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Del resto “Massi”, come lo chiama tutt’ora il padre Maurizio, ?è uno che le idee le aveva chiarissime sin da quando, a quattro o cinque anni, sciolse in cuor suo uno degli spinosi dilemmi dell’età pre-scolare: tra il nonno e la nonna, optò per la nonna. Di nome Nella, di fede democristiana convinta.
Così, nel comprensorio di Verona nel quale ?ha trascorso i primi anni, nella lotta tra cinquenni democristiani e cinquenni comunisti, Fedriga stava convinto coi democristiani. E, in fondo, non ha più smesso. L’anima è rimasta quella, per quanto il cuore l’abbia portato presto e per sempre alla Lega, che tifava già dodicenne e alla quale si è iscritto che era ancora minorenne, liceale al Galileo Galilei, con l’autorizzazione firmata dai genitori.
Enfant prodige del gazebo e del volantino, quando per dire faceva l’università a Scienze della Comunicazione, era già così scafato da utilizzare i materiali raccolti durante la vera campagna alle regionali di Federica Seganti, della quale aveva fatto da addetto stampa, per comporre la sua tesi di laurea sulle campagne elettorali. Non si butti via nulla: un esempio ante-litteram d’alternanza scuola-lavoro, in fondo. Con lo stesso spirito, nel tempo Fedriga s’è fatto largo nella Lega. Un po’ voluto, un po’ subito.
Primo triestino a fare da segretario regionale, in un partito che da sempre è radicato in tutta la regione tranne che a Trieste, e senza nemmeno ?un personale bottino di voti tale ?da giustificare la scelta. Dice Fedriga anche oggi che una sola cosa lo distingue dall’adorato Matteo Salvini, ed è quella che ha fatto la sua fortuna: “Il metodo”. Da subito ?in effetti si è distinto per i modi: la tessitura paziente con tutti gli alleati possibili; la faccia pulita; i modi sobri, nei quali l’urlo è sforzo, l’insulto ?è fatica, l’espulsione dall’Aula ?(lo scorso anno quindici giorni, il massimo per un capogruppo nella storia della Repubblica) è una specie di spaesata liberazione per uno troppo educato per pensare di portare il rutto a dignità di linea politica.
Raccontano, per esempio, che quando lui era soltanto segretario cittadino a Trieste, e la Lega Nord galleggiava attorno ai suoi minimi storici, meditava le dimissioni per ?i risultati scarni: poi ha imparato. Nel 2008, pur potendo vantare solo 378 voti da candidato al consiglio regionale, come deputato prescelto grazie ai meccanismi del Porcellum (aveva rapporti ottimi con l’allora commissaria Manuela Dal Lago, quindi era stato piazzato terzo in lista) è sbarcato a Roma, destinato ?a brillare tra i conterranei Pittoni ?e Follegot.
Così, novello Roberto Cota del nord-est, e peraltro di famiglia cattolica, Fedriga incarna un po’ l’anima democristiana della Lega: quella che gli ha permesso, così giovane e così triestino, di diventare capo della litigiosissima Lega friulana, e che ?gli consente adesso - grazie anche all’età che ne fa una novità più forte del forzista Riccardi lanciato ?da Berlusconi - di sognare la corsa regionale. «Io sono più tranquillino», ha detto giorni fa per radio, tra ?un complimento e l’altro ?al segretario leghista. Del tutto in linea, nonostante le apparenze di novità, con una certa tradizione leghista, che prevede appunto il poliziotto cattivo (Salvini), che dice degli immigrati clandestini «rimandarli indietro con noccioline e gelato», e il poliziotto buono (Fedriga) che postilla: magari senza dire noccioline e gelato, eh. Così, con una storia che ha una sua perfetta logica, anche Fedriga negli anni ha conquistato un suo piccolo cerchio magico.
A Trieste, per dire, ha piazzato ?in giunta due amici d’infanzia: l’assessora alla Comunicazione Serena Tonel ma soprattutto il suo pupillo, il vicesindaco Pierpaolo Roberti, che a sua volta ha scelto per sé il ruolo d’epigono di Gentilini o di Borghezio, e spara ordinanze di quelle che piacciono - come usa dire - alla “pancia”. Come si vede, relativa è l’innovazione. E del resto come ?è costume d’oggi, ovunque possa anche Fedriga piazza le sue sentinelle. Fidandosi più di fuoriusciti o neo acquisti che di leghisti e basta. Dice del resto lui d’essere pronto al nuovo salto, e sospira che bisogna sbrigarsi, perché Debora Serracchiani sta «devastando la regione». Sa alla fine anche lui che sbrigarsi conviene, perché le riforme di sanità ed enti locali fatte in fretta e furia dalla governatrice Pd, ora come è ovvio nel picco del dissenso, non tarderanno molto a produrre risultati. E allora, correre per prendere il suo posto, diventerà più difficile.