La prima coalizione elettorale tra i due ex nemici è l'esperimento di un patto nazionale che ancora non c’è. Somma di due difficoltà: dem in crisi dopo l’affaire Catiuscia Marini e i grillini assenti sul territorio

Zingaretti e Bianconi
Prima che un’alleanza è una necessità. Più che una «casa comune» è un albergo. Scomodo, per tutti. «Nei Cinque stelle tanti sono a disagio», dice Giuseppe. «Nel Pd tanti sono insoddisfatti», dice Gianmarco. I due, quarantenni, appoggiati a una colonna della biblioteca Gianni Rodari di Corciano, Perugia, in attesa che cominci l’incontro elettorale, discutono dell’alleanza che li vede insieme dalla stessa parte, per la prima volta, loro che pure si conoscono da una vita.

Giuseppe, ricci neri e camicia bianca, milita nei Cinque stelle. Gianmarco, orecchino ed eskimo, nel Pd. Uno teme la fronda dei dissidenti. L’altro i renziani. Nessuno dei due è in pace, comunque. Nessuno contento. Ed è tutto qua - mentre a Roma la maggioranza giallorossa cerca di comporre qualcosa di comune, tra legge di bilancio e taglio dei parlamentari - l’accordo nuovo tra Pd e Cinque stelle che si mette per la prima volta alla prova della realtà, nell’Umbria che va a elezioni il 27 ottobre, per vedere se, messo coi piedi sulla terra, quel laboratorio può diventare la famosa «alleanza strategica» nella quale i promotori sperano.

Al momento, per la verità, è qualcosa a metà tra l’armata Brancaleone e il futuro. Tra la paura della piazza e la voglia di strapparla a Salvini. Tra le troppe teste bianche in sala e i pochi grillini fuori. Tra pacifismo e streaming, passando per ciò che resta dei dem. È tutto un occhio sbarrato, una fronte corrugata. È tutto un prendere atto. «Per la prima volta il Pd è in minoranza al tavolo, strano», nota il moderatore della serata proprio mentre dà la parola al terzo dem di seguito, mentre in prima fila la grillina si innervosisce per la disparità di trattamento. È questo il nuovo centrosinistra?

Pare di sì, anche se per ora «nel Paese non esiste» ha detto il segretario Pd Nicola Zingaretti. È un esperimento. «Mi ci mancava solo questo, da caricarmi sulle spalle: l’esperimento». Scherza Vincenzo Bianconi, 47 anni, il candidato presidente della società civile che l’alleanza Pd-M5S ha tratto fuori all’ultimo momento, «anticiclico» ed «esperto di luoghi sfigati» per auto-definizione, quintessenza mite ma determinata dell’intera faccenda. Per capire che razza di animale sia, l’alleanza nuova, si deve cominciare infatti rovesciando la classica esclamazione «Questa casa non è un albergo!». Questa casa, al contrario, è proprio come un albergo. Affitti, dormi, e te ne vai. Potrebbe persino funzionare, in prospettiva. Per ora è un mondo dove ciascuno vede ciò che vuol vedere. E applica ciò che può. L’alternativa sarebbe stata il baratro: e lo sanno tutti.

Ecco perché non pare esattamente un caso che a rappresentarla, qui in Umbria, ci sia giusto un albergatore. Vincenzo Bianconi da Norcia, proprietario di hotel per tradizione familiare, perfetto interprete di una pura mitologia imprenditoriale, prima giacca da cameriere regalata dalla nonna a 8 anni, spedito dal padre a Milano per lavorare a 17, è davvero un mammifero della contemporaneità. Un Giuseppe Conte con una spruzzata di Silvio Berlusconi.

Gilet di lana rasata al posto della pochette (ne ha tre blu e tre grigi, li alterna in coordinato con le sneaker), battuta pronta e ansiosa vitalità, quel retrogusto di eventuale conflitto di interessi che non guasta (con relativo seguito di polemiche da destra, abbastanza stiracchiate, circa i rimborsi per la ricostruzione ricevuti nel post-terremoto). Potenzialmente un antagonista insidioso per la leghista Donatella Tesei, lanciata sulla regione da un Salvini che presidia ogni borgo, al grido l’Umbria sarà mia: non fosse per l’handicap di partenza, un abisso di minor consenso difficile da recuperare in poche settimane. Del resto è la mission impossible la cifra di tutto, soprattutto dopo il tracollo finale del Pd, già partito-Stato dell’Umbria, in evidente affanno da anni con la perdita dei feudi di Perugia, Terni, Foligno e altri 37 comuni, nessun seggio uninominale conquistato alle politiche, e in caduta libera dopo l’inchiesta «Sanitopoli» che in primavera ha malamente messo fine all’epopea della governatrice Catiuscia Marini, amica di Zingaretti dai tempi della Fgci.

