E' una 5 stelle 'atipica', eppure è riuscita a intercettare i bisogni dei quartieri dimenticati del capoluogo piemontese. In giunta porta nomi meno noti e professionisti di lungo corso. E la sua prima mossa sarà l'istituzione di un fondo da 5 milioni di euro per le assunzioni di giovani

Tutta colpa delle periferie (non più solo) operaie. A Torino la lettura dominante del tripudio pentastellato parte proprio da qua. Dai malumori di quartieri che si chiamano Barriera di Milano, Vallette, Mirafiori. Se infatti in città, nel complesso, la Appendino ha battuto Fassino con un distacco di poco superiore ai 9 punti percentuali, in queste zone ai margini della città la forbice sfiora addirittura il 30 per cento. Il trend era già chiaro al primo turno, ma al ballottaggio, con l'innesto dei voti del centro-destra, il mix si è rivelato micidiale. Riflesso infausto del nuovo tripartitismo, ha commentato a giochi fatti Piero Fassino. Che, pure, con una lunga rincorsa, ci aveva provato a ricucire lo strappo, mettendo in luce quanto di buono negli ultimi cinque anni ha realizzato, anche nelle zone più periferiche di Torino.
 
Troppo tardi. E tant'è. A intercettare i bisogni e le aspettative di questa faccia dimenticata del capoluogo piemontese ci ha pensato Chiara Appendino. Che, a ben vedere, di "periferico", sulla carta, ha ben poco: 32 anni, laurea con lode in Bocconi, e oggi manager nell'azienda del marito. Un proficuo stage nel controllo di gestione della Juventus. E soprattutto - lo hanno ricordato a più riprese i suoi avversari - un padre che di mestiere ha fatto per tre decenni il dirigente e oggi è presidente esecutivo dell'azienda del presidente di Confindustria Piemonte, Gianfranco Carbonato. Per il suo background da "Torino bene" in molti l'hanno bollata come 5 Stelle atipica.
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La passione per il movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio nasce nel 2010, per caso, quando si ferma a un banchetto, mentre fa la spesa al mercato di Porta Palazzo. Il passo verso il Consiglio Comunale è breve: appena un anno dopo, infatti, assieme al collega Vittorio Bertola, è già a dare battaglia dagli scranni dell'assemblea cittadina. Non senza creare qualche mal di pancia al primo cittadino, che solo un anno fa, ignaro, sbotta: «Un giorno lei si segga su questa sedia e vediamo se poi sarà capace di fare tutto quello che oggi ha auspicato di poter fare». Seconda infausta profezia che ancora a lungo perseguiterà Fassino.
 
Soprattutto, la Appendino è una torinese dalla capacità – arriverà il momento per capire se, nel bene o nel male - di far dialogare e convivere più anime di un movimento eterogeneo come quello a 5 punte. Basta dare un'occhiata alla squadra che porta con sé alla guida del Comune.

In giunta - scelta con una chiamata pubblica e in base al curriculum degli aspiranti assessori - si ritrovano, accanto a nomi meno noti, professionisti di lungo corso, come Sergio Rolando, 68 anni, scelto per seguire il Bilancio, già direttore dei conti e delle risorse finanziarie della Regione Piemonte durante la legislatura del leghista Roberto Cota. Esponenti di spicco del mondo associativo, come Marco Giusta – alle Pari Opportunità - presidente torinese e membro della segreteria nazionale dell'Arcigay. O ancora, Sonia Schellino, che dal 2001 si occupa di filantropia e no profit per la Compagnia di San Paolo e con la Appendino avrà le deleghe al welfare e alla casa. Ma a chi ha storto il naso, durante la campagna elettorale, la Appendino ha ribattuto: «Per noi la trasparenza, la competenza e la partecipazione sono principi imprescindibili, perché riteniamo sia stravagante nominare assessori senza competenze specifiche solo perché portatori di pacchetti di voti e quindi individuati con il manuale Cencelli».
E chi ieri sera ha seguito da piazza Carlo Alberto l'ultima puntata della sua escalation verso la vittoria ha potuto capire che la Appendino - come lei stessa ama ricordare - è solo «la punta di un iceberg». Di quelli che affondano i Titanic. Da quella piazza, poco prima di mezzanotte, gli attivisti si sono mossi in massa verso il Comune. Con loro alcuni esponenti M5S di spicco: i parlamentari torinesi Laura Castelli, Ivan Della Valle e Alberto Airola e il sindaco di Livorno Filippo Nogarin.
 
«Le roi est mort, vive le roi!» mormorava, intanto, qualcuno a denti stretti nei corridoi del Comune, mentre alle porte, a gran voce, gli attivisti già premevano per entrare a Palazzo, scandendo «Onestà! Onestà!». Ma il messaggio che la vittoria della Appendino porta con sé non ha davvero il sapore della continuità monarchica ancien régime. Tanto se ne è parlato, nella città sabauda, durante questa campagna elettorale: se il "sistema Torino", quello fatto da una classe dirigente priva di ricambio, dei soliti noti messi ai soliti posti di potere, esiste o è davvero esistito, allora i suoi anticorpi, questa volta, non hanno funzionato. Il virus è dilagato. Il nuovo sistema, oggi, anche a Torino, è tutto grillino. E la Sala Rossa, da domani, per i 25 seggi sui 41 occupati dai pentastellati, sarà una grande macchia gialla. Le prove generali sono finite. È arrivato il tempo di governare. Il primo banco di prova? L'istituzione di un fondo da 5 milioni di euro per favorire nuove assunzioni di giovani.