Elezioni comunali a Palermo: i partiti cambiano ma i candidati restano gli stessi
Cinque anni dopo, i sondaggi per le amministrative danno ancora per favoriti Leoluca Orlando e Fabrizio Ferrandelli. Stesse facce ma con casacche diverse, come nell'Opera dei pupi
di Roberto Di Caro
31 maggio 2017
Sono un gioco di “paper dolls”, le elezioni comunali di Palermo l’11 giugno, eventuale ballottaggio il 25. Uno di quei cartoncini dove i bambolotti sempre gli stessi sono, ma a seconda degli abiti che ritagli e gli metti addosso diventano poliziotto, marinaretto, bodybuilder, supereroe, sindaco...
Cinque anni fa Leoluca Orlando si riprese Palazzo delle Aquile con le casacche di Italia dei Valori e Verdi, Rifondazione, Comunisti italiani, battendo 3 a 1 al ballottaggio Fabrizio Ferrandelli, vincitore delle primarie e candidato di Partito Democratico, Vendola e vizziniani. In Consiglio, quattro anni e mezzo di dura opposizione del Pd alla giunta, ma a marzo chi diventa candidato di democratici e alfaniani, ancorché orfani dei loro simboli di partito? Leoluca Orlando. E chi sarà mai il suo competitor? Di nuovo Fabrizio Ferrandelli. Che però, sopra la camicia dei suoi civici “Coraggiosi”, indossa ora la blusa di Forza Italia, con tanto di simbolo, e il panciotto di Cantiere popolare, la formazione di Saverio Romano, ritorno all’agone politico dell’ex-presidente della Regione Siciliana Totò Cuffaro dopo cinque anni di carcere, come un leone che non può fare a meno di cacciare le gazzelle, ce l’ha nel sangue.
Dati per favoriti nei sondaggi, i soliti due si contendono Palermo un po’ come nell’Opera dei pupi sono sempre Orlando il paladino e Rinaldo suo cugino a disputarsi i favori della bella Angelica, con alleati che vanno e vengono. Ma se la dovranno vedere con gli altri quattro in corsa. Ugo Forello, che dal Comitato AddioPizzo due anni fa entra nei Cinquestelle e fa fuori il vecchio gruppo dirigente, una vicenda da spy-story tra firme false e registrazioni finite in Rete di audizioni romane interne al Movimento. Ismaele La Vardera, che ti ritrovi candidato di Salvini e Meloni, lui ventitreenne giornalista delle Iene. Nadia Spallitta, storica figura della sinistra, eletta con Orlando, passata al Pd quando il Pd era contro Orlando, da tre mesi nei Verdi per cui è candidata. Sempre uguale, se non altro, l’abito di Ciro Lo Monte dei “Siciliani liberi”: talare, lui che a 18 anni ha «scoperto la chiamata all’Opus Dei».
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Palermo, quinta città d’Italia per popolazione, è la più grande tra quelle al voto l’11 giugno, dunque la partita vale di per sé: ma, vedremo, i vari attori in loco e a Roma ne attendono l’esito per disegnare strategie e alleanze in vista delle Regionali siciliane il 5 novembre e delle prossime politiche nazionali. Certo è bizzarra questa campagna elettorale palermitana. Ferrandelli si finge taxista, carica gratis ignari cittadini, si presenta, li fa parlare, risponde, filma tutto e ogni settimana mette sul sito un montato, su periferie, municipalizzate, giovani e così via. Ugo Forello Gira pure, talora, in motoape. Lo batte La Vardera, nativo digitale: un operatore lo segue sempre, riprende ogni cosa faccia o dica, poi video a raffica sulla pagina facebook. Alzi il naso in giro e, appeso a ogni cartello col nome di una via, ce n’è uno largo uguale che recita “Scrivi Orlando”, al confronto un tweet è Guerra e pace, “La Vardera il sindaco dal 12 giugno”, tanto al ballottaggio non ci arriva e per lui partecipare è già vincere, “Forello #cambiamo tutto”, figurati se mancava l’hashtag, ma un azzardo o una svista, nella terra del principe di Salina, cambiare tutto perché nulla cambi.
