Tentare di far cadere il governo Conte con l'indignazione è garanzia di fallimento
Questo esecutivo, salvo gravi imprevisti, arriverà almeno fino alle Europee. E i risultati delle elezioni non sono un fenomeno passaggero. Persino gli interessi economici e l'Europa lo hanno capito. L'opposizone invece?
Complice l’estate, che accende le passioni e ottunde il raziocinio, i primi ?tre mesi del governo Conte sono stati pirotecnici. Pentastellati e leghisti dovevano marcare la discontinuità ?col passato e cercare al contempo di differenziarsi gli uni dagli altri. In un mondo complesso e ipermediatizzato come il nostro, c’è un modo solo per ottenere questi risultati nel giro di poche settimane: urlando con quanto fiato si ha in gola; forzando i limiti del politicamente corretto, così da trasformare l’indignazione degli avversari in cassa di risonanza per i propri slogan; e non lasciando cadere nessuna sia pur minima opportunità di un’azione dimostrativa. È esattamente quel che hanno fatto i partiti della maggioranza.
L’opposizione - mediatica, visto che quella politica non c’è - si è mossa lungo un sentiero per tanti versi speculare. Non ha concesso niente all’avversario e non è andata troppo per il sottile, ha urlato quasi altrettanto, ha contrapposto i propri slogan a quelli di Di Maio e Salvini.
Parafrasando Flaiano, potremmo concluderne che nelle scorse settimane si sono scontrate due forme di grillismo: quello dei grillini e quello degli antigrillini. Liberissimi i lettori di pensare che ci siano slogan e slogan, naturalmente: quelli buoni e quelli cattivi. Difficile non riconoscere, però, che il match è stato vinto dal governo, e di larghissima misura. Basti pensare alla vicenda del ponte Morandi, che da potenziale pietra d’inciampo s’è trasformata in un’ulteriore occasione di consenso. ?Del resto, perché mai dovremmo sorprenderci? Se il conflitto politico assume forme grilline, è ovvio che ?i grillini ne saranno avvantaggiati.
La farsa non finisce certo con l’estate: nella politica del XXI secolo la rappresentazione conta sempre più della realtà. Ma con l’inizio di settembre siamo entrati in una fase differente, e la realtà sembra aver recuperato almeno un po’ ?di spazio sulla rappresentazione. Stiamo così assistendo a un duplice movimento: pentastellati e leghisti prendono atto della durezza del contesto in cui si muovono; e il contesto, a sua volta, prende atto della durezza del governo gialloverde.
I programmi elettorali del Movimento e della Lega contengono tre provvedimenti assai costosi - flat tax, superamento della legge Fornero, reddito di cittadinanza - che, almeno nella loro forma pura, non possono in alcun modo passare per il collo di bottiglia costituito dallo stato infelice delle nostre finanze e dai vincoli internazionali. Salvini ha trasformato la Lega, ma non pare averne eliminato la vocazione antica di partito di buona amministrazione. Soprattutto, non ne ha rivoluzionato il radicamento elettorale: i ceti medi produttivi del Nord. Forse sarebbe bastato tenere a mente questi due dati, ovvi e noti, per prevedere che, finita l’epoca degli slogan, al dunque il ministro dell’Interno avrebbe riscoperto l’importanza della responsabilità - e i pentastellati si sarebbero accodati. Tanto più che sia la Lega sia il M5S possono usarsi l’un l’altro come alibi di fronte ai rispettivi elettori. E tanto più che il voto europeo del maggio 2019 è relativamente vicino, e potrebbe avere ?un impatto importante sull’Unione, e sulla posizione dell’Italia al suo interno. Alle forze al governo conviene aspettare, insomma: incassare qualcosina e temporeggiare. Certo non svegliare adesso, più di tanto, il drago-spread.
Il tentativo di travolgere il governo Conte con l’indignazione è fallito. Salvo imprevisti seri, dovrebbe andare avanti almeno fino alle europee. Più passa il tempo, poi, sempre meno le elezioni del 2018 appaiono il frutto di una contingenza passeggera, e sempre più quello di un profondo mutamento strutturale. Il M5S nei sondaggi è cominciato a crescere nel 2012, e la Lega nel 2014, del resto: il trend “populista” dura da anni, e trova ampia rispondenza anche al di là delle Alpi. Cadesse pure il governo, insomma, di pentastellati e leghisti non sarà facile sbarazzarsi. Tanto più che, come detto, ?le opposizioni sono ancora largamente ?a monte dell’anno zero.
Date queste premesse, è difficile per non concludere che col governo, e coi partiti che lo sostengono, bisognerà pur fare i conti. Stanno al mondo gli interessi economici, che proprio in questo inizio di settembre hanno dato più di un segnale di tregua - alla Lega in particolare, più sensibile del Movimento alle esigenze imprenditoriali. E stanno al mondo le altre forze politiche, in particolare quelle della famiglia popolare europea. La politica, soprattutto in parlamento, è fatta di numeri. Dopo il voto del maggio 2019 le forze euroscettiche di numeri dovrebbero averne parecchi - che potrebbero far molto comodo ai popolari o in un’ottica di alleanza diretta, o anche per un gioco del “doppio forno” finalizzato ad alzare la posta nella trattativa coi socialisti. Naturalmente la scena è ancora in movimento, e da qui a maggio molto può succedere. Che popolari e populisti si stiano annusando, tuttavia, è evidente.
Superata l’estate , la politica si è rimessa in moto. Piaccia o non piaccia, Salvini ne occupa il centro, nella Penisola e in Europa. I partiti italiani di opposizione, invece, non sono pervenuti. Quanto all’opposizione intellettuale, se continuerà con la strategia della spallata rischierà di trovarsi come il proverbiale giapponese sull’isola del Pacifico: l’ultima a combattere, mentre gli interessi economici e la forza politica ?più importante del continente ?negoziano la pace.