Un giorno Salvini, un giorno Di Maio, un giorno Conte. Tutti i leader prima o poi puntano ai territori una volta dei democristiani. Il problema però sono proprio loro

Il centro è la nostra Itaca, perduta e mai più ritrovata. Ogni tanto se ne annuncia la conquista, sempre rinviata però a occasioni più propizie. Più spesso, si ha notizia di qualche Ulisse improvvisato che pensa di raggiungerne le rive pur provenendo da tutt’altri lidi. Un giorno tocca a Salvini convincersi che per governare occorre presidiare la linea di metà campo. Un altro giorno è Di Maio a vestire i panni del leader neo-moderato alieno da ogni esagerazione del passato, anche le sue. Un altro giorno ancora e ci si aspetta che la discesa in campo dell’ex premier Conte faccia fiorire i territori dove una volta si insediavano i democristiani.

Ci sarebbe poi da fare i conti con quel fitto pulviscolo di partiti e partitini, leader e semi leader che del centro si considerano le vestali. E che appunto vorrebbero veder risorgere un’indole moderata che desse loro qualche argomento in più per fronteggiare la pressione delle estreme. Magari facendo appello al buonsenso di quella parte di elettorato che a tutt’oggi considera troppo avventurosa una sinistra che s’accompagna al populismo di marca grillina e altrettanto disdicevole una destra arroccata sulla trincea della diffidenza contro l’Europa, l’establishment, le regole, le buone maniere, i poteri forti e chi più ne ha più ne metta.


Così, che sia Ulisse a fare ritorno a casa in carne ed ossa o piuttosto un suo imitatore a prenderne il posto, ci si aspetta che Itaca torni al centro della scena politica italiana. Cosa che però non sta avvenendo, e temo non per caso.

Il fatto è che in tutti questi anni s’è verificato un fitto intreccio di imitazioni mal riuscite. I pochi centristi rimasti tali hanno fatto del loro meglio per adeguarsi ai modi dei loro avversari, quelli di destra, quelli di sinistra, quelli populisti (soprattutto). I quali a loro volta hanno considerato che il centro fosse ormai diventato sede vacante, e dunque che da quelle parti si potessero organizzare con poca spesa i più convenienti banchetti elettorali.

Gli uni hanno lasciato sguarnito il loro territorio e gli altri, anche quando vi si sono avventurati, sono rimasti degli estranei. Le forze di centro non se la sono sentita quasi mai di sfidare le formazioni più possenti che prendevano posto alla loro destra e alla loro sinistra. E tutte le destre e tutte le sinistre che hanno cercato di conquistare il centro, vi hanno visto più una colonia da cui trarre profitto che non un alleato da coltivare con tutta la cura, la pazienza e la misura che reclama.

Così, a questo punto, la ricerca del centro perduto finisce per essere più che altro la rivelazione di una vanità. Argomento di cui tutti insistiamo ad occuparci (io per primo) più per pagare un debito alla storia patria che per investire al meglio talento e risorse.

Le delusioni del bipolarismo non hanno riportato indietro le lancette del nostro orologio pubblico. Anzi, semmai proprio da quelle delusioni ha preso spunto un’ulteriore frantumazione dello spettro politico, diviso prima tra i due poli e poi tra i populisti e il resto del mondo. In questa affannosa ricerca di spazi, il centro è rimasto al più come terra di conquista per gli uni e per gli altri, senza che da quelle parti mettesse mai più radici un insediamento politico degno del nome. Una volta che ha smesso di essere il soggetto della propria politica, il centro è diventato così solo l’oggetto del desiderio della politica altrui.

Naturalmente, spero di sbagliare. Personalmente credo che uno spazio di interposizione tra le forze che animano lo scontro politico sia più che mai utile al compimento della nostra democrazia. E resto convinto che dirsi di centro non sia un modo furbo di navigare nel bel mezzo delle contraddizioni altrui, lucrando un piccolo vantaggio. Ma semmai un modo di infondere virtù agli altri, oltre che a se stessi.

Ma per arrivare a Itaca ci vorrebbe Ulisse. E cioè un leader capace di tracciare una rotta, di prendersi tempo per percorrerla, di indugiare nel frattempo nelle tentazioni senza cedervi del tutto, di attraversare i pericoli con lucidità e scaltrezza, e soprattutto di mettere la propria astuzia al servizio di una causa mai priva di una punta di grandiosità. Tutte virtù che tra centristi a denominazione di origine controllata e neo-centristi in arrivo dalle lande più lontane non sembrano così diffuse.