L'infanzia e la gioventù in Sicilia. La carriera da magistrato. L'ingresso in politica, voluto da Bersani. L'ascesa a seconda carica dello Stato. Lo scontro con Renzi proprio sulla legge poi bocciata al referendum. Vita e opera dell'uomo il cui nome circola, in queste ore, per Palazzo Chigi

Pietro Grasso, detto Piero, nasce il giorno di Capodanno del 1945 a Licata, provincia di Agrigento. A cinque chilometri da casa sua, un anno e mezzo prima, era avvenuto il primo sbarco degli americani in Italia, passato alla storia proprio con il nome di Licata Landing. Piero ha un anno e mezzo quando con la sua famiglia si trasferisce a Palermo, dove crescerà.

Nel 1957, a 12 anni, vede il cadavere di una vittima della mafia. È la prima spinta a entrare in magistratura: «Mi sembrava potesse avere un'utilità sociale». Anche in un tema delle medie, alla domanda “cosa farai da grande”, conferma questa sua intenzione.

A 15 anni si iscrive al liceo classico Giovanni Meli, uno dei più antichi e prestigiosi di Palermo. Dopo la maturità, inizia a studiare Giurisprudenza all'università di Palermo, dove si laurea nel giugno del 1966. Pretore a Barrafranca (Enna), viene poi trasferito alla Procura di Palermo. Per 12 anni è sostituto procuratore e dirige indagini come quella sull'omicidio di Piersanti Mattarella, fratello dell'attuale Capo dello Stato.
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Dal settembre 1985 è giudice a latere nel maxiprocesso alla mafia culminato con 19 ergastoli e 2.665 anni di reclusione. Nel febbraio 1989 è consulente della Commissione parlamentare Antimafia. Dopo la strage di Capaci, sostituisce Falcone come componente della Commissione Centrale per i programmi di protezione di testimoni e collaboratori di giustizia. Dal 1993 è alla Procura Nazionale Antimafia. Nel 1999 va a dirigere la Procura di Palermo. Dal 25 ottobre 2005 è Procuratore nazionale antimafia, a Roma.

Alla fine del 2012 viene candidato come capolista del Pd al Senato, regione Lazio. Si dimette dalla magistratura e viene eletto.

Alla nascita della legislatura, febbraio 2013, Pierluigi Bersani vuole aprire verso i 5 Stelle in vista di una possibile alleanza di governo. Allora decide di mandare alla presidenza delle due Camere esponenti della società civile estranei alla nomenclatura del Pd. Sceglie l'ex funzionaria dell'Unhcr Laura Boldrini per Montecitorio e l'ex magistrato Piero Grasso per Palazzo Madama. Entrambi sono neoparlamentari.

Da un'intervista a Lirio Abbate: «Il telefono di casa mia ha squillato intorno alle 8,30 di sabato (9 marzo 2013). Era Bersani che mi ha detto: "Abbiamo deciso di candidarla a presidente del Senato". La notizia mi ha colto di sorpresa. Anzi, ero felicemente sorpreso. Gli ho detto: "Devo sedermi un attimo, credo che le gambe stiano per cedermi". Bersani mi ha incalzato: "Non si sieda affatto, si alzi e venga alla riunione del gruppo"».

Dalla stessa intervista: «Prima del ballottaggio i senatori 5 Stelle non sapevano se astenersi o scegliere tra Renato Schifani o me. E allora hanno chiesto a entrambi una video dichiarazione da mettere in Rete: una sorta di ballottaggio telematico. Ho accettato subito l'idea, non avevo alcun problema a confrontarmi; Schifani invece ha detto no».

Il 16 marzo 2013 è eletto presidente del Senato con 137 voti, contro i 117 di Schifani. Per lui votano Pd e Sel. Il M5S si astiene ma almeno una ventina di loro votano per Grasso.
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Qualche giorno dopo iniziano le trattative per il nuovo governo. Interpellato dai giornalisti per un possibile incarico, Grasso risponde : «Per fare qualcosa per il mio Paese sono pronto a tutto». Nel mondo della politica è considerata una gaffe, perché è Bersani che punta all'incarico. Poche ore dopo Grasso rettifica.

Del marzo 2014 è invece il maggiore scontro con Matteo Renzi, da poco premier, che ha appena proposto quella riforma del Senato su cui poi si arriverà al referendum. Dice Grasso: «Non si può cambiare la Costituzione a colpi di fiducia. Bisogna ponderare la riforma del Senato, cercando di ottenere la massima condivisione anche delle opposizioni. Stiamo attenti». E sui contenuti della possibile riforma, cioè i consiglieri regionali che fanno anche i senatori: «Abbiamo dei principi: chi fa l'amministratore non fa anche il legislatore. Sono i principi che da sempre hanno ispirato la democrazia. Se poi questa ipotesi di riforma viene giustificata solo con il risparmio, basterebbe togliere un terzo dei deputati e dei senatori senza dover dare funzione legislativa agli amministratori locali».
Palazzo
Riforma del Senato, Pietro Grasso contro Renzi: 'Giù le mani dai miei poteri'
16/9/2015

«Non cambieremo una virgola. E nemmeno ci prenderemo una pausa di riflessione. Qui la sfida è tra conservazione e cambiamento», gli risponde Renzi. E Serracchiani: «Grasso è stato eletto nel Pd, deve accettarne le indicazioni».

Alle dimissioni di Napolitano, gennaio 2015, assume la carica di Capo dello Stato ad interim. SI sposta quindi provvisoriamente da Palazzo Madama fino al dirimpettaio Palazzo Giustiniani. Lo fa a piedi senza usare il corridoio sotterraneo «perché tutto deve avvenire alla luce del sole». Porta con sé alcuni oggetti feticcio: una lente d’ingrandimento, due foto, l’accendino di Falcone.

In quei giorni è considerato tra i papabili per il Quirinale. «Quando lo sento dire, mi turo le orecchie», risponde lui. In ogni caso Renzi, memore dello scontro sulla riforma Senato e in vista del referendum proprio su questo, gli preferisce Mattarella.

Dall'intervista rilasciata a Lirio Abbate, marzo 2013: «Ritengo Internet uno strumento indispensabile. L'ho sfruttato anch'io per la condivisione dei commenti dei cittadini su una proposta di legge, la mia prima presentata subito, il primo giorno da senatore. Mi sono adeguato a questo metodo, che è anche quello di Grillo, per raccogliere opinioni, quali che siano».

Da un ritratto di Susanna Turco, gennaio 2015: «Col tempo Grasso ha imparato a tradurre in politica la sua esperienza di magistrato - la cosiddetta “terzietà” - facendosi concavo e convesso a seconda delle occasioni, nel compiacere (o dispiacere) ora l’uno, ora l’altro, e ha saputo tenersi fuori dal vortice che per storia gli era destinato: quello dei rapporti tra politica e magistratura. Perennemente impegnato a onorare la memoria di tutti e di ciascuno, con pacchi di messaggi commemorativi per ogni occasione, ossequioso alle regole al punto da sentenziare l'impronunciabilità del nome del Capo dello Stato in un dibattito parlamentare, Grasso non sembra aver mai perso il filo del suo proprio futuro. Come disse nel 2013: "Per me questo è un passaggio, con nuovi obiettivi ma senza perdere i miei, di obiettivi"».