Dopo aver tentato di rinviare la questione a settembre, Grasso impone di votare subito l'autorizzazione a procedere. Piovono critiche. Ma alla fine l'asse Pd-M5S-Lega-Sel supera la prova dello scrutinio segreto

E adesso per Antonio Caridi si aprono le porte del carcere. Dopo due giornate travagliate, fra rinvii e colpi di scena, tentativi di buttare la palla in tribuna, minacce e insulti, all'ultimo minuto prima delle vacanze l'Aula del Senato vota a favore dell'arresto del parlamentare di Gal (dirigente di Forza Italia in Calabria), accusato dalla Procura antimafia di Reggio Calabria di far parte della componente riservata dalla 'ndrangheta. Un risultato frutto, certo non casualmente, proprio della determinazione di un ex magistrato: Pietro Grasso. È il presidente del Senato, infatti, che - per superare la melina che puntava a rimandare a settembre la questione - di prima mattina comunica l'intenzione di invertire l'ordine del giorno e votare l'arresto del senatore prima della riforma dell'editoria, come da calendario dei lavori.

Rientra nelle sue facoltà, ma ovviamente piovono critiche. Forza Italia, nemmeno troppo velatamente, lo rimprovera di una non meglio precisata slealtà e di aspettare che sulla richiesta di carcerazione si pronunci il tribunale del Riesame. I verdiniani lo accusano addirittura di "intaccare la democrazia". E non la prende granché bene nemmeno il Pd, che si limita a "prendere atto" della decisione senza troppo entusiasmo. Non a caso sono i grillini gli unici a battere le mani a Grasso, con cui pure i dissapori in passato non sono mancati.


Il fatto è che la mossa del cavallo del presidente del Senato mette spalle al muro proprio i democratici, che coi Cinque stelle, Sel e la Lega hanno sulla carta i numeri per concedere l'autorizzazione a procedere. Invece si diffonde il timore che la "forzatura", come la ritiene più d'uno, alla fine finisca per favorire Caridi: il centrodestra inizia a far circolare l'intenzione di far mancare il numero legale, l'incertezza derivante dal voto segreto fa il resto.


Gli animi intanto si surriscaldano, fra azzardati paragoni fra Giacomo Matteotti ed Enzo Tortora, citazioni colte (l'arresto dei deputati girondini durante la Rivoluzione francese) e beffardi segni delle manette in direzione di Caridi, fatti da alcuni pentastellati mentre lui parla. Il diretto interessato, dal canto suo, si difende, si proclama innocente, definisce l'accusa di associazione mafiosa "sconvolgente e ingiusta": "Non ho mai avuto rapporti o stipulato patti con il crimine organizzato, non ho mai partecipato ad organismi segreti né a logge massoniche, non ho mai svenduto il mio ruolo". Quindi la mozione degli affetti: "Affido alla vostra coscienza di parlamentari l'integrità del Senato prima ancora che la mia libertà".


Ma alla fine l'Aula lo condanna. E, come ironizzano con eccesso i Cinque stelle, l'agognata estate la trascorrerà al fresco del carcere anziché al fresco del mare.