Tsunami, incendio, onda d'urto, bomba atomica, eroismo. Con il suo linguaggio fra il film catastrofico e il Cinegiornale Luce, l'assessore più popolare d'Italia racconta ogni sera il fronte lombardo dell'epidemia. Ecco come il forzista è arrivato a gestire un budget da 20 miliardi di euro nonostante il declino di Silvio Berlusconi

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Premesso che può finire solo con l’autoassoluzione plenaria della classe dirigente secondo il principio “tutti colpevoli tutti innocenti”, il balzo più ardito è costruire sul Covid-19 un successo politico. In Lombardia sfida il destino avverso Giulio Gallera, avvocato e assessore al Welfare, classe 1969, forzista capace di prendersi il piatto più ricco della giunta (19,2 miliardi di fondo sanitario 2020, prima del virus) e di conservarlo a dispetto del crollo di Silvio Berlusconi, contro gli appetiti leghisti e contro l’ancora potente lobby di Cl nostalgica di Roberto Formigoni.

Sindaco di Milano nel 2021 o prossimo leader di Forza Italia, nessun sogno è vietato. Ma il sogno può trasformarsi in incubo, visto che lo scudo penale per i politici non accenna ad andare in porto. L’assessore rimane ottimista, lo è per natura. Solo un ottimista poteva iniziare la carriera politica nel Partito liberale a fine anni Ottanta, quando il partito di Valerio Zanone ed Egidio Sterpa a Milano valeva il 2 per cento e la discesa in campo del Cavaliere era di là da venire.

Così Gallera ci prova ogni sera. Lo fa nella sua conferenza stampa pomeridiana in diretta Facebook e ripresa da diverse tv, tra cui Sky.

Inchiesta
La Protezione civile e gli appalti contro il virus: la lobby dei politici nel caos delle mascherine
10/4/2020
Il format da 300 mila visualizzazioni si è evoluto in un mese e mezzo. Ultimamente l’assessore si fa precedere da un filmato in stile cinegiornale Luce dove giovani volontari in mascherina esaltano i successi strepitosi del governatore Attilio Fontana e della sua giunta. Finita l’introduzione, la star si toglie la mascherina - unico a farlo - e inizia un resoconto dove la tragedia si alterna all’eroismo, il dramma all’abnegazione, la speranza alla denuncia dei critici, degli speculatori, in breve dei cronisti che ficcano il naso nella strage degli anziani nelle Rsa a Mediglia, al Pio Albergo Trivulzio, dove martedì 7 aprile la Regione ha dovuto aprire un’inchiesta per le decine di decessi anomali in pochi giorni di aprile affidando la ricognizione all’Ats di Milano.

Quanto ai morti del mese di marzo, Gallera ha sminuito il problema e ha ricordato che in fondo al Trivulzio c’è l’ala “hospice”, dove nonostante l’addolcimento dell’inglese si va per morire. Ancora a Milano ci sono i 27 morti di virus al Don Gnocchi e poi c’è l’ospedale di Alzano Lombardo, chiuso domenica 23 febbraio con due morti al Covid-19 e riaperto lunedì 24 con una sanificazione insufficiente. E per le 15 Rsa lombarde sulle 708 totali che hanno accolto pazienti Covid la Regione ha varato una seconda commissione.

Il termometro delle critiche, insomma, è in netto rialzo. Strano sia successo così tardi, dopo 10 mila morti e un indice di letalità che viaggia verso il 20 per cento, record mondiale.

Gli speculatori speculano sempre di più. Come ha detto Gallera, «osano attaccare» l’ordinanza dell’8 marzo che ammetteva il ricovero dei positivi al Corona virus negli ospizi, quando i Dpi non li aveva quasi nessuno ed erano comunque a carico dei gestori privati delle cliniche. Anche i 3,3 milioni di mascherine gratuite promessi ai lombardi per lunedì 6 aprile sono arrivati con giorni di ritardo, lasciando la gente in fila davanti alle farmacie. I medici di base sono stati obbligati alle visite a domicilio senza Dpi come ha fatto l’Ats Montagna il 26 febbraio: «Resta il fatto che responsabilmente, soprattutto in questo momento critico, il medico non si possa sottrarre a un suo preciso obbligo assistenziale».

La sintesi del glorioso sistema lombardo è: mi ammalo, mi dicono stai a casa con la tachipirina e lo Zitromax, i dottori non possono visitarmi perché non hanno i dispositivi e quando arrivano a ricoverarmi è troppo tardi.
Ha contribuito anche la decretistica di Stato, così trasmessa dal dg al Welfare Luigi Cajazzo l’11 marzo: «Per l’operatore asintomatico che ha assistito un caso probabile o confermato di Covid-19 senza che siano stati usati gli adeguati Dpi per rischio droplet o l’operatore che ha avuto un contatto stretto con caso probabile o confermato in ambito extralavorativo, NON è indicata l’effettuazione del tampone ma il monitoraggio giornaliero delle condizioni cliniche. In assenza di sintomi non è prevista l’interruzione dal lavoro che dovrà avvenire con utilizzo continuato di mascherina chirurgica».

Lo scaricabarile a puntate fra regione e governo sulle mancate zone rosse in Val Seriana, ad Alzano e a Nembro è stato il primo dramma di Gallera. Lo ha raccontato lui stesso in diretta all’inizio del lockdown, quando ha ricordato le pressioni feroci degli amici imprenditori che lo minacciavano, lo pregavano, lo volevano persuadere a non chiudere. La battaglia è stata tanto più dura in quanto l’assessore viene da quel mondo.

