Gli schieramenti che lavoravano al proporzionale riscoprono la bellezza di coalizioni e maggioritario. E mentre i Cinque stelle riprendono a sventolare la bandiera anti-sistema, Renzi e Salvini puntano alle urne nel 2017

E adesso i partiti si preparano a uno strategico reset. Una bella tabula rasa di ciò che s’è tessuto sin qui, ancora tutta da dispiegare: solo un assaggio, forse, nel fatto che Matteo Renzi - passata l’era della playstation da premier - da segretario del Pd se ne è finalmente andato sui luoghi del terremoto di Amatrice e Accumoli dicendo un vago “buoni i dati delle amministrative”.

Da venerdì a oggi, in effetti, sembra passato un secolo. Quel che (esagerando) preconizzava un boom a Cinque stelle, ora (esagerando) vede solo il flop: come se si trattasse delle politiche (“illudetevi che abbiamo fallito”, puntualizza Grillo dopo ore di silenzio 'il M5s è la forza più presente”, 225 liste contro le 134 del Pd, che “è camuffato in metà dei Comuni”).

Quel che negli ultimi tre giorni puntualizzava: 2018 (nel senso delle elezioni a scadenza di legislatura), adesso ricomincia a dire di nuovo (ma chissà per quanto): 2017, nel senso del voto anticipato. Quel che fin qui parlava la lingua del proporzionale, ora parla la lingua del maggioritario; e Matteo Salvini ha già cominciato a farlo esplicitamente. Quel che sin qui diceva ciascun partito per sé, ora grida: coalizione. Una sorpresa, questa sì, che ha riguardato soprattutto il centrodestra, l’area che sembra aver più guadagnato da questa tornata amministrativa. Silvio l’azzurro si frega le mani (deve solo digerire Salvini), Matteo il democratico un pochino meno (vedersela con gli scissionisti di Mdp e Pisapia, auguri); i Cinque stelle quatti quatti potranno se vogliono tornare a fare il partito dell’antisistema (un ruolo comodissimo, la vocazione originaria).
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Potere delle elezioni amministrative: quelle del 2016, con le vittorie a Cinque stelle a Roma, Torino e in generale in 19 ballottaggi su 20, fecero partire la campagna di delegittimazione dell’Italicum, la legge elettorale voluta da Renzi, con l’argomento che avrebbe fatto stra-vincere Luigi Di Maio. Ora, nel 2017, sembrano aver frenato le ambizioni governative giusto di un Di Maio - con l’ala sciamannata che riprende quota - e messo una pietra tombale (bisognerà vedere però il secondo turno) sui sistemi simil-tedeschi, post-Consultellum, e comunque squisitamente proporzionali, di cui fino a giovedì s’è parlato.

Amministrative 2017
La notte in cui evapora l'effetto M5S e la politica torna al suo passato
12/6/2017
Di certo, col senno del poi, nulla di più salutare che far crollare alla Camera subito prima del voto l’accordo a quattro tra Pd, M5S, Fi e Lega per la legge elettorale simil-tedesca. Altro che “complotto”, altro che “inaffidabilità”: s’è fatto piazza pulita al momento più opportuno. Domani a Montecitorio tornerà a riunirsi la commissione Affari costituzionali dove la proposta di legge elettorale - detta da taluni Fianum - è stata rispedita alla fine della settimana scorsa.

Cosa si diranno? Nessuno ne ha per ora idea, ma il leader leghista ha già messo il dito sulla contraddizione: “Se Berlusconi vuole l'unità del centrodestra, dovrebbe scegliere il maggioritario e non il modello proporzionale del 'votami e poi ti spiego cosa faccio dopo”, ha detto in conferenza stampa. Eppure, quel modello proporzionale era appunto l’oggetto dell’accordo a quattro di cui faceva parte anche la Lega, prima del voto. Come traslocheranno, tutti quanti? Lo faranno davvero? “La tornata elettorale per le comunali porterà ulteriori elementi di riflessione” dice il capogruppo azzurro Brunetta, enigmatico.
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E il voto, il voto? Ancora nella notte, dal Nazareno, Matteo Renzi diceva e faceva dire di essere fermissimo sull’ipotesi 2018. Il timing, cioè, risorto dopo il crollo dell’accordo sulla legge elettorale: niente voto in autunno, si va alla scadenza naturale. Eppure quella primavera s’è fatta di colpo lontanissima, again. Coi Cinque stelle più deboli e il centrodestra in fase di riorganizzazione unitaria (dopo che il picco del caos s’era raggiunto un anno fa), e infine con una maggioranza e un governo che non paiono vocati a far chissà quale riforma rivoluzionaria, il richiamo delle urne, che Renzi ha sempre sentito piuttosto forte, sembra destinato ad aumentare. Come sirene per Ulisse. E senza nemmeno uno straccio di Berlusconi che gli porga cera per tapparsi le orecchie.