Personaggi

Maurizio Marrone, il fratello d'Italia con la passione per la Russia di Putin

di Massimiliano Coccia   27 agosto 2020

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È stato nominato nella giunta del Piemonte da Alberto Cirio dopo l’arresto del collega di partito Roberto Rosso. Nel suo recente passato viaggi in Donbass, apertura di Consolati fake, amicizie pericolose e un presente di filo putinismo e oscurantismo sul corpo delle donne e delle comunità Lgbt

Storicamente il Piemonte è stata una regione dove la politica ha incubato delle novità che sono esplose sul piano nazionale. Basta pensare al Movimento Cinque Stelle in epoche recenti o al secolo scorso secolo dove l’operaismo, il pensiero liberale e la sinistra socialista trovavano una culla ideologica sotto la Mole. Questa volta però la novità non è dettata da qualche novello Casaleggio o qualche promettente Gobetti: viene da destra, in particolar modo da Fratelli d’Italia, che ormai è saldamente la seconda forza della coalizione un tempo ad esclusiva trazione salviniana.

In terra sabauda, nonostante l’arresto di Roberto Rosso, assessore regionale meloniano, con l’accusa di voto di scambio politico mafioso, la formazione tricolore sembra vivere una stagione di nuovo vigore. A sostituire Rosso infatti è stato il suo collega di partito Maurizio Marrone, giovane consigliere regionale, ma con un curriculum di militanza e di impegno istituzionale molto lungo, che è entrato nella giunta regionale guidata da Alberto Cirio con le deleghe alla Semplificazione, gli affari legali e la cooperazione internazionale. Incarichi con scarsi capitolati di spesa ma che permettono a Marrone di muoversi in modo agile tra territorio e il palazzo.

Nonostante la perenne presenza nelle istituzioni, Maurizio Marrone è uomo di mischia, di strada e di cattive compagnie. Oltre alle passioni identitarie canoniche, care all’estrema destra, come la difesa di Eric Priebke - con tanto di condivisione di un post del leader di Terza Posizione Gabriele Adinolfi nel 2013 che fece infuriare la Comunità ebraica torinese - nel corso della sua carriera è stato più un ambasciatore di interessi stranieri in patria che un vero e proprio fratello d'Italia. Marrone non ha mai nascosto una sconfinata ammirazione per il presidente russo Vladimir Putin, un'ammirazione che non si è fermata al piano formale ma che lo ha spinto a recarsi in Donbass tra mercenari, terroristi e guerriglieri che combattono per l’indipendenza della Repubblica di Donetsk. Tra i tanti miliziani italiani di matrice neofascista conobbe Andrea Palmeri, già all’epoca per la giustizia italiana latitante, estremista nero, ex capo degli ultras della Lucchese. Per la Procura di Genova, che due anni fa ha spiccato un mandato di cattura internazionale, Palmeri è accusato «di reclutamento di mercenari e combattimento in un conflitto armato estero»: secondo gli inquirenti era il perno di un asse tra l’Ucraina e il nostro Paese, dove provvedeva ad arruolare combattenti negli ambienti dell’ultradestra e del tifo organizzato. Al centro del reclutamento l’ideologia faceva rima con guadagno: come rivela lui stesso in numerose intercettazioni telefoniche, il giro di arruolamento e di armi era molto cospicuo.

L’incontro tra Palmeri e Marrone avviene in una cena privata alla presenza di Janus Putkonen, capo dell’agenzia Doni, agente di collegamento coi servizi segreti russi, delegato al monitoraggio e alla schedatura dei giornalisti occidentali avversi al governo di Mosca. La figura di Putkonen figura anche nell’operazione “Dalla Russia con amore”, l'aiuto sanitario russo all'Italia deciso da Mosca durante l'emergenza Covid: secondo documenti in nostro possesso, la pianificazione della comunicazione durante la crisi pandemica dei soldati di Putin sul territorio italiano è passata per il suo controllo e coordinamento.

Questo nugolo di esperienze maturate sul territorio ucraino permettono a Maurizio Marrone di aprire nel 2017 un Consolato informale della della Repubblica di Donetsk a Torino che aveva lo scopo di essere un centro di interessi economici e politici per la resistenza in Donbass e fungere da centro di assistenza economica per le attività economiche dell’area. L’iniziativa fu sostenuta tra gli altri anche dall’associazione “Lombardia-Russia” di Gianluca Savoini ed esponenti europei di Forza Italia e della Lega. Del Consolato oggi si sono perse le tracce, sia per le proteste internazionali che nacquero dopo l’iniziativa, sia per la protesta interna dentro Fratelli d’Italia che in un primo momento benedì l’iniziativa con un convegno alla Camera, salvo poi fare marcia indietro, «costringendo Marrone - come racconta una nostra fonte - ad abbandonare le velleità belliche nei confronti dell’Ucraina, anche perché dopo le inchieste della magistratura e il ritrovamento di vario materiale bellico in Piemonte, compreso un missile terra-aria lo scorso anno, era diventato difficile sostenere quella battaglia sotto le insegne del partito».

