Primo cittadino di un comune di 8.000 abitanti in provincia di Trapani, ha portato avanti insieme a tanti giovani lotte sociali e contro gli abusi edilizi. "Dobbiamo lottare contro tutti i prepotenti, a prescindere dalla loro appartenenza alla criminalità organizzata"
Al Sud non dobbiamo solo combattere la mafia. Dobbiamo distruggere la cultura che porta ai fenomeni mafiosi. Questo vuole essere il senso dell'esperienza politica di
Gaspare Giacalone, sindaco di Petrosino, comune di poco più di 8.000 abitanti in provincia di Trapani, Sicilia.
Una zona fortemente mafiosa: Matteo Messina Denaro è della vicina Castelvetrano, l'imprenditore mafioso Vito Nicastri aveva operato ad Alcamo.
Ma non ci sono solo i mafiosi da abbattere, per Giacalone; va combattuto chiunque porti avanti la cultura della prepotenza, ad esempio nei vari abusi edilizi tentati a Petrosino. Battaglie che cerca di portare avanti con tanti giovani della sua terra, che insieme a lui cercano di combattere tutti i malfattori, a prescindere se siano o no affiliati alla criminalità organizzata.
Matematico di formazione, è stato Funzionario della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, dove ha speso anni di lavoro preparando algoritmi per una serie di progetti nell'Europa dell'Est, in Africa del nord e in Medio Oriente. Nel 2011, dopo una vacanza nella sua Petrosino, inizialmente pensata per il riposo,
si fa coinvolgere nella campagna per le elezioni dell'anno successivo.
Il sindaco racconta che i suoi gli spiegarono dell'esistenza «di
una spiaggia con ruspe e lavori» di cui non si sapeva molto. Era solo noto che “era
una spiaggia privata proprietà di un imprenditore che l'aveva acquistata da un mafioso”. La sera dopo in una festicciola in piazza dal nome “La Notte Rossa” (organizzata da un gruppo politico giovanile) il sindaco interviene dal palco «e a braccio mi viene da raccontare della spiaggia e di lanciare l'idea di
una petizione per evitarne la privatizzazione». Tutti rimasero scioccati dalla proposta: qualcuno si stava mettendo contro i potenti della zona.
La petizione alla fine si fece e fu firmata da Dario Fo e Franca Rame. Ma la battaglia andava continuata nelle istituzioni.
«A Natale del 2011 tornai in Sicilia e i ragazzi della “Notte Rossa" mi chiesero di candidarmi a sindaco». Giacalone chiede e ottiene dalla Banca di allontanarsi da Londra per andare a fare il primo cittadino di Petrosino. «
C'erano 5 avversari, una battaglia elettorale molto difficile. Ci sottovalutavano, ci quotavano con 200 voti, dicevano che quello che veniva da Londra figurati se avrebbe mai vinto.
Decidiamo di andare avanti e ci insinuiamo con una campagna di comunicazione formidabile. Facevamo incontri tematici, assemblee con interventi, visite alle case, parlando di programmi e progetti. Tutto ciò ci fece prendere quota.
I miei avversari capirono prima di me che la vittoria era vicina e ci buttarono fango addosso, ma ce la facemmo lo stesso». La lista di Giacalone, Petrosino Cambia, vinse infatti le elezioni, portandolo a diventare primo cittadino della città.
Giacalone si considera un uomo di sinistra, «ma preferisco non dirlo. Non ho mai avvertito l'esigenza di enfatizzare la mia provenienza politica. Non voglio imprigionarmi alle etichette». I grillini? «Nel 2012 stavano per venire fuori, ma non erano ancora radicati. Noi siamo partiti prima di loro, per questo probabilmente non sono stato cooptato».
Le lotte portate avanti gli sono costate ripetute minacce; ma nel 2017 è comunque riuscito a rivincere le elezioni. «Se un giorno sarò ucciso, gli inquirenti avranno l'imbarazzo della scelta nel cercare di capire chi mi ha fatto fuori», fa sapere.
Sindaco, ci racconti della sua lotta contro i tentati abusi edilizi a Petrosino.«Guardi, in fondo non si tratta che di battaglie incidentali a quello che credevo dovesse essere un percorso amministrativo. Fa parte di esso combattere contro le prepotenze. Il giorno in cui sono stato eletto ho scoperto che qualcuno stava per firmare la concessione per un megaresort su quella spiaggia a protezione speciale (
protezione europea per il paesaggio ambientale, ndr) su cui avevamo fatto la petizione: 9.000 metri cubi di cemento. Passo l'intera estate a leggere le carte mentre le ruspe andavano avanti. I funzionari della Regione mi dissero che l'autorizzazione sembrava addirittura permettere l'edificazione sopra i rifiuti tossici. Questo era per me inaccettabile. Ho capito che c'era dietro un grande sopruso.