Il padre Eugenio, 79 anni, è cavaliere del lavoro e proprietario della Ferriera di Caronno Pertusella, un comune del varesotto appena oltre il confine di Milano cresciuto al servizio del boom economico. A pochi passi dalla fabbrica dei Gallera c’è lo storico stabilimento Riva acciaio. Poi la ferriera è stata dismessa come il suo principale cliente, l’Alfa Romeo di Arese. L’area è abbandonata e, in attesa di essere ceduta, serve da rifugio ai senza tetto.
È una famiglia tradizionale quella del cavaliere Gallera, con un gusto per la partecipazione e l’associazionismo che ha portato l’imprenditore a governare il distretto 108 ib 4 (Grande Milano) dei Lions.

L’attività del figlio in Comune rispecchia le tradizioni liberali del padre. Dopo due esperienze al consiglio della zona 19 (San Siro) e l’adesione a Forza Italia, il primo salto di carriera avviene nel 1997, quando il giovane conquista un seggio come ottavo degli eletti con la giunta di Gabriele Albertini. Un anno dopo diventa avvocato dopo la pratica nello studio di Marco Rocchini, sindaco forzista di Arcore.

A palazzo Marino Gallera incontra un altro giovane di prospettiva, suo minore di quattro anni ma già con una consiliatura in più alle spalle. È grossolano, provocatore, si veste con orrendi maglioni verdi e non pratica la corsa. L’opposto delle buone maniere borghesi, dei completi sartoriali del giovane avvocato e del suo amore per il running. Il ragazzo in verde è Matteo Salvini e fra i due è antipatia a prima vista. Piazzato con la destra liberal guidata dall’ex Servire il popolo Aldo Brandirali, Gallera non vuole la recinzione in piazza Vetra in nome della sicurezza, ritiene ingiusto proibire il burqa in città e vietare il concerto di Marilyn Manson. Accusa il futuro leader leghista di individualismo e quando nel 2009 Salvini suggerisce l’apartheid per le etnie inferiori in metropolitana, Gallera lo azzera: «È una proposta razzista che non merita commento».

Incidenti di percorso, pochi. Un presunto appoggio elettorale dalla ‘ndrangheta emerso nell’inchiesta Crimine-Infinito (2010) che non ha trovato conferma. Un appartamento in Porta Romana dove aveva lo studio legale il fratello Massimo citato nell’Affittopoli del Pio Albergo Trivulzio (2011).

Dopo l’assessorato al decentramento e ai servizi cimiteriali, a ottobre 2012 entra al Pirellone. Gallera sostituisce come primo dei non eletti Domenico Zambetti, dirigente sanitario arrestato per voto di scambio con la mafia calabrese. Alle elezioni del 2013 diventa consigliere regionale a pieno titolo (undicesimo nelle preferenze). Ci vorranno oltre tre anni per raggiungere l’assessorato. Accade il 24 giugno 2016, otto mesi dopo le dimissioni del ras della sanità Mario Mantovani, finito sotto indagine e arrestato nell’ottobre 2015.
Con Mantovani fuori gioco, il settore che rappresenta tre quarti del budget regionale rimane ad interim a Roberto Maroni. Ma le pressioni degli alleati forzisti sono insostenibili per un governatore a sua voltaa indebolito dalle inchieste.

«È stata una scelta sofferta», si limita a commentare Maroni con spirito di understatement dopo gli scontri con i fautori di Gallera, che sono in primis Mariastella Gelmini e l’allora consigliere economico di Berlusconi, Giovanni Toti. La successione a Mantovani è una di quelle faide del centrodestra lombardo che passano sotto traccia, soprattutto quando si toccano i tralicci ad alta tensione della sanità. Ne sa qualcosa il leghista bresciano Alessandro Cè, assessore-meteora nel 2005 che si era permesso di «stigmatizzare lo strapotere della sanità privata in Lombardia e le inappropriatezze diffuse di questo sistema». Da capogruppo leghista al Senato a paria, per il medico Cè il passo è stato brevissimo.

Gallera garantisce continuità con il potere di Mantovani: berlusconiano ma non ciellino. È il 24 giugno 2016 e, oltre alla sanità, l’esponente forzista riceve anche le deleghe al sociale al sociosanitario. Un superassessorato, quindi.
In Lombardia la sanità fa male a chi non ce l’ha e alle regionali del marzo 2018 Gallera è primo assoluto delle liste con 11722 preferenze, a dispetto degli screzi con il candidato di centrosinistra, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che accusa alcuni medici di base di avere fatto propaganda per l’avversario con i pazienti. Il nuovo governatore Attilio Fontana è una vecchia conoscenza per Gallera che è stato il suo vice nell’Anci lombarda (l’associazione dei Comuni).

Fontana è grato al sostegno di Gallera, che ha del miracoloso in una fase di declino forzista. Ma Salvini gli pone il tema di limitare il potere dell’assessore al Welfare. L’ingrato compito tocca al gruppo dell’Università statale con Walter Bergamaschi messo all’Ats Milano e l’ex rettore Gianluca Vago, anatomopatologo. La manovra fallisce.
Il 7 maggio 2018 Gallera prende come direttore generale Cajazzo, ex dg dell’Istituto nazionale tumori con un passato alla squadra mobile di Lecco. A uscire è il maroniano Giovanni Daverio, ex dg dell’Asl di Varese.
Il trionfo sembra assicurato. Gallera si dedica alle inaugurazioni, come quella del reparto cardiologia di Codogno il 20 dicembre, due mesi prima che la bomba Corona esploda proprio nella cittadina del lodigiano. Il 15 febbraio l’assessore posta la foto della sua corsa a Parco delle cave: 23 km in 2h19’04”. La maratona è iniziata lì.