Niente estenuanti contrattazioni sui dibattiti, qui tutti vanno ovunque, opening già ai primi di maggio dal parroco di Settecannoli, salvo snobbare il confronto sulla cultura, lo organizzava un’associazioncina, pochi voti in ballo, sai com’è. Quanto ai toni, Orlando e Ferrandelli battagliano senza esclusione di colpi, ma quando chiedi loro di Forello il Cinquestelle, dato dai sondaggi intorno al 20 per cento, ti rispondono «che bisogno c’è, si fa male da solo» e «un peccato la polemica sulla sua gestione di AddioPizzo»: tattica Coca e Pepsi, guerra diretta per spartirsi il mercato emarginando le altre bibite gassate.
Le mazzate i due se le riservano uno per l’altro. Leoluca Orlando spara alzo zero: «C’è di nuovo Cuffaro in campo! Il rischio è che torni la palude! Noi siamo ora Capitale della Cultura 2018, la quarta città turistica d’Italia, l’unica senza un solo appalto privato nell’acqua e nei rifiuti, con il bilancio a posto. La Corte dei Conti ci ha elogiato per come abbiamo messo a regime le partecipate. Ci stiamo liberando dall’egemonia di un blocco politico cominciata nel 2001», l’anno del 61 a 0 per Forza Italia alle politiche e della sconfitta di Orlando alle regionali per mano di Cuffaro; «oggi quella coalizione, che ci ha fatto vergognare di essere palermitani e siciliani, è alternativa alla mia e sostiene Ferrandelli. Evviva! Nessuno potrà dire di non aver capito». Pure Alfredo Morvillo (senza far nomi, il cognato di Falcone è il nuovo procuratore di Trapani) ha detto alla commemorazione per i 25 anni della strage di Capaci che qualcuno, non potendo candidarsi perché condannato per mafia, sostiene e pilota politici da dietro le quinte.
«I cuffariani? Ma sono una categoria dello spirito!», glissa via Fabrizio Ferrandelli, «ne vedo più alle assemblee Pd che nelle mie liste, a me spero siano rimasti i migliori. Questa città ha l’età anagrafica di chi l’amministra. È vecchia, sfiduciata, imbolsita, a pezzi. La Corte dei Conti l’ha bacchettata sui bilanci. Non ha una seria offerta di intrattenimento, i turisti vanno altrove, i ragazzi fuggono in cinquemila ogni anno. Le borgate marinare smobilitano, alla Vuccirìa la movida non esiste più, di nuovo si spaccia a cielo aperto e si spara»: dopo tre anni di pace tra le cosche, lunedì 22 alla Zisa due killer hanno freddato l’anziano boss Giuseppe Dainotti. Gli autobus, poi: «Vecchi e rotti, ne escono 187 al dì sui 450 previsti, li aspetti anche un’ora e mezza. Votato 5 anni fa perché era l’usato sicuro della primavera palermitana, questo Orlando in versione stanca è un’auto usurata. Da noi la rottamazione s’è fermata a Reggio».
Dove i due si somigliano è sulla strada. Baci e abbracci per tutti: fu un’ingiustizia appioppare al solo Cuffaro il soprannome “vasa vasa”. Con tono accorato Orlando parla nei quartieri alla nostalgica del ’91 quando pure lei era nella Rete, al bambino che gli chiede dei migranti e lui risponde che chi arriva a Palermo è palermitano, agli abitanti del Cep che lo contestano per i trasporti che non funzionano e la vita che langue. Ferrandelli, una borgata alla volta, la mattina dalle 7 alle 9 fa il giro dei caffè e delle 400 parrocchie, a seguire i 25 mercati rionali e le kermesse dei mille candidati che lo appoggiano nelle 8 circoscrizioni. Lo segui a Sferracavallo con la sindacalista rossa Rosi Pennino (se vincerà, sua assessora ai servizi sociali) e a dirgli voterò per te sono l’ambulante «perché solo la destra fa i miei interessi» e il pensionato socialista «perché io ho sempre votato a sinistra».