Nel frattempo ricevevo gli insulti della gente che credeva che stessi fermando nuovi posti di lavoro. Per me però stavo coltivando delle "terre aride", e questo mi spingeva a spiegare loro che c'era il marcio dietro quelle costruzioni. Dicevo loro che se avessimo lasciato rovinare la spiaggia non avremmo avuto un futuro, che i posti di lavoro creati sarebbero stati evanescenti quando si sarebbe scoperto che è tutto era stato costruito sull'abuso e la prepotenza. Due anni di lavoro e un giorno finalmente sequestrano tutto, un impero da 120 milioni di euro. Si scopre anche che quell'imprenditore che voleva costruire, Michele Licata, non aveva mai pagato le tasse».
E poi c'è stata l'altra grande storia, quella del parco eolico che doveva essere costruito sempre sulle spiagge di Petrosino, di cui hanno parlato anche altri mezzi di informazione. «Avevamo scoperto un progetto da 50 milioni di euro totalmente falsato. Una barriera di pale a 2km dalla costa, caso senza precedenti sul pianeta, e con un impatto ambientale non indifferente. Gli studi assumevano che la costa fosse totalmente disabitata, ma non era vero. Era difficile battere le grandi imprese e i grandi interessi coinvolti, era stato tutto approvato. Ma in conferenza di servizio, con la presenza dell'assessorato della Regione e del ministero dell'Ambiente, abbiamo spiegato bene che tutto ciò non aveva senso.
Un altro attacco di pale era invece a terra, a pochi km di distanza. A bordo di alcuni vigneti stavano per piantare l'eolico, ma siamo riusciti a impedire questo scempio, anche grazie all'approvazione di un regolamento sulle rinnovabili a livello comunale.
Nel regolamento facciamo distinzione tra uso domestico, aziendale e speculativo. Abbiamo deciso di incentivare l'uso domestico e quello aziendale, ma sulle speculazioni mettiamo dei paletti: non si può deturpare il paesaggio. Azione banale e semplice, ma con effetti dirompenti.
Questo regolamento rappresentava un precedente e ha attivato reazioni dalle imprese legate all'eolico. I loro ricorsi però sono stati rifiutati; il regolamento è stato approvato anche dall'assessorato al territorio e ambiente della Regione come era necessario che avvenisse, e al momento siamo l'unico comune siciliano ad averlo.
Adesso all'ingresso di Petrosino hanno installato una cinquantina di pale eoliche a maniera di minaccia, ma noi andiamo avanti».
Quali altre lotte importanti ha fatto da sindaco?«L'evasione fiscale di Michele Licata era solo la punta dell'iceberg. Prima che io facessi il sindaco soltanto il 15% delle persone pagavano le tasse. Gli altri politici facevano campagne elettorali proponendo di non pagarle, che tanto avrebbero chiuso un occhio! Oggi con me oltre il 60% della popolazione di Petrosino paga, percentuale quasi da record per il sud. Quel 40% di evasori rimanente è concentrato in dieci grandi evasori. Proprio in questi giorni mi hanno comunicato che abbiamo pignorato un conto corrente di uno di loro: ben 200.000 euro.
Sul fronte dei rifiuti, nel 2016 sono stato l'unico sindaco a rifiutarsi di portarli nelle discariche private come chiedeva un'ordinanza del presidente della Regione. Io non volli perché come Comune avrei dovuto pagare molto di più in questo modo che con le discariche pubbliche.
Poi abbiamo cambiato le regole nella redazione del Piano regolatore generale.Noi abbiamo detto che quello che abbiamo trovato, redatto da un dirigente comunale, era obsoleto e non abbiamo pagato nulla a quel signore per il suo servizio. Con una gara pubblica abbiamo dato l'incarico ad un pool di tecnici.
Più in generale sento di aver fatto con forza una lotta alla cultura della mafia. Ovvero contro quell'atteggiamento arrendevole di fronte alla prepotenza e all'abuso del territorio. Non importa se gli attori in campo abbiano o no contatti diretti con la mafia o se siano o no mafiosi; è il modo di fare che è simile. La politica non dovrebbe rimanere ferma al distinguo tra mafioso e no. .
