Il vecchio ordine in Europa è crollato e ne va creato uno nuovo
I leader sono tentati restaurare le vecchie regole, ma tornare al passato è impossibile. Bisogna invece inventare una nuova Europa. A partire dai diritti e dal lavoro
di Massimo Cacciari
18 novembre 2019
Massimo CacciariGuai ai vinti, certo, ma guai anche ai vincitori se non sanno quale ordine instaurare dopo la vittoria o ne progettano uno semplicemente impossibile. Questo è avvenuto con la caduta del Muro, la vera fine della seconda grande Guerra e del tragico Novecento.
Il tempo ha subito un’accelerazione tremenda; poteva la politica stargli dietro? L’inseguimento è stato affannoso, disperato a volte. Ma ora, dopo trent’anni, tutto appare, o dovrebbe apparire, più chiaro. Gli Stati Uniti, in un modo o nell’altro, si ritirano dall’idea dell’impero di uno solo; gli equilibri globali possono nascere soltanto dal compromesso tra i grandi, secolari spazi imperiali, e saranno sempre perciò equilibri conflittuali, arrischiati fino al limite estremo che ogni agire politico ha sempre tenuto dinanzi a sé: la guerra; l’Europa può competere in questo spazio soltanto come federazione di Stati, costituiti al proprio interno in forme radicalmente diverse da quella centralistico-burocratica che li ha caratterizzati nella loro storia.
Le crisi ad ogni livello che hanno segnato l’Europa dopo il fatale ’89 evidenziano l’impossibilità di proseguire sulla vecchia strada, quella dell’illusione che l’unità monetaria e di mercato producesse per benevola partenogenesi l’unità politica, quella dello strapotere di organismi burocratici privi di ogni legittimazione democratica, quella dell’annessione a freddo di nazioni che vivono un tempo diverso rispetto a quello dell’Europa occidentale. [[ge:rep-locali:espresso:285337705]] Penso occorra ormai rovesciare l’ottica con cui si osserva la situazione: il farsi e disfarsi frenetico di movimenti e forze politiche, l’incapacità di esprimere strategie durevoli, la fragilità estrema di ogni compromesso raggiunto - ebbene, perché non leggere tutto ciò come le doglie di un parto, piuttosto che segni premonitori di qualche apocalisse? Nascendo piangiamo, ma non è detto che si debba avere una vita infelice.
Bisogna saper cogliere nella confusione attuale e nella incapacità da parte delle élite tradizionali di indicarne vie di uscita i germi di un nuovo ordine. Questo è l’esercizio che il pensiero e la politica dovrebbe iniziare a praticare. Pratiche di mero restauro, movimenti “ben temperati” servono poco nella tempesta. Sarebbe bello che le grandi crisi potessero essere superate senza traumi. La natura fa salti, la storia li fa mortali. Le crisi attualmente dilaganti pressoché in tutti i Paesi europei mostrano con crudezza che il tempo dei ragionevoli continuismi è passato e può iniziare soltanto quello dei riformismi audaci. Possiamo individuarne la possibilità reale? Non è solo la confusione di un crollo ciò che oggi si manifesta; un filo rosso attraversa il farsi e disfarsi di movimenti, il crollo di culture politiche tradizionali, che è il prodotto essenzialmente di colossali processi di ricomposizione sociale, i segni ovunque della nostra crescente insecuritas .
Questo filo collega, anzitutto, la necessità di costruire una reale unità politica europea ad una riforma interna dei diversi Stati che abbia al suo centro il valore dell’autonomia e della sussidiarietà. Se un’Europa politica mai potrà nascere dalla semplice frantumazione degli Stati nazionali, altrettanto è vero che mai potrà esprimersi come il patto tra Stati tesi esclusivamente alla conservazione della loro antica forma burocratico-centralistica, nemici di ogni autentica autonomia al loro interno. Se è chiaro che un’Europa politica sarà federalistica o non sarà affatto, ancora più chiaro è che un’Europa federale composta da Stati governati in forme anti-federalistiche costituisce una semplice contraddizione in termini. Che Consiglio Europeo, Commissione, Parlamento non facciano di questa prospettiva un fattore fondamentale della loro azione e non si sforzino di interpretare appunto come doglie del parto di una nuova Europa ciò che accade in Catalogna, Scozia e altre nazioni europee dieci volte più europeiste di Spagna, Inghilterra, ecc., ha quasi dell’incredibile.
Ma il nostro filo rosso ha in sé anche un’altra e forse più importante componente. L’accelerazione straordinaria del nostro tempo produce, sul terreno della storia e delle culture d’Europa, un incessante insorgere di bisogni e domande, che si intrecciano col nascere di nuove professioni, nuove forme di lavoro dipendente e autonomo (o pseudo tale). Dar forma a questi tellurici sommovimenti è la vera missione della politica oggi. Dall’ambiente alle politiche industriali, dalla riforma della giustizia al fronte degli interventi necessari su fine-vita e eutanasia, per finire a quello che ci impegnerà per i prossimi decenni sull’immigrazione, ovunque insorge drammaticamente l’urgenza di innovare sul terreno fondamentale di diritti e doveri. Una sua ridefinizione è il compito di una politica futura, capace di svolgersi immanente ai soggetti che già di fatto la praticano, lontana da ogni retorica predicazione.
Una politica europea, degna di questi nomi, Politica e Europa, dovrebbe rendere soggetto politico le energie che oggi si muovono ancora confuse e indistinte. Balbetteranno pure, ma indicano l’unica via percorribile perché l’Europa non finisca col diventare una, per di più incerta, entità geografica: dar forma all’esigenza di nuovi diritti che nelle sue società si esprime, e anzitutto sul piano del lavoro, della distribuzione del reddito, della partecipazione alla decisione politica. Nessun diritto è più di un flatus vocis se non viene incardinato in norme. Anche i “diritti umani”, di cui tanto si ciancia, lo sono fino a quando non diventino norme positive. Qui sta il compito del legislatore, e soltanto così operando egli corrisponderà responsabilmente alla crisi sistemica che attraversiamo.
Apprendano dunque l’arte maieutica i politici e le élite europee. Ascoltino nella crisi le doglie del parto. Non c’è alternativa a operare in tutti i modi perché nasca un’Europa politicamente unita sulla base di un diritto da tutti riconosciuto e per tutti vincolante. Ascoltino il vagito dell’infante piuttosto che le decrepite paure del sopravvissuto.