Prof, maschi e di una certa età. Ecco dove sono finiti gli intellettuali: a insultare Giorgia Meloni (e le altre)

Il deprecabile attacco contro la leader di Fratelli d’Italia mostra una ricorrenza precisa: sono uomini di cultura, tra i cinquanta e i settant’anni, i protagonisti delle aggressioni sessiste. Da Gervasoni contro Elly Schlein, a De Prà contro Lucia Azzolina. Perché la misoginia è una questione educativa


Colpisce in particolare una ricorrenza: sono tutti professori. O intellettuali. Uomini di cultura, per meglio dire: maschi, non giovani, che con la cultura ci campano. L'ennesimo, orribile, deprecabile caso , da condannare senza distinguo, degli insulti sessisti rivolti a Giorgia Meloni ha se non altro il merito di evidenziare la circostanza.
 

Tante volte ci si chiede: ma dove sono finiti gli intellettuali? Eccoli, dove sono. A interrogarsi l'un l'altro, a cercare nel bestiario la parola asseritamente più adatta a definire una leader politica, unica donna nel panorama italiano, che adesso guida l'unico partito all'opposizione del governo Draghi, un partito che peraltro - a donare un tocco di paradosso che conferma il tono dominante nel nostro Paese - si chiama “Fratelli d'Italia” (perché pure il patriottismo è, come ai tempi di Michele Novaro, roba da maschi).

 

Sarà meglio, per definire Meloni, «ortolana» o «pesciaiola», «vacca» o «scrofa»? Questo si chiedeva l'altra mattina il terzetto della trasmissione “Bene Bene, male male”. Tutti intellettuali uomini i partecipanti, si diceva, nessuno sotto i cinquant'anni.

 

Giovanni Gozzini, 65 anni, è professore di Scienze politiche all'università di Siena, ex direttore del Gabinetto Vieusseux, ex assessore al comune di Firenze e figlio di Mario, senatore della sinistra indipendente che fra l'altro diede il suo nome alla legge sui benefici carcerari. Giorgio Van Straten, 66 anni, scrittore, è stato fra l'altro direttore dell'istituto Gramsci Toscano, consigliere nel cda della Biennale di Venezia, presidente dell'Agis, dell'Azienda speciale Palaexpo di Roma, membro del Cda della Rai – la sua nomina fu l'ultimo atto di Walter Veltroni da segretario del Pd, prima delle dimissioni. Raffaele Palumbo, 50 anni, conduttore, è uno scrittore che insegna comunicazione, assai attivo, nota Perina su La Stampa, in festival come quello intitolato “L'eredità delle donne”.

 

Nessuno dei tre, con tutto quello che ha studiato e si porta in giro per aule e festival, è riuscito a farsi venire un dubbio, tra una risatina e l'altra, circa l'opportunità di un discorso del genere, che sminuendo Meloni non per quel che fa (politica) ma per la persona che è, applicava uno schema indubbiamente discriminatorio - sessista nello specifico. Il massimo del riflesso, infatti, è stato quello di premurarsi non offendere i titolari dei mestieri citati: «Onore agli ortolani e ai pesciaioli», ha esclamato Palumbo a un certo punto – in un maldestro tentativo di segnalare da quei paragoni una distanza che era di fatto una adesione ulteriore (basta analizzarne il linguaggio: da onorare gli ortolani, non le «ortolane» come Meloni; i pesciaioli, non le «pesciaiole» come Meloni).


Viene in mente, fra i più recenti episodi del genere, quello occorso ai danni di Elly Schlein, vicepresidente dell'Emilia-Romagna e bersaglio, dopo essere comparsa in copertina su l'Espresso, di un tweet di Marco Gervasoni che domandava «ma è un uomo?» . Gervasoni, 53 anni, non nuovo a violenti attacchi sessisti (Carola Rackete, Liliana Segre), è naturalmente anche lui professore, ordinario di Storia contemporanea all'Università del Molise. Un altro con un curriculum lungo così.

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Perché Elly Schlein dà così fastidio
7/9/2020

Come quello di Marco Bassani, 58 anni, professore di dottrina delle storie politiche alla Statale di Milano che in novembre ha scritto (per poi rimuovere) un post su Kamala Harris, vicepresidente degli Stati uniti: «Sarà un'ispirazione per le giovani ragazze: se vai a letto con l'uomo giusto, potente e ben ammanicato, anche tu puoi essere il secondo violino di un uomo con demenza. Come la storia di Cenerentola, insomma».

Abbiamo, ancora, Vittorio De Prà, 57 anni, insegnante di matematica e vicepreside al Barletti di Ovada (poi licenziato) ed ex assessore Pd, che indirizzò alla ministra Lucia Azzolina una serie di insulti irripetibili che partivano dal paragone con la pornodiva Moana Pozzi. Potremmo andare avanti per pagine e pagine.

 

Tutti professori maschi, uomini di una certa età che insegnano, teoricamente depositari delle parole più pesanti che ci siano: quelle della cultura, che fanno da esempio, ispirazione. Ecco questa ricorrenza dice, forse meglio di altro, quanto il maschilismo italico sia impresso nel profondo, radicato nell'irriflesso. Una questione educativa, alla fine: culturale, appunto. Trasversale. Spesso occulta, salvo l'illumini il faro di qualche strumento della modernità, come twitter, i webinar, i social in genere.


Mentre altri mondi, a partire da politica e istituzioni, tentano – bene, male, spesso anche per finta – di aggiornare le proprie istanze sulla questione di genere, è da certi meandri dell'accademia, da chi dovrebbe essere più avanti, che spuntano invece sacche dove il tempo si è come placidamente fermato. Si tratta non a caso di settori che non devono ingaggiare gare con la realtà, e che forse non vogliono neanche più provarci: vivono altrove, sguazzano indisturbati dentro convinzioni antiche e tenacemente radicate. Inciampando talvolta nella realtà contemporanea, con spavento reciproco.

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