Politica
11 ottobre, 2021

Un Draghi tra due Letta: il futuro di governo e Quirinale passa da Enrico e Gianni

Il segretario del Pd e il custode del berlusconismo lavorano per rafforzare l’esecutivo cercando di isolare la destra di Salvini, ma hanno idee opposte sulla successione di Mattarella

Il presidente Mario Draghi sta al centro di cose che accadono e si ritrova sempre nella posizione migliore. Il voto gli ha ristretto la Lega di Matteo Salvini nel governo: certo, deve sopportare la seccatura di un Salvini querulo, che sbraita per il nervosismo, che prende in ostaggio i suoi ministri per la delega fiscale, che fa appariscente opposizione di maggioranza, ma comunque si campa lo stesso e si campa meglio.


Ben saldo nella sua posizione migliore, a quattro mesi dalla nomina del presidente della Repubblica, a Draghi capita il momento Letta, doppio Letta, il nipote Enrico, lo zio Gianni. L’ultimo segretario del Partito democratico. L’ultimo custode di Forza Italia. Una coppia eterogenea seppur imparentata, dai metodi più felpati dell’indossatore di felpe, già in auge il secolo scorso, e pazienza, qui in Italia le repliche fanno ascolti sicuri.


In modo diverso, Enrico e Gianni hanno vinto alle urne. Enrico si è candidato a Siena alle suppletive per la Camera e, per la forma, ha candidato i sindaci dem già eletti di Napoli, Milano, Bologna. Gianni non si candida mai e perciò ha un mandato senza scadenze nei luoghi di accordi e trattative. Come spiegare Gianni Letta ai ventenni per abbattere il limite dei millecinquecento lettori che per Enzo Forcella ingabbia i giornalisti quando scrivono di politica. Ci si prova.

 

Gianni Letta è un filtro di Instagram, la sua funzione è rimuovere i difetti, rendere più morbide le spigolature, più istituzionali le controversie di potere. Far passare una nomina in un’azienda statale o un compromesso fra partiti rivali come una naturale conseguenza del buon senso. Questo filtro ha permesso a Silvio Berlusconi, l’imprenditore con i conflitti di interessi e i processi più ignominiosi, di governare per 3.339 giorni, quasi due anni più di Giulio Andreotti. E dunque la disfatta di Salvini e Meloni, il destracentro scontroso, irruento, fascistoide, è una splendida notizia per Letta: riprende il cantiere del centrodestra, si torna a disquisire di alleanze e moderati, ripiomba quella luce crepuscolare che premia i partiti dai colori non marcati (a proposito di Instagram). L’ambiente ideale di Gianni Letta. Prima di acclimatarsi alle sue temperature politiche preferite, lo zio Gianni teme, come puntualmente verificatesi, reazioni scomposte di un Salvini ferito e sconfitto. Il “capitano leghista” non si consegnerà pacificamente ai concilianti Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia, Massimiliano Fedriga eccetera.


Il nipote Enrico si è rinnovato con l’esilio di Parigi a Sciences Po dopo l’invasione dei renziani, è più tattico, è più reattivo, è più politico. Lo zio Gianni rimane identico con i suoi 86 anni compiuti in aprile, di mattina riceve negli uffici romani di Mediaset al largo del Nazareno, accanto al palazzo del segretario dem Enrico, di pomeriggio tiene messa ai convegni e di sera omaggia la romanità della sua discreta presenza.

 

Gianni Letta, che ha ripreso a frequentare Palazzo Chigi, ha un’antica consuetudine con Mario Draghi, un rapporto attuale che va oltre la sempre citata indicazione di Draghi per la Banca centrale europea. Anche Enrico Letta ha una profonda conoscenza di Draghi, ai ventenni va ricordato che il giovane Enrico classe ’66 era ministro per le politiche comunitarie nel governo di Massimo D’Alema nel 1998, e quindi non ha quella postura deferente, di pelosi ossequi, che ha contaminato gran parte dei politici e dei cosiddetti opinionisti alla sola apparizione di Draghi. Si tratta di un atteggiamento mentale: per la carriera e l’esperienza che ha accumulato soprattutto all’estero sfuggendo al provincialismo italiano, Enrico Letta si ritiene un interlocutore non subalterno del professor Draghi. Competizione è troppo. Lo stima, ovvio, però si tratta di una stima che ha bisogno di un aggettivo per esprimersi: algida stima. I sentimenti sono la manifestazione più autentica della politica.


