L'abuso di questi atti amministrativi è un pericolo. Perché mette in discussione separazione dei poteri e garanzie costituzionali nella quasi indifferenza generale

Sofia Ventura
Tre Dpcm in un mese: il governo rincorre affannosamente il virus e con lui entrano in affanno la società italiana e lo Stato di diritto. Già, perché l’uso dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, che alcuni rappresentano come lo strumento per eccellenza per rispondere alla pandemia, in realtà sembra piuttosto l’espediente al quale ricorre un governo incapace di programmare; un espediente che, per sovrappiù, distorce il garantismo costituzionale.

«Una lunga esperienza - scriveva lo studioso liberale Giuseppe Maranini - ha definitivamente dimostrato come il potere di governo (…) sia facilmente indotto a offendere le libertà individuali se questa materia non sia gelosamente disciplinata da un potere legislativo indipendente».

La riserva di legge costituisce uno degli strumenti per tutelare quelle libertà ed è proprio questa che è stata messa in discussione dalle politiche per affrontare la pandemia. Ma non tutti si sono comportati allo stesso modo: attenti a fondare sulla Legge quelle limitazioni spagnoli e tedeschi, più disinvolti francesi e italiani, anche se i primi hanno poi cercato di porre rimedio con una legge che ha salvaguardato “riserva” e controllo del legislativo. Un po’ ovunque il dibattito pubblico ha dato risalto alla tensione tra costituzionalismo e salvaguardia della salute. Ma non in Italia.

L’Italia è carente di sensibilità istituzionale, a livello di opinione pubblica ed élite, comprese quelle mediatiche, spesso alla ricerca della sensazione e per questo propense ad anteporre il senso comune all’ informazione ragionata.

I Dpcm sono atti amministrativi il cui abuso ha trasformato in strumenti che limitano diritti e libertà. Coperti da un decreto legge che elenca un elenco infinito di poteri, consentendo all’esecutivo di pescare qua e là discrezionalmente - come ha osservato il costituzionalista Giovanni Guzzetta - essi, dilatati all’inverosimile nella loro portata e qualità, mettono in discussione separazione dei poteri e garanzie costituzionali nella quasi indifferenza generale.

E non convince Gustavo Zagrebelsky che si ritiene soddisfatto della formale copertura del decreto: è come se in questa occasione fosse indifferente allo stravolgimento che si può operare del garantismo costituzionale sotto la coperta di un rispetto formale. Anche se è tutto da dimostrare che quel rispetto formale esista, ma purtroppo da noi non si è creata, come altrove in questi mesi, una giurisprudenza sul punto. Il senso comune di cittadini ed élite giustifica tutto in nome dell’emergenza. Ma le forzature producono precedenti e il precedente di un governo che agisce in ambiti tutelati dalla riserva di legge con atti amministrativi legittimati da decreti legge dai contenuti tendenti all’infinito inocula un pericoloso veleno nel corpo liberale. Marta Cartabia, Presidente della Corte costituzionale sino al settembre di quest’anno, nella sua relazione dell’aprile scorso ricordava come la Costituzione preveda gli strumenti per rispondere alle emergenze, ovvero i decreti legge, che, ricordiamo, a differenza dei Dpcm sono sottoposti al duplice vaglio del Presidente della Repubblica e del Parlamento.

Ma come si diceva, i Dpcm sono più idonei ad un governo senza strategia, che tra impreparazione e ossessione per il consenso si barcamena in una situazione più grande di lui. E forse agli occhi di chi governa appaiono più funzionali a scelte opache, che tali devono rimanere per non mostrare i limiti di chi non sa decidere in modo serio sulla base di valutazioni serie. E poiché della democrazia costituzionale interessa a pochi, tanto vale utilizzarli, gridando che la casa brucia e non c’è tempo da perdere (salvo perderne in continuazione). Poi, poiché per spegnere l’incendio invece che l’idrante si utilizza la ruspa, della casa troveremo le macerie. E ce la prenderemo col destino cinico e baro.