Chiunque prevalga, dovrà gestire un Paese in piena crisi di democrazia. Dimostrata proprio dalla gara referendaria: un derby deprimente condotto da due capi con le loro tifoserie al seguito

Referendum, chi ha vinto ha già perso

Si fosse desiderata una dimostrazione in corpore vili della crisi del Politico come principio ordinatore, non avremmo potuto auspicare prova migliore di questa campagna referendaria. La gara in questo senso tra No e Sì è apparsa rivelatrice, un’autentica “mini-apocalisse”(con le dovute eccezioni, naturalmente, ma relegate del tutto ai margini dell’agone) della perdita di ogni corrispondenza tra parole e cose, di propaganda politica precipitata a mera disinformazione, in cui il senso e il fine del confronto vanno totalmente perduti. Alle campane dei rischi autoritari (che esistono, eccome, ma su tutt’altri lidi, nel cuore stesso della crisi della democrazia rappresentativa) hanno risposto le trombe di un decisionismo strapaesano e l’inseguimento degli umori sui “costi della politica” (che sono in realtà quelli dell’inefficienza dell’intera macchina statale, della proliferazione legislativa, della sovrapposizione di competenze - tutte materie su cui l’ardua sentenza viene, come d’uso, rimandata ai posteri).
Editoriale
La libido referendaria e l’Italia al veleno
2/12/2016

La finzione suprema, poi, che ha finito col disorientare completamente l’opinione pubblica, si è realizzata riducendo a involucro formale del tutto superfluo i contenuti della riforma rispetto all’autentica posta in palio, e cioè i destini del governo (e del partito) di Renzi. E poco importa sapere di chi la colpa, o, come dicono i fanciulli, chi ha cominciato. Una riforma voluta a colpi di risicate maggioranze (contro il famoso “messaggio” di Napolitano al momento della rielezione e contro il senso di tutte le sue iniziative, va detto) da un leader neppure eletto, non poteva che avere questo esito.
null
Se questo è un dibattito costituzionale: lo stupidario del referendum
30/11/2016

Abbiamo perciò partecipato al deprimente spettacolo di un derby condotto sostanzialmente da due capi con tifoserie al seguito (più qualche comprimario che invano ha cercato di richiamare su di sé l’attenzione del pubblico). Capi onnipresenti, in tutti i formati e su tutte le reti, che incarnano, magari inconsapevolmente, quella crisi della democrazia rappresentativa di cui ho tante volte parlato anche in questa sede, nella loro irresistibile pretesa di esprimere immediate lo spirito del popolo, di far coincidere in sé rappresentante e rappresentato, con le loro ideologie di “democrazia diretta”, l’idolatria del web, l’idiosincrasia tipica di ogni Strapaese per ogni forma di pensiero critico.
[[ge:espresso:foto:1.289589:mediagallery:https://espresso.repubblica.it/foto/2016/11/29/galleria/dal-nazareno-al-governicchio-storia-del-referendum-in-dieci-foto-1.289589]]
Vinca il No o vinca il Sì, prevarrà poi nello sfortunato vincitore la ragionevolezza necessaria per riprendere il filo di un vero riformismo? Autonomia e responsabilità, nel loro nesso inscindibile, dovrebbero costituirne i principi. Autonomia fondata su assoluta chiarezza nelle proprie competenze e funzioni e sulla responsabilità nel reperimento delle risorse per adempierle. Ciò non sarà mai possibile con l’attuale assetto delle Regioni, con l’attuale sistema dei loro rapporti con lo Stato. Suona quasi risibile la solenne affermazione della Carta che la Repubblica è formata da Regioni, Comuni, Città metropolitane; la Repubblica è in realtà ancora lo Stato ministeriale, burocratico, romano-centrico; e questa riforma non lo muta pressoché in nulla.

Ancor più, un’autentica riforma dovrebbe svolgere, esplicitare il senso forse più profondo della Costituzione, quello che riguarda l’idea di popolo che vi si trova implicita: non multitudo , non turba di individui tutti uguali, da governare dall’alto attraverso frasi, promesse e soprattutto tasse (per chi le paga), ma pluralità di soggetti, che convengono autonomamente tra loro in organismi dotati di personalità giuridica e politica e ai quali perciò possono essere conferite funzioni rilevanti per il bene comune.

La nostra Costituzione auspicava il formarsi di un simile popolo; sessant’anni di centralismo, lo Stato-dei-partiti prima e la sua liquidazione senza alternativa poi, l’impotenza dimostrata da tutte le forme sindacali nel superare corporativismi e clientelismi, hanno finito col renderlo una vuota speranza? Sarà questo comunque il fronte su cui si decideranno, in un senso o nell’altro, le sorti della democrazia, e non solo in Italia.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Le crepe di Trump - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 13 giugno, è disponibile in edicola e in app