La ministra per le Pari Opportunità e per la Famiglia Elena Bonetti risponde all’inchiesta dell’Espresso sulla cura dei bambini

È da poco trascorso un anno dall’inizio della pandemia da Covid-19. Un anno contro un nemico invisibile che ha causato ferite e perdite di vite rimaste indelebili davanti al nostro sguardo. Molte altre vittime - lo ha denunciato L’Espresso nell’ultimo numero – sono rimaste non viste. Nella prima gestione dell’emergenza sanitaria i bambini e i ragazzi sono stati collocati in una visione parcellizzata e parziale della loro realtà. Si è pensato che le loro attività, i loro luoghi e tempi potessero essere sospesi e sostituiti dalla didattica a distanza, senza considerare gli effetti che la riduzione di quegli spazi vitali avrebbe provocato nel tempo. Soltanto a seguito delle conseguenze, che ora iniziamo a vedere come fatti emergenti, il mondo adulto sta finalmente acquisendo consapevolezza che quelle dimensioni - considerate per lo più ai fini dell’apprendimento o della socialità - sono in realtà “lo” spazio in cui i bambini e gli adolescenti vivono la loro dimensione di persona.


Lo sguardo adulto non aveva messo a fuoco un pezzo di società che ha una sua specifica dimensione di cittadinanza. Fatta dal gioco, dalla relazione, dal movimento, dall’emozione vissuta nell’incontro fisico. Una cittadinanza che, per poter essere esercitata, necessita di luoghi sociali riconosciuti e tutelati. Si dice: «Si chiudono le scuole e c’è un problema per le famiglie», non vedendo che si chiudono le scuole e ci sono bambini e adolescenti che chiudiamo in casa.


Per loro, crescere è trovare una dimensione di unità. Ma se quell’unità che cercano noi la frammentiamo, dobbiamo riconoscerci anche causa dei disagi devastanti che le generazioni più giovani stanno vivendo. Su questa emergenza la scuola, gli insegnanti, le famiglie, le professioni sanitarie, tutto il mondo educativo e l’informazione hanno acceso un faro. Non si tratta solo di un problema di azione politica. È, in fondo, un intero modello sociale ad aver fallito, quello che non solo riduce la persona a individuo ma la spezza per categorie. Il virus ci sta invece obbligando a trovare la salvezza nella ricomposizione, e a rivedere il sistema dei legami sociali in una chiave solidale e di prossimità, che la Costituzione ci consegna. Quello che oggi attanaglia bambini e ragazzi è un problema culturale del Paese.


C’è prima di tutto una ferita da riconoscere e a cui saper dare un nome. Serve il coraggio di dire che dobbiamo cambiare sguardo per sostenere davvero queste fragilità. Il supporto psicologico nelle scuole è fondamentale: il Governo lo ha fatto nell’ultimo decreto investendo risorse e così anche il Dipartimento per la Famiglia con il potenziamento del Telefono Azzurro.

A questo punto serve però un progetto educativo che accompagni i ragazzi anche con la riapertura delle attività che li vedono protagonisti. Questo sono stati la scorsa estate i centri estivi, a cui ho destinato 135 milioni, più altri 60 milioni in bandi, alcuni ancora aperti, per i territori e il terzo settore. Mai nel nostro Paese era stato investito tanto nell’educazione cosiddetta “non formale”. Eppure, nel campo dell’educazione non formale c’è un percorso europeo ricchissimo, a partire dalla Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del dicembre 2012, che riconosce questi percorsi come empowerment dei giovani. A quella Raccomandazione intendo dare seguito, anche alla luce del valore straordinario che questa opportunità educativa sta rappresentando per le nuove generazioni.


Nell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza ho costituito un gruppo di lavoro sull’impatto del Covid-19 sulle giovani generazioni, con un focus specifico sulla questione emotiva e psicologica degli adolescenti. Sono in cantiere a partire dalla primavera progetti di educazione non formale, che voglio in collaborazione con il mondo sportivo, del teatro, della musica, delle scienze e delle tecnologie, dell’arte e della cultura, per permettere ai ragazzi di riappropriarsi dell’esperienza concreta della realtà e dell’umanità, anche attraverso la bellezza di cui l’Italia è così ricca.


C’è una emotività lacerata da sanare. Dobbiamo avviare con urgenza un percorso non solo di recupero, ma di riappropriazione degli spazi sociali che i bambini e i ragazzi devono avere. Investimenti straordinari per i luoghi della loro dimensione giovanile, incentivi ai comuni per la riqualificazione degli spazi, le attività estive organizzate con ancora più formazione da parte degli operatori, che dovranno affrontare una situazione dilaniata da dodici mesi di isolamento. Come ci è servito un piano vaccinale, ci serve un piano educativo straordinario. Un piano di salvezza educativa.