Dopo il mancato accordo a Roma e a Torino, e l’impossibile rompicapo a Napoli, la somma tra il caos grillino e l'attendismo dem rischia di fare un'altra vittima: la coalizione costruita per le Regionali attorno a Nicola Irto, giovane che Irene Tinagli, vice di Enrico Letta, definisce «il futuro del Pd»

Finora non si è realizzata da nessuna parte, ma ha ugualmente prodotto effetti: è la magia perversa dell'intesa Pd-Cinque stelle. Non c'è, ma fa danni. A domino: più fallisce obiettivi, più provoca macerie. Più provoca macerie, più fallisce obiettivi. Esemplare il caso di Roma (con il tramonto della candidatura di Nicola Zingaretti, causa ricandidatura di Virginia Raggi) che ha portato a cascata la rottura delle trattative anche a Torino (i dem faranno le primarie dopo dieci anni, dopo aver accarezzato l'idea di un candidato comune), ultimo tragico il caso di Napoli: l’unico dove si era andati davvero vicini a un accordo, prima del no dell'ex ministro Manfredi, il più difficile adesso da risolvere (tra le ipotesi più accreditate, stante l’avversione di De Luca per Roberto Fico: Enzo Amendola, una replica del romano modello Gualtieri). Eppure l'ipotesi d’alleanza resiste - il responsabile enti locali del Pd Francesco Boccia la carezza ancora - e rotolando rotolando giù per lo stivale sembra destinata ad andare a sbattere anche sulla Calabria – che sinora è rimasta fuori dal toto-amministrative.

 

Già, la Calabria: doveva tornare al voto in aprile, prima che il Covid-19 facesse slittare l'appuntamento a dopo l'estate. Si ritrova ultima come al solito, sul tavolo delle trattative elettorali: tanto è vero che, non essendo ancora sistemate caselle considerate più importanti, è ancora tutto fermo. Una generale melina, trasversale, dei partiti, nella quale per ora sguazza il sindaco Luigi De Magistris, che è praticamente in campo da marzo, pronto a raccogliere i voti della sinistra non allineata, come fece a suo tempo a Napoli, e come sogna di fare ora da candidato governatore della Calabria – mentre nella città che ha amministrato per dieci anni è in dissesto e non si trova uno che aspiri a prendere il suo posto.

 

In Calabria, per la verità, per una volta il Pd era un passo avanti: aveva infatti indicato a febbraio come candidato alla guida della regione, per la coalizione di centrosinistra, Nicola Irto, 39 anni, già presidente del consiglio regionale, che alle elezioni del gennaio 2020 era stato il più votato di tutta la regione (12 mila preferenze), nonostante il crollo di Pd e alleati nel post Mario Oliverio. Una decisione presa senza spaccature, a livello nazionale e regionale, confermata poi anche da Enrico Letta al suo arrivo al Nazareno.

Troppo facile, troppo comodo, tuttavia, per finire così. Si sottovaluta la capacità del Pd di crearsi problemi da solo, seconda ormai solo a quella dei Cinque stelle di scolpirgliene di nuovi. Se da una parte infatti il nome del candidato è confermato, non è ancora risolto neanche qui il nodo dell'alleanza coi Cinque stelle – al quale a quanto pare il Pd non ha rinunciato - e che adesso sembra pronto a stringersi come uno scorsoio. Come fosse proprio la regione ora guidata da Nino Spirlì la sua ultima opzione per incarnarsi, trovare vita, fungere da foglia di fico.

 

Accade infatti che i Cinque stelle calabresi continuino a chiedere, pochi giorni fa anche con una lettera, che riparta da zero la trattativa nel centrosinistra, che nei mesi scorsi si era chiusa con un nulla di fatto: non una chiusura, ma nemmeno un accordo definito. Adesso vorrebbero si ricominciasse a discutere, soprattutto di nomi, magari anche di primarie. I grillini cercano di ricoinvolgere Luigi De Magistris, che ha ribadito il suo no alle primarie, ma soprattutto tentano di rientrare nella scelta del candidato, agitando l'inverosimile prospettiva di riuscire a far fare un passo indietro al sindaco di Napoli. «Questo è il momento di riaprire il dialogo tra tutte le forze antitetiche alle destre, per delineare una strategia comune e per individuare delle figure rappresentative di una possibile coalizione», hanno scritto ad esempio i grillini eletti in Calabria, in una nota. 

E si capisce benissimo perché i Cinque stelle siano in cerca di un assetto più sicuro: nel gennaio 2020, presentandosi da soli, presero alle regionali il 7,4 per cento (il Pd il 30), 59 mila voti , nessun consigliere . Già lontani dai fasti delle politiche 2018, quando avevano agguantato il 43 per cento, totalizzando una pattuglia parlamentare di 17 persone. Ancora più lontani, adesso: tra contiani, non contiani e seguaci di Dibba, risultano divisi in pratica in tre tronconi. Per dire: di sei senatori che erano all'inizio ne è rimasto iscritto al Movimento soltanto uno. Anche il candidato presidente di un anno fa, il civico Francesco Aiello, ha del resto abbandonato i lidi grillini e sta al tavolo dell'alleanza di centrosinistra – per dire quanto potente sia l'attuale capacità di presa del Movimento.

 

Più misteriosa è invece l'incertezza del Pd. Ancora avvolto in una melina filo-grillina che lo indebolisce, a tutto vantaggio finale di De Magistris, e che rischia di far saltare gli equilibri di una coalizione politico-civica fin qui costruita e tenuta insieme - in una situazione obiettivamente complicata per tempi e per territorio - proprio da Irto, “giovane” dem che la vicesegretaria Irene Tinagli ha definito «il futuro del Pd», per «competenza» e «coraggio».

Una incertezza che replica quella vista altrove e rispecchia quella generale di una leadership democratica di Enrico Letta, partita agitando una capacità di urto che, alla prova dei fatti, e di certo nell'atteggiamento verso i Movimento Cinque stelle, si sta per ora rivelando più in continuità con il passato di quanto non sembrasse aver intenzione.

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