Le elezioni sono diventate un pranzo di gala, un circolo del golf, un affare borghese. Qualcosa davvero in linea con l'Era del governo tecnocratico e trasversale di Mario Draghi. Votano in pochi, molto pochi, meno di uno su due: affluenza sotto al 50 per cento nelle principali città in ballo in questo turno di amministrative, mai così bassa prima d'ora. E votano poco le periferie: a Roma, esempio locale ma fosforescente, il Municipio dove votano più persone è quello centralissimo dei Parioli, quello dove votano in meno è la periferia di Tor Bella Monaca.
Uno scollamento generale, una disaffezione che corrisponde a un panorama politico nel quale i fuoriclasse latitano, nella destra post berlusconiana così come a sinistra, e nel quale per converso - senza che alcun vento soffi - finisce per prevalere la tradizione, l'artigianato territoriale, l'usato sicuro, la solidità. E dove in sostanza nessuno sventola il cambiamento che fu la bandiera della protesta dei Cinque stelle.
Nelle elezioni meno popolari della cronaca recente, è netta la vittoria dell'alleanza tra Pd e i Cinque stelle, dove c'è; ed è decisa la prevalenza del partito guidato verso l'Ulivo 2.0 da Enrico Letta. «Si vince perché si è uniti e si allarga la coalizione oltre il Pd», dice il segretario dem che viene eletto deputato con oltre dieci punti di margine a Siena (anche nell'altro seggio delle suppletive, a Primavalle, Roma, è il dem Andrea Casu in vantaggio).
Oltre a Milano, dove nessuno ha mai messo in dubbio la vittoria di Giuseppe Sala, a Bologna stravince il dem di sinistra Matteo Lepore, assessore uscente e candidato incubatore dell'alleanza Pd-Cinque Stelle. Ma è ancora più significativo quel che accade a Napoli, dove l'ex ministro Gaetano Manfredi, contiano ma scelto concordemente da Cinque stelle e Pd, si afferma al primo turno oltre le più rosee aspettative.«Si conferma l'opportunità di un fronte ampio», commenta a caldo Francesco Boccia, responsabile Enti Locali del Pd e in prima linea nel sostenere l'alleanza con Conte anche nei momenti più difficili di questa estate.
L'assenza di una alternativa credibile è certamente un ingrediente: pesano le candidature civiche del centrodestra scelte da Giorgia Meloni e da come quella del pediatra Luca Berardo a Milano (doppiato dall'uscente Sala), l'avvocato amministrativista Enrico Michetti a Roma, ma anche Catello Maresca a Napoli ( danneggiato anche dalla mancata presentazione di due liste nel centrodestra, per irregolarità amministrative). Scelte che si sono rivelate – come da programma – tutt'altro che in grado di scombinare il quadro di partenza: in positivo, di sicuro, ma persino in negativo. Ulteriore conferma di quanto poco sia sensibile l’elettorato alle oscillazioni da campagna elettorale.
Ciò che manca, a fare da contrappeso, è un voto di opposizione, di protesta e chi lo raccolga: i Cinque Stelle di lotta sono un ricordo lontano, l'opposizione al governo da parte di Fratelli d'Italia non ha una traduzione territoriale, visto che al livello locale Meloni è alleata con Lega e Forza Italia. L'opzione vincente è dunque quella più strutturata - il Pd - e che si è espressa al livello di governo (Conte due) nell'alleanza con i Cinque stelle.
Lo si è visto a Torino, con la notevole rimonta del dem Stefano Lo Russo, che partì in ritardo e svantaggiato, ma adesso si ritrova avanti, per il ballottagio, su Paolo Damilano, imprenditore del food&beverage che prima dell'estate era dato probabilissimo vincitore del centrodestra, nel suo volto moderato. Anche se adesso, per il secondo turno bisognerà vedere cosa farà il quasi 10 per cento di elettorato che ha votato per la grillina Valentina Sganga: dovrebbero votare per Lo Russo, colui che ha fatto per un quinquennio la più fiera opposizione al governo di Chiara Appendino.
Eppure il bipolarismo sembra tornare a grandi passi: quanto l'opzione dei Cinque stelle come forza terza sia al tramonto, lo dice il caos che domina il panorama romano, l'unica città dove si registrano grosse oscillazioni nelle prime proiezioni dopo la chiusura delle urne. Nessun risultato scintillante: nelle proiezioni l’ex ministro dem Roberto Gualtieri si fa superare ampiamente da Michetti, i risultati delle liste del Pd e di Fratelli d'italia sono pressoché identici. E persino la corsa di Virginia Raggi sembra restare a metà. Meglio di come pensavano i detrattori, peggio di come pensavano i sostenitori. Né tonfo, né trionfo. Come un'onda che si ritiri, lasciando dietro di sé detriti, lacune, nessun disegno futuro. Mentre Giuseppe Conte, dopo aver lungamente atteso sulla riva del fiume, si affretta a raccogliere il successo: «Per i ballottaggi vedremo, ma non saremo con la destra».