Secondo lei la politica è riuscita a combattere questa cultura?«Negli ultimi anni abbiamo sentito posizioni pretestuose. Da una parte un'antimafia di maniera che fa manifestazioni, cortei, fiaccolate, film e libri. Tutte cose positive, che certamente non condanno, ma quanto efficaci? Dall'altro lato, una politica che pensa che la lotta alla mafia si fermi alla repressione, al controllo delle liste nelle elezioni, e basta. Io dico che la mafia va combattuta in ogni via e quartiere, ma la cultura mafiosa è anche peggiore e bisogna fare di più contro di essa attraverso la politica. Non accetto appoggi di imprenditori che magari sembrano avere le carte in regola, ma piuttosto cerco di avere una coscienza critica che mi faccia capire che magari non va tutto a posto nonostante formalmente sembri di sì. O ancora, il parco eolico sulla spiaggia lo fermo a prescindere che sia stato approvato, perché è un danno».
Queste lotte le sono costate dei dispiaceri personali?«Io per 6 anni ho ricevuto, ogni 3-4 giorni, lettere, messaggi, minacce. A volte cose serie, altre volte meno. Cose che non incoraggiavano ad andare avanti. Sono avvenuti persino episodi peculiari come quello in cui mi hanno rubato la fascia tricolore; forse sono stato l'unico in Italia ad aver subito un tale furto. Sono entrati in ufficio rubando solo quella, per farmi capire che secondo loro non contavo nulla.
Un bel giorno con un fucile ad aria compressa hanno sparato alle finestre del mio ufficio. In un paio di occasioni hanno inviato cartucce. L'ultima 4 giorni prima delle elezioni delle 2017. L'autore è reo confesso e ciononostante hanno archiviato il caso, ma ho fatto ricorso, perchè secondo il giudice la minaccia era tenue. “La carta con cui hanno inviato il proiettile era troppo stropicciata”, ha scritto».
Da quanto si racconta, è riuscito a coinvolgere tanti giovani e anche altri comuni della Sicilia nel suo modo di operare.«E' la parte più bella di quanto stiamo facendo. Energia pura che si è attivata per migliorare la nostra regione. In Sicilia ho incontrato tanti ragazzi e ragazze che vogliono uscire dagli schemi e mettersi in gioco per cambiare le loro città. E' nato tutto in maniera semplice e naturale: ci hanno contattato da altre città e ora abbiamo una rete, che abbiamo chiamato Network (forse con poca fantasia!).
Questa Sicilia ha voglia di riscatto. I ragazzi fanno battaglie molto coraggiose. Ad esempio ad Alcamo l'Abc, un movimento simile a Petrosino Cambia, sfiorò la vittoria alle elezioni; dopo le consultazioni si scoprì che le cosche mafiose avevano controllato il voto per evitare che andasse al governo.
Facciamo poi iniziative con giovani e sindaci di Montelepre, a Lentini, Sciacca, Salemi, Marsala e Trapani».
Sul fronte della lotta alla povertà, di cui si è parlato molto dopo l'uscita dei dati Istat sulle condizioni dei meno abbienti, quali politiche ha messo in campo per aiutare la gente del suo paese a risollevarsi?«Uno dei tanti strumenti nuovi che abbiamo messo in campo è una sorta di reddito di cittadinanza. Ho trovato una situazione dove la gente veniva a chiedere soldi in Comune incatenandosi, minacciando di suicidarsi oppure di uccidere gli assessori. E sa, chi la grida più forte potrebbe vincere senza averne titolo.
Oggi diamo contributi diretti solo in casi molto particolari, per esempio di malattie terminali documentate.
Per aiutare le persone a reinserirsi abbiamo introdotto l'assegno civico. Funziona così: chiediamo la situazione dell'interessato e dei suoi familiari e impostiamo un programma di lavoro per la comunità a cui possono dedicare il tempo in maniera da decidere insieme. Paghiamo loro 350 euro al mese, non è tanto ma speriamo di fare di più in futuro».
Cosa farà dopo il secondo mandato?«Non ho pensato a cosa fare dopo. A me interessa al momento solo vedere quei ragazzi e quelle ragazze del movimento che abbiamo creato continuare a battersi. È un sacrificio, ho abbandonato una vita agiata, da jet set praticamente, perché viaggiavo molto. La mia vita sociale e personale è cambiata in peggio, ma devo dire che le forze dell'ordine locale mi hanno dato la forza di andare avanti, con il loro appoggio. Qualcuno, comunque, dovrà portare avanti il percorso avviato».