Ma, nonostante tutto, l’ascesa di Marrone dentro Fratelli d’Italia non si è fermata: ha occupato come abbiamo visto una posizione di rilievo nella giunta piemontese, è diventato in pochi mesi il braccio destro di Alberto Cirio, il governatore che boatos danno in procinto di lasciare Forza Italia, per approdare proprio alla corte di Giorgia Meloni, e proprio con Marrone nel ruolo di pontiere. Un passaggio, questo, che segnerebbe un cambio di strategia complessiva su tutto il Nord, mettendo in discussione il tabù di un candidato presidente della Lega in Lombardia dopo Attilio Fontana. Al momento, il sodalizio tra Cirio e Marrone sta spostando l’asse di una regione tradizionalmente laica, liberale e libertaria anche nelle sue componenti più conservatrici, su posizioni antiabortiste, filorusse e omofobe; tanto da chiedere durante la pandemia l’invio da parte del governo delle unità di sanificazione degli specialisti russi, impiegati in Lombardia sempre nell’ambito dell’operazione “Dalla Russia con amore” - amore che come dichiarò lo stesso Marrone è più che ricambiato, visto che fu proprio lui l’autore, nel 2016, di una mozione in consiglio regionale che condannò le sanzioni economiche contro il regime di Putin.

In questi pochi mesi da assessore, in virtù delle sue deleghe, Marrone ha tuonato forte contro il Ddl Zan contro l’omotransfobia e sulle nuove linee guida sulla pillola RU486 pubblicate dal ministero della Salute qualche settimana fa. In entrambi i casi Marrone, un passato anche da “sentinella in piedi” e un presente da fomentatore dell’esistenza della teoria gender e di complotti sorosiani, ha schierato la Regione Piemonte tra i contrari richiedendo sulla pillola abortiva un parere all’Avvocatura regionale. Dichiarando tra l’altro: «Dubito che l’aborto fai-da-te garantisca una scelta consapevole e la salute delle donne». E invece annunciando, in caso di approvazione del Ddl Zan, il ricorso alla Corte Costituzionale poiché a suo avviso la norma violerebbe il principio costituzionale della libertà di espressione.

Un principio evidentemente caro a Marrone solo entro i confini nazionali, visto il trattamento che gli oppositori russi ricevono dal suo punto di riferimento politico, Vladimir Putin, di cui condivide anche i video propagandistici: ad esempio, quello rilanciato lo scorso giugno in cui un bambino orfano reagisce con straziante dolore alla scoperta di essere stato dato in adozione ad una coppia gay, accompagnato dallo status: «In Russia è stato indetto da Putin un referendum per inserire nella Costituzionale la tutela della famiglia naturale e impedire le adozioni gay. Per chiamare i cittadini al voto è stato diffuso questo video: guardatelo anche voi, a me sembra tanto l’Italia del 2020». Un richiamo alla coerenza della famiglia naturale, coerenza che però per Marrone è intermittente visto che il 13 febbraio prima della pandemia, stigmatizzando gli incidenti avvenuti tra centri sociali e neofascisti al Campus Einaudi, il futuro assessore richiese la sospensione delle borse di studio agli studenti facinorosi denunciati dimenticandosi forse di quando giovane esponente del Pdl fu anche lui indagato per gli scontri avvenuti davanti all’Università di Torino (la vicenda si risolse con un ritiro consensuale delle querele tra i due gruppi che si fronteggiavano).

I prossimi mesi ci diranno quanto la scalata a Palazzo Lascaris di Maurizio Marrone lo spingerà in alto (si vocifera di un rimpasto che lo vedrebbe ampliare le sue deleghe): per ora l'ascesa va di pari passo con quella di Giorgia Meloni a livello nazionale, che però rischia, come il collega di coalizione Matteo Salvini, di perdere affidabilità nella selezione della classe dirigente, già minata da arresti per voti di scambio e infiltrazioni mafiose, vizi e legami che hanno condotto anche il “Capitano” a naufragare la scorsa estate nelle tranquille acque di Milano Marittima.