse per planare alla Presidenza del Consiglio. E si diceva anche che a frenare l’arrivo fosse lo staff dell’allora sottosegretario Graziano Delrio, non una pasqua di ritrovarsi al fianco un santino della burocrazia intoccabile così addentro ai labirinti delle amministrazioni. Fatto sta. Il trasloco di Nastasi avviene solo dopo la nomina di Delrio alle Infrastrutture. All’inizio sembra esserci solo Bagnoli con il via vai nella stanza del premier. Ma folgorato sulla via dell’Expo, Renzi cambia verso. E comincia a puntare alla cultura del paese, il suo ministro Franceschini batte come un picchio su questo tema. Risultato, il tavolo di Nastasi, che, dicono le anime buone del Palazzo contava i minuti, si riempie di dossier, la riforma dell’Enit, la nuova legge sull’industria del cinema e dell’audiovisivo. E su questo, c’è da tenere le fila della trattativa tra presidenza e ministero. È il brodo primordiale per l’eternità del grand commis. Ma in primis c’è Bagnoli e per Renzi far partire il recupero è quasi meglio che prendersi palazzo San Giacomo. Per Nastasi, ex direttore dello Spettacolo dal Vivo, sarà uno spettacolo dal vivo molto interessante. Questa volta dall’altra parte del palcoscenico e per tutti gli altri.