La riapertura dei canali diplomatici e il ritorno dell'ambasciatore italiano in Egitto sono un’abdicazione a capire il reale e a plasmarlo da parte della nostra politica. Il duro commento del filosofo

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Politica è chiacchiera, “frase”, propaganda quando non è realistica. Non c’è bisogno di disturbare Tucidide e Machiavelli per simili banalità. Detto questo - che è necessario “andare dietro alla verità effettuale della cosa” e non alla “immaginazione” - si è detto tutto e nulla. Cosa significa “verità effettuale”? come “andarci dietro”? E quante specie di “immaginazione” possono esservi?

Vi è una Realpolitik degli stenterelli; il mondo attuale ne è pieno. Per costoro essere realisti significa meno che “compromesso”: il puro adattarsi alla situazione, ai rapporti di forza che essa ci sembra indicare, alle presunte convenienze da garantirci per il giorno dopo. Per una politica di “adattamento” conoscere la “verità effettuale” non può che risultare un optional: chiunque è in grado di constatare chi oggi, così stando le cose, è il più forte, e dunque a quali interessi dominanti sarebbe “realistico” obbedire.

Ma ciò non significa affatto conoscere o sforzarsi di conoscere la realtà. Poiché può dire di conoscerla soltanto chi riesca, sulla base di un’analisi anche storica, a comprenderne le tendenze evolutive, a coglierne le linee di frattura e contraddizione. Non conosce nulla della realtà chi la assuma come un qualcosa di dato, cui semplicemente commisurare la propria azione. La realtà attuale è stata fatta e si fa .

Editoriale
Caso Regeni, la verità e il teatro: l'editoriale di Tommaso Cerno
18/8/2017
Realista è colui che dice in quale direzione intende trasformarla. La situazione data è per lui la materia indispensabile per l’esercizio della propria virtù politica. Perciò l’autentico realista si è sempre espresso attraverso un’etica della responsabilità: egli affronta la situazione in atto per dare risposta ai problemi che gli appaiono fondamentali e irrisolti. Risposta che deve essere (e non apparire) fondata, coerente, calcolata anche, per quanto possibile, ma non certo immagine speculare di ciò che appunto occorre risolvere. Realista davvero è solo chi sa rispondere in base a una propria strategia; e ogni suo passo ottiene da questa il proprio significato. Gli stenterelli rispondono rimandando. Quando va bene il loro realismo garantisce la sopravvivenza all’interno del dramma in atto, la dilazione della sua fine. E dunque sono gli attuali detentori del potere, i protagonisti del dramma, coloro che questo pseudo-realismo consolida e rassicura.

Il realismo degli stenterelli ha così sempre finito col rafforzare proprio quelli che timidamente riteneva di dover contrastare. Nulla ne rivela più acutamente la miserabile natura della retorica che lo contraddistingue, nella quale si combinano l’occultamento o l’ignoranza delle cause fondamentali delle crisi in atto, la riduzione a emergenza d’ordine pubblico dei loro effetti, alla spropositata enfasi sui benefici derivanti dalla “concretezza” con cui si sarebbero affrontate. Mentre l’“idealista” va predicando, ecco che noi “realisti” riduciamo i flussi di migranti, collaborando, perché no, con servizi egiziani, bloccandoli in accoglienti lager libici o lasciando che anneghino, lontano dai nostri porti, in acque del Mare-non-nostro.

[[ge:rep-locali:espresso:285291016]]Così i Salvini tacciono (forse perché più nulla hanno da ridire) e la tragedia - di cui gli esodi biblici sono sintomi - sarà problema affidato ai posteri. Le soluzioni sono a portata di mano o non sono, dicono gli stenterelli. E così mai verranno pensate. O immaginate. Poiché “immaginazione” è, invece, parola carissima all’autentico realista. Egli infatti sa bene che tutte le vere grandi innovazioni storico-politiche non sono riducibili alla misura tecnico-ingegneristica del “progetto”, ma mirano alla realizzazione di una idea, di un paradigma, che trascende il “calcolemus”, che ha essenzialmente a che fare con un’etica della convinzione.

Il vero realista, che non si lascia incantare dal mito dell’universale razionalizzazione, sa che l’agire politico, se è davvero tale, combina sempre in sé tutte queste dimensioni: analisi della verità effettuale, per quanto dolorosa essa sia, assunzione piena della propria responsabilità nel volerla trasformare, dimostrazione per quanto possibile della realizzabilità concreta di tale trasformazione, paradigma del nuovo Stato o della riforma dello Stato, capace di rispondere al cumulo di ingiustizie che ci avvelena la vita.

Quanta utopia vive, d’altronde, nella formazione dello stesso Stato moderno? Sarebbe questa grande costruzione dello spirito europeo, della ragione europea, pensabile se lo “spirito di utopia” non avesse soffiato nella sua genesi?

L’Europa degli stenterelli se ne è dimenticata. Ma senza la forza dell’immaginazione non saprà mai costituirsi come unità politica, non si darà mai una politica mediterranea, non diverrà mai protagonista nello sforzo sempre più disperato di condurre il disordine globale a un ordine policentrico tra grandi spazi dotati di senso politico e culturale, oltre che commerciale e economico.

Diceva un tale: questa mia “idea” politica, volta al bene della cosa pubblica, non è mai esistita o non esisterà mai? Ma io tuttavia esisto! E non potrei agire se non in vista di questa politica e di nessun’altra! Era Platone. Chi era costui?

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