L’avvocato pugliese è partito come vice dei suoi vice. Ma giorno dopo giorno, mentre Salvini faceva dirette su Facebook, lui ha tessuto reti, da Trump al Vaticano. E Il resto è venuto da sé

AGF-EDITORIAL-2437221-jpg

Che Giuseppe Conte non fosse un vaso di coccio lo si era capito da un pezzo. Ma la conferma, il senso dell’incantesimo da Apprendista stregone in cui è avvolto si consuma in una scenetta per strada, giusto davanti a Palazzo Chigi. Sono le sei e mezzo del pomeriggio del 26 agosto, Luigi Di Maio per i Cinque Stelle e Nicola Zingaretti per il Pd si sono appena incontrati per la seconda volta, la via per uscire dall’impasse delle consultazioni è ancora lunga, ma la vox populi ha già una sua idea precisa. Due dipendenti della presidenza del Consiglio fermano infatti una giornalista di La7. «Possiamo farci una foto insieme?», le chiedono. Poi aggiungono: «Così poi la mostriamo al presidente». Quale presidente? «Conte, ovviamente». Come accade spesso, il senso comune dà già per scontato ciò che la politica doveva ancora costruire. Una soluzione già lampante, al di là dei riti.

Premier per caso, avvocato del popolo ed esecutore del contratto giallo-verde ultimato nel giugno 2018, in quest’anno e tre mesi Giuseppe Conte s’è trasformato in qualcosa d’altro. Come nella ballata dell’Apprendista stregone, scritta da Goethe alla fine del Settecento e filmata da Disney nel 1940. Quando il giovane apprendista - impersonato da Topolino in Fantasia - nel tentativo di fermare la scopa animata per incantesimo, la spezza in due con un’accetta. Ma invece di annientarla, ottiene il risultato opposto: ne raddoppia la forza, la centuplica. Ecco: Conte non è l’apprendista, è quella scopa. E così, quando Salvini ha provato a fermare il cammino dell’uomo che, nella metafora, era stato chiamato a lavare il pavimento al posto suo («il vice dei suoi vice», l’aveva definito con la sua esatta crudeltà Rino Formica, nel giorno del giuramento), il premier-esecutore ha tirato dritto, ha infilato nel secchio pure il leader della Lega, e ha ricominciato a camminare. Verso la fontana a prendere l’acqua. Verso il G7 di Biarritz. Verso il Quirinale. Again.

Dunque, ciascun pezzetto di legno dritto verso il “Contebis”, in cima al trend di Twitter già da dopo il 20 agosto - nonostante il solito Casalino avrebbe optato da subito per l’opzione “Conte 2”. Tutto sommato si ha ormai la sensazione che di Conte se ne potrebbero produrre a ripetizione, ognuno buono a formare un qualsiasi, ulteriore governo. Con la Lega. Col Pd. Con Berlusconi. Con Meloni. Con Vendola, persino. Per lo meno fino al ritorno del mago che - se c’è - metta fine all’incantesimo, atterri gli apprendisti. Eviti l’allagamento del Paese intero.
Non che Conte faccia tutto da solo, anzi. È in ottima compagnia. Come se nel cammino gli si fosse avvitato attorno un turbine, che lo sospinge avanti. Una specie di silenzioso partito delle scope, che punta su di lui. Non tanto per una qualità specifica dell’uomo, quanto di certo per sostanziale assenza di alternative.
[[ge:rep-locali:espresso:285335663]]
TRUMP E GLI USA
Il primo fra i suoi sostenitori, il presidente Usa Donald Trump, sembra un punto incassato giocando in trasferta sul terreno leghista. Il capo mondiale dei populisti, da americano, invece che su Salvini ha puntato su «Giuseppi» molto prima di digitare il tweet in suo esplicito sostegno e di concedergli dieci minuti di colloquio-passerella. Anche l’avvicinamento a lui da parte dell’avvocato del popolo è lungo. A fine luglio, nel suo intervento conclusivo alla Conferenza degli Ambasciatori alla Farnesina, in perfetta continuità con la linea del Quirinale aveva sottolineato la non-equivicinanza dell’Italia rispetto a Washington e Mosca. Dicendo come «il nostro rapporto con gli Stati Uniti rimane qualitativamente diverso da quello che abbiamo con altre potenze, perché si fonda innanzitutto su valori e principi condivisi, che sono il fondamento stesso della Repubblica e che sono parte integrante della nostra Costituzione: la sovranità democratica, la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, la tutela dei diritti fondamentali della persona». Buoni rapporti con i russi, ma atlantismo a tutto spiano. «I nostri caposaldi sono l’atlantismo e l’europeismo», ha detto poi al Senato il 20 agosto. Molta strada è stata fatta dall’ormai lontano G7 in Canada del giugno 2018, dove Conte arrivò giusto dopo una settimana da premier e qualche balbettìo pro-Mosca. Proprio in Canada, invece, cominciò a fare ciao ciao con la manina a Trump, a non togliergli mai gli occhi di dosso, ossessivamente, fino a riuscire a farsi notare. E quando The Donald lo definì «fantastic» in una intervista a Fox news, il Fatto poté scrivere che «Conte è rimasto fuori dalla foto simbolo del G7 solo perché era accanto a Trump, fuori dall’obiettivo». Urrà.

