Il vaticinio fu annunciato sette anni fa, quando i Cinque stelle misero piede in Parlamento. Era il 25 giugno 2013, Beppe Grillo spiegò con un post: «I giornalisti non possono infestare Camera e Senato e muoversi a loro piacimento. Vanno disciplinati in spazi appositi, esterni al Palazzo», perché «il cronista ti ascolta» e «si nasconde ovunque», «per le scale o al cesso». Col senno del poi era più che un programma. Il rincalzo arrivò nell’aprile 2014. Luigi Di Maio, allora vicepresidente della Camera, scrisse all’ufficio di presidenza, per chiedere una «regolamentazione più rigorosa» dell’accesso, «non solo dei gruppi di pressione, ma dei giornalisti della stampa parlamentare, anche con riguardo agli spazi cui possono accedere». Si sollevò un putiferio. «Solo il regime fascista cacciò i giornalisti», protestò l’Associazione stampa parlamentare. M5S «chiede di limitare l’agibilità dei giornalisti, evidentemente colpevoli di raccontare l’inconcludenza dei suoi deputati», si associò Roberto Speranza, all’epoca capogruppo dem.
Ora, mentre Speranza è ministro nel governo giallorosa, quel che non poterono Casaleggio, Grillo e l’urto iniziale di M5S sta riuscendo dietro al grande paravento del Covid-19. Si sa che le epidemie creano nuovi equilibri. Quindi, giusto per ragioni sanitarie, Questori e Capigruppo hanno deciso di allargare l’Aula di Montecitorio, estendendola alle tribune e al Transatlantico. Le tribune stampa sono il luogo dal quale i giornalisti guardano dall’alto ciò che fanno i politici in Aula, anche quando non ripresi dalle tv (non solo il dibattito, ma anche chiacchiere, telefonate, amicizie, bigliettini, imprecazioni). Il Transatlantico è il salone che confina con l’Aula, cioè il luogo in cui i deputati che escono dalle votazioni possono incontrare i giornalisti o, viceversa, in cui possono essere braccati dai cronisti mentre stringono alleanze teoricamente riservate o, anche, prima che si dirigano nei luoghi che si diramano da quel salone: buvette, poste, commissioni, bagno eccetera. Si dirà che rinunciare a stazionarvi è un dettaglio, una fissazione, una nostalgia: che sarà mai, è solo un salone. Rischia invece di essere un passaggio epocale, nella direzione indicata da Grillo nel 2013. Perché favorisce i mancati racconti: un genere letterario scivoloso e già piuttosto di moda. Di quelli che, per iperbole, piacciono ai regimi.Contendere spazi e luoghi al potere è, da sempre, la premessa per raccontarlo. Esserci significa sapere cosa sta succedendo: soprattutto dove nessuno fa lo streaming. Domandare, ascoltare, osservare. Mimetizzarsi, nel caso. Diventare statua, tenda, porta, all’occorrenza finti delegati, finti passanti, finti turisti, finti commensali: modi per cogliere notizie, racconti non già mediati dal potere, o dai portavoce del potere. Per scremare le veline, le versioni di comodo. E questo, nei palazzi, i Cinque stelle già l’avevano mezzo portato via, riuscendo ad esempio a introdurre una norma per la quale ai cronisti è di fatto impedito di sostare al piano dove un gruppo parlamentare sta tenendo una riunione. O anche, per altro verso, con la selezione verso il basso dei soggetti da eleggere, in modo da garantirsi il massimo silenzio col minimo sforzo: se gli onorevoli non hanno niente da dire, più difficilmente lo faranno.
Con la chiusura del Transatlantico non si sa per quanto - l’Asp chiede sia temporanea e limitata - non ci sarà più bisogno di organizzare le «ronde in Transatlantico» dei responsabili comunicazione grillini, come accadeva all’inizio, quando via mail si disse anche di non parlare coi giornalisti «inaffidabili» (c’era una lista). «Ci danno consigli, nessun obbligo», spiegò serafico Roberto Fico, all’epoca deputato. Usando lo stesso tono con cui oggi, da presidente della Camera, dichiara che la decisione «non limiterà l’attività dei giornalisti». Una garanzia scritta su un post, via Facebook.