Questa lunga premessa serve a decifrare il futuro del governo Draghi e del prossimo successore di Sergio Matterella: Gianni Letta agirà per Draghi, Enrico Letta non agirà contro Draghi. Però calma: è vero che nelle vicende di Enrico e Gianni ci sono dei punti che sanno di replica, ma il racconto non può cominciare dai titoli di coda. Dal Colle.


Enrico Letta non controlla ogni anfratto del Pd. Nessuno ci è riuscito mai e si inizia a pensare che la stessa composizione del Nazareno imponga le correnti, i capetti e gli aspiranti tali. Enrico Letta ha conquistato totalmente la sensazione che ogni anfratto del Pd sia sotto il suo più rigido controllo. L’esatto contrario di ciò che era successo a Zingaretti, dimissionario per sfinimento da impotenza.


Il controllo dei gruppi parlamentari è totale, e la guerriglia interna si è risolta con un graduale e coordinato disarmo. Per dire, Letta ha gestito una campagna elettorale corale che ha coinvolto l’estremo Stefano Bonaccini e l’estremo Nicola Zingaretti. Le prefiche renziane, come l’ex capogruppo Andrea Marcucci, recitano la propria nenia senza suscitare un fastidio eccessivo. La decadenza di Salvini libera il Pd di Letta da un equivoco: non è più sufficiente ripetere che «il governo di Draghi è il nostro governo», va dimostrato. Non è facile. Si deve essere convinti per convincere gli altri. Adesso conviene al Pd di Letta intestarsi un governo popolare che si muove fra denaro e speranze dopo la pandemia. Però il voto di Milano e Napoli non ha cambiato la distribuzione dei parlamentari e i dem rappresentano circa il 12 per cento.


Letta vuole insistere con i temi sociali e civili, spingere il Nazareno più a sinistra, anche rischiare, perché non gli si potrà rinfacciare di essere un ex comunista: presidia un territorio politico che può ospitare i Cinque Stelle e Sinistra Italiana e le associazioni, e i movimenti, e il volontariato. Vuole mettere su una coalizione per guidare l’Italia. Rientrare a Palazzo Chigi dopo la traumatica uscita con Matteo Renzi. Un piano ambizioso di lenta maturazione: Giuseppe Conte cresce e non evapora nei 5S, sparisce l’anarchia nel Pd, si fondono nostalgici e progressisti. Enrico il tempo lo guadagna se la legislatura arriva al termine previsto del 2023 e il governo di Draghi dura fino al 2023 e poi il medesimo Draghi espatrierà per offrire il suo blasone all’Unione europea con qualche incarico di prestigio.


Questo esclude Draghi dalla corsa al Colle e lo inchioda a Palazzo Chigi nella terrificante parentesi che va dalla scelta del presidente della Repubblica (febbraio 2022) allo scioglimento delle Camere (marzo 2023) con i partiti in assetto da propaganda feroce. Cosicché alla fine del biennio di governo Draghi sarà talmente consunto che non gli resterà che riporsi nella teca dei grandi d’Italia fra Camillo Benso di Cavour e Alcide De Gasperi.


A sorreggere il programma di Enrico Letta ci ha pensato Giorgia Meloni, ancora turbata per l’esito elettorale di Fratelli d’Italia, discreto, diluito in una pessima prestazione del destracentro: portiamo Draghi al Quirinale e poi votiamo. Letta può ribattere: no, grazie, la destra vuole indebolire il governo. «È necessario per L’Italia e l’Europa che Draghi completi la legislatura e faccia le riforme. Dopo sarà fondamentale», precisa all’Espresso, «ripristinare la dinamica bipolarista con il centrodestra e il centrosinistra. Non abbiamo paura che Salvini e Meloni se ne approprino».


Questo argine regge se il centrosinistra immaginato dal nipote Enrico è capace di formulare una proposta unitaria per il Quirinale con i 5S di Conte: per affetto e simboli - lavare l’onta dei 101 traditori del 2013 - è Romano Prodi il principale indiziato. Invece a zio Gianni spetta il compito di organizzare il futuro più comodo per Draghi: il trasloco al Quirinale con un governo che conduca al voto nel 2023 oppure un prolungamento del settennato di Sergio Mattarella per una staffetta (complessa) con Draghi in un giorno del calendario non indicato. Il nipote Enrico e lo zio Gianni divergono su Draghi, non sul modello di Italia: un governo con ampie intese e varietà che lascia all’addiaccio i sovranisti Salvini e Meloni e dentro, al caldo, l’intera stirpe Letta. Per gustarsi ancora la replica vincente.

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso

Il settimanale, da venerdì 25 aprile, è disponibile in edicola e in app