Diario della crisi
Il Conte Vecchio e il Conte Nuovo hanno una sola coerenza: lui
30/8/2019
DALLA GERMANIA CON FURORE
Con Angela Merkel la danza d’avvicinamento è consistita in modi felpati, baciamano, multilinguismo. Conte ha fatto come gli consigliava via interviste anche professor Giulio Sapelli: riavvicinare l’Italia alla Germania. Scambi di battute, caffè, succhi di frutta, brevi incontri, pazienza. Fino alla notturna con birra, intorno al tavolo con gli altri leader europei quando c’era da decidere il nome del presidente Ue. Passando per il fuorionda trasmesso a Piazzapulita. Quando, in una pausa del vertice di Davos di fine gennaio, parlando dell’Italia Conte aveva rassicurato la cancelliera tedesca circa la vicinanza dei Cinque Stelle e la generale capacità di tenerli tutti a bada, Salvini in testa: «La mia forza è che se io dico “Ora la smettiamo!”, loro non litigano».
Maurizio Landini

MODELLO URSULA
Atlantismo ed europeismo. Dopo l’attenta manovra che ha portato anche i Cinque Stelle (col supporto di Conte) a votare per la neopresidente della commissione europea, nella sua visita a Roma alla vigilia dello scoppio della crisi di governo, Ursula von der Leyen si era profusa in complimenti e aveva espresso una perfetta sintonia con il premier italiano. Ben tre tweet dedicati alla visita, quello conclusivo con allegato selfie in sua compagnia e, tra di loro, il busto in marmo di De Gasperi. «Un grande scambio di vedute con Giuseppe Conte, su competitività, immigrazione, crescita economica, innovazione e lavoro. L’Europa ha bisogno dell’Italia e dello spirito di Alcide De Gasperi», era il trionfo finale, con tanto di bandierine. Anche il presidente del consiglio europeo, Donald Tusk, è stato scintillante: «Conte è uno dei migliori esempi di lealtà in Europa. Su si lui posso dire solo cose positive». Tanta strada fatta, anche qui: «Ha un nome facile da ricordare», si era sperticato Tusk un anno fa.

STILE VATICANO
Discreta, ma evidente, la posizione della Chiesa. A giugno, quando sull’aereo di ritorno dalla Romania gli fu chiesto se avesse mai rifiutato di incontrare Salvini, che lo aveva sfidato a colpi di rosario, papa Bergoglio precisò che il ministro dell’Interno non aveva chiesto l’udienza. Elogiò, al contrario, proprio Conte. A suo tempo il premier invece l’aveva chiesta e ottenuta. Con soddisfazione reciproca: «Quella è stata una bella udienza, un’ora e più. È un uomo intelligente, un professore, sa di cosa parla», aveva sottolineato il Pontefice.
AGF-EDITORIAL-2550617-jpg

Un accadimento, quel colloquio, che Conte aveva a suo tempo diffuso ai quattro venti e ovviamente anche resocontato in un post su Facebook, nel quale in modo un po’ sgraziato parlava del «rispettivo impegno che stiamo portando avanti per realizzare, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, un ampio disegno riformatore della comunità in cui operiamo». Ognuno nel suo ambito: Conte, ma anche il papa. Il premier, fra parentesi, l’aveva già incontrato nel 2016, a Villa Nazareth, il collegio dove s’era svezzato ai riti della romanità. Non solo. Nei giorni in cui ancora vigeva il veto sull’avvocato del popolo, è stato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi, a far conoscere al segretario del Pd Nicola Zingaretti il suo appoggio a un nuovo governo, per evitare le elezioni anticipate e mettere Salvini in minoranza. Una perorazione avanzata pubblicamente anche a Rimini, durante il Meeting di Comunione e liberazione, una settimana prima.