Non che tra i dem se ne faccia mistero, degli errori: anzi è una flagellazione continua che forse spera così nell’indulgenza finale. «Forse è troppo tardi per essere, noi, i successori di noi stessi? Comunque ora l’atmosfera è diversa, l’accordo coi grillini ha portato a un’apertura salutare», dice il deputato dem Walter Verini, già braccio destro di Veltroni, arrivato a commissariare la regione dopo l’arresto dell’ex segretario umbro.

Nessuno si fa illusioni, comunque. Si tratta di convincere gli indecisi, figuriamoci: è come raccogliere il mare col cucchiaino. «Siamo nel momento del bisogno», predica infatti Bianconi, che batte l’intera regione palmo a palmo, dieci incontri pubblici al giorno, senza mai perdersi d’animo, senza nemmeno ingrassare («ho perso cinque chili: ma sono anticiclico, l’ho detto») e senza mai cascare nella trappola di pendere da qualche parte, rossa o gialla che sia. «Di Maio? Quando l’ho conosciuto mi ha detto: solo una cosa voglio da te, che tu sia libero di decidere. Le stesse parole che ha usato Franceschini», risponde ad esempio all’Espresso. Roba da farsi cariare i denti.

C’è in effetti un punto in cui Cinque stelle e Pd, in Umbria in particolare, sono sullo stesso piano di difficoltà: il disagio di essersi combattuti fino a ieri, di essere anzi gli uni innesco del tracollo dell’altro, e di trovarsi insieme oggi per una somma di debolezze. Antonio Bertini, capolista di Sinistra civica verde, la dice così: «Noi qui votiamo con l’umbricellum: chi prende un voto in più, si porta a casa 13 consiglieri su 20. Questo è ciò che muove i partiti che stanno alle mie spalle». E i partiti, dietro, annuiscono.

È un disagio palpabile, tra i grillini, che infatti disertano gli appuntamenti elettorali. E va bene che la loro piazza è la rete, ma nella realtà ce ne sono pochissimi: il più delle volte nessuno. A Deruta, diecimila abitanti sulla strada verso Perugia, un’inviata di Retequattro ne cerca uno per quasi un’ora fuori dall’incontro col candidato presidente. Solo alla fine, spunta fuori l’avvocato Cristian Brutti, referente di zona e candidato. Dallo staff di Bianconi si fiondano allora su di lui per avere «finalmente» un numero da contattare. Va detto che, salvo alcuni centri, in regione i Cinque stelle non sono fortissimi.

Non per caso, non soltanto Conte ha promesso di esserci, in più occasioni. Soprattutto Luigi Di Maio ha assicurato una presenza attenta: a San Gemini per la Giostra, alla Novamont di Terni, fino alla visita che il 4 ottobre - giorno del santo patrono dei grillini - proprio il capo pentastellato ha fatto all’ora di cena ai frati del convento di San Francesco, con tanto di fidanzata al seguito (il premier si era fatto vedere a pranzo).

È anche difficile riorientare gli elettori. Perché gli ultimi anni i Cinque stelle in regione li hanno spesi per buttare giù il Pd: riuscendoci, peraltro. Sono stati loro ad accendere l’inchiesta che ha decapitato i dem, con la consigliera Maria Grazia Carbonari oggi ricandidata con gli ex nemici. «Però quella storia era finita, ora se ne apre una nuova, interessante per il resto dell’Italia», dice il consigliere uscente Andrea Liberati, tessitore dell’alleanza con il Pd ma non ricandidato, alla fine di un incontro alle Cantine Baldassarri, in campagna, tra brocche di vino e panini con la salsiccia. E aggiunge: «Portando i dem a cambiare candidato abbiamo già vinto: risultato fantastico. Ora è importante provare a non lasciare il potere a questa destra, collusa col sistema».

Ecco: nella nuova prospettiva grillina non è più il Pd, ma la Lega, il partito di sistema da buttare giù. Roba da mal di testa? Un momento: ci sono anche i dem che – dovendo spingere Bianconi – finiscono per esaltare la figura dell’imprenditore che scende in politica. «Il bravo imprenditore può essere anche un bravo politico», dice infatti la ex presidente dell’assemblea Donatella Porzi, alla faccia di vent’anni di anti-berlusconismo di sinistra.

Il candidato presidente, del resto, è a sua volta l’unico a portare avanti un programma davvero grillino. Tra le sue parole d’ordine ci sono infatti: democrazia partecipata (primo punto del programma), no ai termovalorizzatori, e persino la promessa di «dirette streaming» negli orali dei concorsi pubblici, per evitare imbrogli. Tutta roba nella quale nemmeno i grillini sembrano credere più.

Lo stesso Pd, del resto, tra possibili multe ai candidati che cambiano casacca e promesse di istituire piattaforme digitali per il coinvolgimento dei cittadini, sembrano a loro volta subire dai Cinque stelle quella egemonia culturale che, storicamente, hanno sempre inflitto. E il Movimento, come si è visto, è a sua volta diventato più partito che mai. Sono insomma tutti presi da uno stranissimo richiamo delle sirene, che seguono senza nemmeno sapere esattamente dove va. Così è (il nuovo centrosinistra), se vi pare.