I leader senza pensieri che in vacanza giocano con il futuro dell'Italia
I leader senza pensieri che in vacanza giocano con il futuro dell'Italia
Migranti, incendi, lavoro? No. I politici sembrano interessati solo a studiare le mosse in vista delle elezioni. Allora tanto vale divertirsi con loro
Giocano. Il Mediterraneo si infuoca di trafficanti di esseri umani, navi militari, ufficiali di polizia giudiziaria armati a bordo delle imbarcazioni umanitarie, minacce di ritorsioni dalle sponde libiche. Il governo si divide tra Marco Minniti e Graziano Delrio sulla gestione dei porti e sul dossier più delicato che coinvolge sicurezza, interessi nazionali, stabilità nel sud mediterranea, rapporti con gli altri paesi europei.
E loro, intanto, giocano. Matteo Renzi suda sulle spiagge romagnole, impegnato in una partita di beach volley. Luigi Di Maio scorrazza in moto e in bici con Alessandro Di Battista in Sicilia. Beppe Grillo e Davide Casaleggio vanno a caccia degli hacker che assediano il blog del fondatore di M5S e la piattaforma Rousseau. Matteo Salvini dedica il tempo delle vacanze ai vecchi amori: mano nella mano con Elisa Isoardi a Cortina, in riavvicinamento con Silvio Berlusconi a Roma. Giuliano Pisapia si cimenta in una gara di “chi-abbraccia-chi”. Il più giocherellone di tutti è il ministro degli Esteri Angelino Alfano: nelle cronache politiche volti la pagina e lo trovi lì, nel cuore del mare nostrum, a trattare. In Sicilia, però, non in Libia. Il suo collega francese media tra Sarraj e Haftar, lui tra Miccichè e Faraone per la presidenza della regione. Unisci i puntini e trovi lui, la Settimana Enigmistica della politica italiana. È l’immagine di una classe dirigente in vacanza. [[ge:rep-locali:espresso:285290990]] CLICCA QUI: SCARICA, STAMPA, RITAGLIA E GIOCA CON L'ESPRESSO
Un’estate fa, chi lo ricorda?, le spiagge ribollivano di esperti di diritto costituzionale: tutti a parlare di bicameralismo paritario, quorum, italicum e combinato disposto. L’effetto principale del rovinoso referendum voluto da Renzi e clamorosamente bocciato dagli italiani in inverno: riempire il vuoto di conversazione dei pomeriggi troppo lunghi della stagione calda. Oggi si discute di legge elettorale, coalizioni. Sullo sfondo il timore che l’Italia sia come uno scafo alla deriva, destinato a non avere un governo dopo il voto del 2018, in assenza di legge elettorale. Ma tutto questo non appassiona più di tanto, almeno per ora. Meglio giocare. Giochiamo, dunque. Con i principali competitori.
renzi-jpgMATTEO RENZI Chi gioca all’Electoral Game con la pedina dell’ex premier ha (come tutti gli altri concorrenti avversari) l’imperativo di andare avanti, così si intitola il libro pubblicato da Feltrinelli. L’operazione di marketing editoriale è riuscita, il volume è diventato il tormentone balneare. Più difficile sarà far avanzare il progetto di rilancio della leadership che rischia di impantanarsi. Da settembre il segretario del Pd farà partire il suo tour in treno, l’inizio di una lunga campagna elettorale, si terrà il più possibile lontano dalle polemiche di Palazzo e dalle convulsioni sulla legge elettorale dei parlamentari a caccia di riconferma. Proverà a non cadere nella sconfitta annunciata alle elezioni regionali siciliane, il 5 novembre, la data che gli avversari interni indicano come l’inizio della resa dei conti. Se dovesse andare male, partirebbe la corsa a mettere su una coalizione in cui il Pd sarebbe un partner importante, ma non l’unico protagonista: l’opposto di quanto desidera Renzi. E si renderebbe necessaria la figura di un federatore capace di unire le varie anime, un personaggio alla Romano Prodi, se non Prodi stesso. Per il centrosinistra un ritorno alla casella di partenza. Per la pedina Renzi l’ultima fermata.