TRAVAGLIO, FERRARA E COMPANY
Potevano mancare i giornalisti tra gli sponsor? Non potevano. Ed ecco, in inedita accoppiata, Giuliano Ferrara e Marco Travaglio. Precoci e sfegatati. Il direttore del Fatto soprattutto. Il quale, in un impeto di soddisfazione, nei giorni scorsi ha deciso di arrendersi all’evidenza: «Noi che siamo gente semplice, ci orientiamo con quattro bussole, che non ci hanno mai tradito», ha esordito nel suo editoriale il 28 agosto, proseguendo così: «...La quarta è Giuliano Ferrara: se sposa un governo, disastro assicurato», ma «purtroppo» stavolta c’è anche lui, che «stravede per il Conte 2. Ma non si può avere tutto dalla vita». Pazienza. Notevoli vette le raggiunge anche il Corriere della Sera. Il quale, pur di iscriversi tra i sostenitori, e raccontare tutte le «mosse azzeccate» dell’avvocato del popolo che «non ne ha sbagliato una», arriva a descrivere scenari degni di un miraggio nel deserto: ad esempio quello di un premier talmente ossessionato dalla riservatezza da arrivare, addirittura «per giorni», «a non fare mai una telefonata, mandare un messaggio, cercare un aggancio esplicito ora con il Pd, ora con i Cinque Stelle», al punto da essere «quasi all’oscuro dell’evoluzione» della trattativa; ma capace ugualmente di trovarsi per magia, di punto in bianco, rappresentante dei Cinque Stelle, non più confinato nel ruolo terzo che aveva prima.

RENZI E IL PREMIER INDEGNO
Tutto cambia, del resto. Persino l’ex più fiero avversario dem alla alleanza coi Cinque Stelle, ha rivisto tutto. In un solo pomeriggio di maggio, in campagna elettorale con Calenda, Matteo Renzi non aveva lasciato in piedi un sol brandello del premier. «Non solo non è degno di essere presidente del consiglio. Non è degno di essere professore di diritto», «sta svilendo il suo ruolo», «non sa di cosa parla». «è un disastro», dal Russiagate alla Libia, un dossier sul quale «Conte ha organizzato un vertice fasullo a Palermo solo per farsi i selfie con Haftar e Serraj da dare a Rocco Casalino per poi rilanciarli sui social coi troll e i profili finti». Rimarchevole la distanza con l’oggi, non c’è che dire.
Sergio Mattarella

Del resto, appena superato il momento di sbigottimento dovuto all’avvio delle consultazioni, già nel primo weekend dopo Ferragosto sono arrivati i rinforzi. Dalla sinistra radicale, che in sostanza trova i Cinque stelle abbiano già dimostrato con la Lega di essere abbastanza malleabili da farsi mettere i piedi in testa (vi è in questo caso il tema di una sinistra che si sente come Salvini, ma è tutto un altro problema). È accorso subito anche il segretario della Cgil Maurizio Landini a sottolineare come con Conte, che ha riaperto i tavoli con le parti sociali, ci si possa trovare parecchio bene: «Un uomo dal coraggio politico e dal profilo istituzionale importante», ha detto addirittura. Non altrettanto sperticato Vincenzo Boccia, preoccupato più che altro della «stagnazione in agguato» e della necessità di fare un nuovo governo.

Mentre l’ex premier Romano Prodi ricorda allarmato che l’Italia non può cincischiare (indicazione diretta a fugare i dubbi del segretario dem Zingaretti), uno slancio discreto è arrivato dritto pure dal Quirinale. Con la tempistica, anzitutto, che ha favorito l’approfondirsi del dialogo tra dem e Cinque stelle. Ma anche con i tweet: vedasi quello di Pierluigi Castagnetti, amico personale del presidente Mattarella, che invitava il segretario Zingaretti a non impiccarsi ai nomi.
Nicola Zingaretti

Del resto Conte si è collocato per tempo sotto le ali del Colle: quando gli è arrivato l’avviso di sfratto da Salvini, è andato dritto dal capo dello Stato, non si è dimesso, e nella crisi si è proposto come sacerdote. Esecutore stavolta della legalità costituzionale. Conte, in fondo, rappresenta e incarna il disegno che si presentava già dell’inizio legislatura. Quello di costituzionalizzare i Cinque stelle: tramite lui, a questo punto. Per questo Castagnetti lo paragona, fatte le dovute proporzioni, ad Andreotti. Nell’attesa che l’incantesimo delle scope finisca.