Renzi e le opposizioni sfiduciate sulla sfiducia

Mentre il premier incassa l’ennesima scontata fiducia sulle mozioni di 5 stelle e Forza Italia, continua il dibattito sul prossimo referendum costituzionale. «Non sia un solo quesito» propongono i Radicali, per evitare l’effetto plebiscito. Ma la proposta cadrà nel vuoto

Questa volta è arrivato presto, Matteo Renzi, per seguire il dibattito sulle due mozioni di sfiducia presentate al Senato dal Movimento 5 stelle e da Forza Italia e Lega nord, a partire dal caso Tempa Rossa e dall’inchiesta Petroli. È una vetrina troppo ghiotta, questa al Senato, per sprecarne anche solo un secondo. La fiducia è assicurata, infatti, e non solo per l’ormai consueto sostegno del gruppo di Denis Verdini: i numeri ci sono, e lo sanno bene anche le opposizioni, che lo ammettono nei loro interventi («Sono sfiduciato sulla sfiducia», scherza il leghista Centinaio) e che però non hanno rinunciato, soprattutto i cinque stelle, alla tentazione di riprendere il tema «della processione dei portatori di interessi» a palazzo Chigi, come detto dal senatore lucano Vito Rosario Petrocelli, 5 stelle.Grillo scrive sul blog, i parlamentari scrivono sui social e intervengono in aula. «Sfiduciamoli» dicono i 5 stelle, distanti solo nel garantismo sulle indagini di Potenza dalle parole dei forzisti, che in aula, con l’intervento di Lucio Malan, e nella mozione, hanno puntato più sui dati dell’economia che non sulle inchieste o sul caso Guidi. Tolta la ripetitività del dibattito, per Renzi la giornata è però positiva, e dopo aver incassato il fallimento del referendum sulle trivelle può alzarsi e parlare, sereno, già prima che i senatori votino: «Di Maio e Salvini avevano detto che queste mozioni sarebbero passate, che sarebbe stata la volta buona. Centinaio ha spento ogni mia speranza. Aspetteremo pazientemente». «L’accusa mossa all’esecutivo», dice, «è sostanzialmente quella di totale inadeguatezza. Può essere una valutazione soggettiva, per carità, ma noi in questi due anni abbiamo fatto quello che c’era da fare». E il Senato, si intende, lo sa
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Renzi risponde anche sulla vicenda delle inchieste e così sul suo rapporto con la magistratura: «Sono dalla parte dei giudici, ma non delle veline che violano il segreto istruttorio», dice, «un avviso di garanzia è stato per oltre vent’anni una sentenza mediatica definitiva. Vite di persone per bene sono state distrutte. Oggi qui io dico che l’avviso di garanzia per questo governo non è mai una condanna».

È convinto, peraltro, Renzi, che «l'unica rilevanza penale della vicenda di Potenza, sarà la nostra denuncia al movimento 5 stelle per la diffamazione ai danni del Pd, e spero che rinuncino all'immunità parlamentare, “i cittadini”».Si potrà dimenticare presto, dunque, questo ennesimo voto di fiducia. Quello che invece ci accompagnerà per mesi è il dibattito sul referendum costituzionale su cui saremo chiamati a votare in autunno, ultimo di una serie di appuntamenti elettorali certo più scivolosi, per Renzi, dei voti parlamentari.

Dopo il voto sulle trivelle, infatti, ci saranno le amministrative di giugno, con le difficili partite di Milano, con Parisi vicinissimo a Sala, di Roma, con Giachetti staccato da Raggi e braccato da Meloni, e di Napoli, dove dovrebbe esser riconfermato l’uscente De Magistris, candidato della sinistra, a discapito di Valente, candidata sostenuta da Renzi e Matteo Orfini. E poi, dopo le amministrative, ci sarà il referendum sulla riforma costituzionale, appunto, voto su cui Renzi dice da tempo di volersi «giocare tutto».Due, sul tema, sono le notizie di giornata. La prima è che sono state raccolte alla Camera le firme necessarie per la richiesta di convocazione del referendum, che è quindi chiesto dalle opposizioni, tutte insieme, da Forza Italia ai 5 stelle, anche se arriverà una seconda richiesta con la proposta di un quesito firmata dai sostenitori della riforma e quindi dal Pd, che ha fatto sapere di aver aspettato la mossa delle opposizioni «per evitare polemiche».La seconda notizia è invece che i Radicali sono tornati a sollevare il problema del quesito unico, troppo variegato, affrontato anche da altre forze politiche di opposizione, nelle scorse settimane, e spiegato all’Espresso da Michele Prospero, commentando il risultato della consultazione sulle trivelle. «Sul referendum costituzionale di ottobre», notano i Radicali per bocca del segretario Riccardo Magi, «si sta preparando una nuova "guerra santa" tra il governo in cerca di plebisciti e le opposizioni che preparano la spallata a Renzi».

Ed è per uscire, per quanto possibile, da «questa logica da dittatura sudamericana», che la proposta è presto fatta: «Si voti la riforma Boschi per parti separate o con i referendum parziali, su singoli aspetti della revisione della Costituzione», propongono, «ci sono infatti alcune modiche che, secondo i sondaggi, riscontrano tra gli italiani un consenso dell'80 per cento, e altre solo del 30». «Imporre ai cittadini di votare in blocco una modifica così ampia e su punti così diversi della Costituzione», dicono i Radicali, pensando ai 47 articoli modificati dalla riforma Boschi, «violerebbe il principio di libertà di voto e sarebbe con tutta probabilità incostituzionale».

La proposta però è destinata a cadere nel vuoto. Perché tanto la richiesta delle opposizioni quanto quella del Pd chiedono di esprimersi sull’intera legge, citando il solo titolo della riforma. «Lo abbiamo fatto per evitare una bocciatura della Corte che avrebbe potuto respingerci i quesiti spacchettati, pur sapendo che la giurisprudenza richiede un’omogeneità del quesito che in questo caso purtroppo non ci sarà», spiega all’Espresso il deputato di Sinistra Italiana Stefano Quaranta, che con Danilo Toninelli (M5S), Roberto Occhiuto (FI) e Cristian Invernizzi (Lega) ha depositato le firme in Cassazione: «ma i Radicali hanno ragione, tant’è che noi avevamo chiesto dal principio di spacchettare e discutere la riforma in diversi testi, perché l’abolizione del Cnel poco c’entra con il titolo V o con il meccanismo di elezione del presidente della Repubblica. Ci è stato ovviamente risposto di no, ai tempi, e che dall’intera riforma dipende il successo della legislatura e il destino del governo».

L’unica speranza, dunque, è che altri 126 parlamentari sottopongano alla Corte i quesiti spacchettati, lasciando poi decidere all’ufficio elettorale quali eventualmente far passare e come eventualmente accorparli o farli convivere con quello unico che avrebbe comunque proposto la maggioranza di governo. Più difficile è la via della proposta popolare, raccogliere cioè 500mila firme su una serie di quesiti specifici, su come - ad esempio - la riforma, pur abbassando il quorum, aumenti le firme necessarie a chiedere un referendum abrogativo, che passano da 500mila a 800mila.

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