di-maio-jpgLUIGI DI MAIO Chi occupa la pedina del vice-presidente della Camera ha segnato in calendario la data del 24 settembre. Quella domenica il Movimento 5 Stelle sceglierà sulla Rete (se gli hackers non guastano la festa) il suo candidato premier e sarà un passaggio semi-epocale per i discepoli di Grillo-Casaleggio. Cinque anni fa il Movimento era uno stato d’animo, un vaffa a tutti i partiti, orchestrato da Grillo. E quando dopo il boom elettorale del 2013 i neo-eletti salirono al Colle per essere consultati sul nuovo governo non seppero indicare a Giorgio Napolitano neppure un nome. La capogruppo alla Camera Roberta Lombardi rispose ai giornalisti: «Il presidente dia l’incarico al Movimento, poi vi faremo sapere chi è il nome del presidente del Consiglio», in ottemperanza al dogma fondativo del grillismo originario (uno-vale-uno), ma in contraddizione con la Costituzione. Oggi la Lombardi vuole candidarsi per la regione Lazio e Di Maio galoppa con Di Battista sulle due ruote alla conquista della Sicilia. Da movimento tutto di lotta a partito che vive per andare al governo, per scalare il potere, la metamorfosi è completata. La pedina Di Maio, a soli 31 anni, si gioca già tutto.
salvini-jpgMATTEO SALVINI Il leader della Lega si prepara alla corsa con l’ennesimo mutamento di pelle. Un equilibrio delicato, tra il cambio del nome, con l’eliminazione della parola Nord dal simbolo adottato esattamente venti anni fa (il Carroccio è il partito più antico del Parlamento italiano), e il ritorno alle radici padane con il doppio referendum in Lombardia e in Veneto che rilancia le antiche spinte autonomiste. La pedina Salvini cerca nuove parole d’ordine. Sparito l’economista Claudio Borghi e gli altri no-euro, resta la legittima difesa, poco per farci su una campagna elettorale. Sui migranti c’è ormai una concorrenza spietata, da M5S al Pd ora tutti ripetono le posizioni della Lega. Salvini sognava di fare il ministro dell’Interno, ma ora al Viminale c’è uno più duro di lui. Si chiama Marco Minniti.
alfano-jpgANGELINO ALFANO Rinverdisce le tradizioni dei bei tempi andati, di ministri democristiani che si dimettevano per partecipare ai congressi regionali, di presidenti di commissione europea che lasciavano l’incarico a Bruxelles per candidarsi a Montecitorio. Così la pedina Angelino balla su due o tre tavoli, offre il suo gruzzolo di voti un po’ a tutti in Sicilia per scambiarlo con un abbassamento delle soglie di sbarramento nella legge elettorale nazionale, mentre alla Farnesina lamentano la scomparsa sua e dell’Italia dai tavoli che contano della politica internazionale. È il lancio dei dadi decisivo per il politico più fortunato degli ultimi venti anni, un curriculum di eccezione - tutti i ministeri più importanti occupati, dalla Giustizia agli Interni agli Esteri alla vice-presidenza del Consiglio - senza avere un elettorato alle spalle. Un esercizio di virtuosismo politico che sta sfiorando il sublime in queste settimane di trattativa incrociata in Sicilia tra il centrodestra (che è all’opposizione del governo di cui Alfano fa parte) e il Pd (con cui aveva annunciato la fine di ogni collaborazione dopo il tentativo di approvare la legge elettorale tedesca che lo avrebbe eliminato). Lo recita il genio letterario delle sue parti, Agrigento, Alfano è pirandellianamente uno, conta come se fosse centomila, rischia di essere restituito al suo peso di partenza: nessuno.
