Anticipazione
L’attacco di Ignazio Marino in un’intervista sull’Espresso in edicola da domenica 20 giugno (e già online per gli abbonati). “Con l’idea del candidato unico Gualtieri, parteciperanno in pochi”
di Susanna Turco
«Roberto Gualtieri? Brava persona, ma non mi piace un candidato che immagini di passare attraverso primarie fatte senza un dibattito». Ignazio Marino, ex sindaco di Roma, analizza e critica le primarie nell'intervista all'Espresso in edicola domenica 20 giugno: «Il Pd ha chiesto di ritirarsi a tutti i candidati dem che potevano mettere in pericolo la vittoria di Gualtieri. Incluse donne come Monica Cirinnà: ma come, prima fai la battaglia per le capigruppo e poi, quando c'è in gioco un ruolo di leadership, alle donne dici: spostati, c'è un maschio?».
«Le primarie così non hanno senso. Sono diventate un esercizio del quale la classe dirigente Pd vorrebbe fare a meno, ma non può. Con l'idea del candidato unico, a Roma andranno a votare in pochi, spinti dai candidati a presidente. Roma è divisa in quindici municipi: facciamo mille elettori ciascuno? Alla fine saranno ventimila».
Pronostico fosco sul voto in autunno per il Campidoglio: «La competizione, quella vera, il Pd non è che la perde: neanche la vede. Non ci vuole una scienza infusa per capirlo: è chiaro che al ballottaggio arriverà il candidato della destra e la sindaca uscente. Il Pd è sbilanciato su ciò che conviene, anziché su ciò che è giusto: ha perso l'anima. Rifiuta il confronto, ma così muore, possibile non l'abbiano ancora capito?».
Ignazio Marino nell'intervista fa anche un bilancio sullo stato del Pd, da quando a Pier Luigi Bersani rimproverava: «Fate politica distribuendo foglietti, allora non vi servono i parlamentari: vi bastano gli amanuensi». A quando votò per sfiduciare Letta nel 2014: «Ne parlai a lungo, con lui, in Campidoglio, poco prima della sua caduta».
Sull'era Lettiana: «Non vedo differenze. Siamo ancora a: maggioranza è dove siede Dario Franceschini. Aprire il partito con le Agorà? Penso che col Pd siamo arrivati alla fase della rianimazione: siamo in terapia intensiva, col paziente settico e grave. Quando bisogna decidere se andare avanti significa solo prolungare l'agonia. È inoperabile. Ma per costruire una nuova sinistra ci vorrebbero almeno due anni, qualcuno disposto a girare l'Italia. I territori, non i gruppi parlamentari. Quella sarebbe meglio delle Agorà: sarebbe una sfida vera».