Un marasma di appartenenze. Il Pd a spezzatino: al voto sul bilancio preventivo 2017 nel novembre scorso, dei suoi 8 consiglieri 2 erano assenti, 2 astenuti, 2 favorevoli, 2 contrari. Brandelli della sinistra sparpagliati nelle liste un po’ dappertutto di qua e di là. Orlando da tre anni chiede il commissariamento della Regione ma se vince si ritroverà in Comune con la stessa maggioranza di Crocetta a Palazzo d’Orléans. «Non ci sono simboli di partito nelle mie liste», replica; «per 5 anni Palermo ha ancora bisogno di un sindaco senza un partito, in condizione di dire: no! E tale io sono rimasto».
I partiti: con loro, senza di loro, contro di loro. Già nel fantasioso mondo dell’autonomia siciliana anche la legge elettorale è prêt-à-porter, secondo i dettami della moda: nella stagione 2012 è di rigore l’antipolitica stretta, contano gli uomini, i partiti a cuccia, così la croce sulla lista non finisce automaticamente sul candidato. Poi i partiti rialzano la testa, basta con l’eccesso di personalizzazione, siamo noi il perno e gli attrattori dei voti: quelli alla lista tornano così a contare per il candidato sindaco. Inoltre, per non rischiare ballottaggi coi Cinquestelle, dovessero mai arrivare secondi, al primo turno si vince ora con il 40 per cento anziché il 50 come nel resto d’Italia.
Finezze dell’architettura elettorale arabo-normanna. Calcolo malaccorto per il Pd. Che cede e non presenta il simbolo, trattative «solo romane, con Graziano Delrio e Lorenzo Guerini», confida Orlando. Malumore di Antonello Cracolici, assessore regionale, leader di uno dei tre principali tronconi del partito siciliano: «Una scelta che non capisco. Ci hanno spiegato che apre prospettive nazionali di un campo allargato, ma il Pd dovrebbe esserne il traino, non finire sott’acqua. Spero sappiano ciò che fanno». Giancarlo Cancelleri e Beppe Grillo Calcolo azzeccato invece, per Forza Italia: che dopo una lite a marzo la spunta e Ferrandelli accetta il simbolo. Il regista, «col permesso di Berlusconi», è Gianfranco Miccichè, di nuovo vicerè di Silvio nell’isola. Anche per lui, «vincere a Palermo è mettere un cappello sulla Regione a novembre, e vincere lì è metterlo sull’Italia. Specie ora che di nuovo il simbolo attira». Racconta che Fabrizio l’ha incontrato un anno e mezzo fa dal barbiere, amico di sua figlia: «Sì, potrebbe essere mio figlio. Lascia perdere la Regione, gli dico, se ti candidi a sindaco io sono pronto a portarti il centrodestra. Resisto ai nostri che vogliono candidarsi, finché Fabrizio accetta. Non ha bisogno di grandi suggerimenti, neanche li ama gran che, io non entro a gamba tesa su programmi e campagna elettorale.Ma se vinciamo qui, e se Giorgia Meloni torna in quel centrodestra che è il suo mondo, escludo che un grillino diventi fra sei mesi il nuovo presidente della Regione Siciliana. Non sarà di nuovo 61 a 0 (quella fu un’operazione di marketing, la inventai io, Berlusconi mi disse “dichiara solo che ti ho cazziato”), ma Palazzo d’Orléans ce lo riprendiamo».
Sondaggi e bookmakers danno però per vincitore a novembre Giancarlo Cancelleri, il leader Cinquestelle in Sicilia. Nella guerra fratricida fra Ugo Forello e l’ormai ex Riccardo Nuti, Cancelleri è riuscito a non compromettersi e a tenere insieme il movimento. A Palermo Forello, pur ammaccato da veleni e polemiche sulla gestione di AddioPizzo, conta «su un discreto numero di voti disgiunti già al primo turno. E, creda, se andiamo al ballottaggio vinciamo noi».