berlusconi-jpgSILVIO BERLUSCONI L a pedina più attiva. L’ex Cavaliere riempie il vuoto estivo con raffiche quotidiane di interviste in cui edifica un monumento a se stesso: moderato, dialogante, civile, comprensivo. Sul “Giornale” apre, anzi, spalanca le porte a chi vuole ritornare all’ovile («se alcuni parlamentari eletti con noi vogliono dare vita a formazioni alleate alla nostra coalizione è un fatto positivo»), si propone come il vero anti-M5S, rottama la rottamazione («Gli sfasciacarrozze rottamano, i costruttori rinnovano») e sfida Renzi: «Se andiamo a votare con questa legge elettorale sarà il protagonista di una delle peggiori crisi che l’Italia abbia mai avuto: impossibilità di far nascere un governo, fibrillazione dei mercati, perdita di credibilità internazionale». D’accordo, in questo, con il nemico di sempre Romano Prodi. Al “Foglio” consegna un’altra suggestione: esiste già un candidato premier del centrodestra, anzi, sono due, un uomo e una donna. Antonio Tajani e Mara Carfagna? Chi al tavolo corre con la pedina Berlusconi sa di avere già vinto, anche se non arriva primo.
boldrini-jpgLAURA BOLDRINI L ’unica pedina femminile del tavolo, preziosa. La presidente della Camera annuncia la sua ricandidatura alle prossime elezioni, in una lista alla sinistra del Pd, guidata da Pisapia. Ma prima dovrà portare a conclusione la legislatura e non sarà una passeggiata. Attacchi in aumento contro la «maestrina di Montecitorio», come l’ha chiamata Di Battista, da Lega e M5S, nessuna difesa da Pd e sinistra. La Boldrini deve vincere nei prossimi mesi la maledizione di Montecitorio toccata ai suoi predecessori Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini: entrambi sono entrati nella corsa elettorale da presidenti della Camera e non sono stati rieletti perché la loro lista non ha raggiunto il quorum.
pisapia-jpgGIULIANO PISAPIA E spansivo, affettuoso, immagine di una sinistra che sorride e abbraccia, dovrebbe essere una virtù, invece l’ex sindaco di Milano è finito nella più grottesca delle polemiche. Non doveva essere così caloroso con Maria Elena Boschi, l’hanno rimproverato i compagni, manco si trattasse dell’abbraccio di Arcinazzo di Giulio Andreotti con il maresciallo fascista Rodolfo Graziani nel dopoguerra. Lui ha provato a replicare con il numero due del Pd Maurizio Martina. La pedina Pisapia avanza sul tavolo del gioco oscillando tra grandi speranze, annunci di ritiro precoce, stupore per le piccinerie dei potenziali alleati, trappole, trabocchetti. E non si sa se si tratti di naïveté rispetto alla politica nazionale, il candore di una colomba. O, al contrario, di una sottilissima tattica, l’evangelica astuzia serpentina che conduce sani e salvi al traguardo.
gentiloni-jpgPAOLO GENTILONI In questa estate il presidente del Consiglio si è messo definitivamente in mare aperto, tutto quello che succederà nei prossimi mesi è un fuori agenda, imprevedibile. La legge di bilancio, con la possibilità di utilizzare qualche risorsa per giovani e imprese (ma guai a chiamarlo bonus o, ancor peggio, tesoretto), e la legge elettorale, su cui - a Palazzo Chigi ne sono certi - prima o poi il governo sarà chiamato a intervenire, dopo la promessa di neutralità mantenuta per mesi. Lo scontro su Libia, migranti e Ong, con il premier che chiede soccorso a Mattarella per calmare Minniti furioso con Delri, e la competizione con la Francia del presidente Emmanuel Macron. La nomina del governatore di Banca d’Italia e dei vertici degli apparati di sicurezza: Aisi, Aise, Dis, Arma dei carabinieri, Guardia di Finanza. La pedina Gentiloni doveva concludere presto il suo giro, invece è ancora lì, accumula potere e benemerenze, si candida a restare, in riserva della Repubblica. O ancora al suo posto, per un altro giro, per la prossima estate.