Luca Morisi, capo della comunicazione social di Matteo Salvini e al suo fianco almeno dal 2015, lascia la nave del “Capitano”. Titolo che lui stesso ha costruito e ha riempito di significato in questi anni, creando intorno alla figura del leghista una narrazione e una mitologia che non poco hanno contribuito ad accrescerne i consensi.
La fine dell'avventura di un membro dello staff di un politico non dovrebbe fare notizia, trattandosi di eventi che si ripetono con frequenza. Ma Morisi non è un semplice staffista: è il padre della cosiddetta Bestia, la struttura di comunicazione soprattutto social che, come un'onda, ha portato Matteo Salvini dalle percentuali ai limiti del prefisso telefonico a cui era confinata la Lega dopo gli scandali dell'era Bossi fino al 34 per cento delle ultime elezioni Europee.
Una corsa che oggi sembra finita: i sondaggi danno Salvini intorno al 20 percento, contestato dentro il partito dai governatori che chiedono una linea più morbida e la crescita dei Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni (che, non a caso, è la politica che più di tutti ha “imparato” le lezioni della Bestia).
Le ragioni dell'allontanamento di Morisi dal lavoro al fianco di Salvini sono – a detta di Morisi stesso – esclusivamente personali e non politiche. In queste ore però stanno emergendo voci diverse che segnalano come la testa della Bestia possa essere stata un sacrificio necessario per quietare gli animi dei rivoltosi interni alla Lega. Di sicuro si chiude una fase politico e comunicativa (ma davvero esiste ancora questa distinzione?) di cui restano e ancora per molto resteranno le macerie.
Intorno alla Bestia e ai suoi “poteri” si è scritto e speculato molto, esaltandone o ridimensionandone i risultati in base alla congiuntura politica, tra algoritmi, sentiment della rete e varie leggende. Nei fatti, si tratta di un nutrito gruppo di professionisti che ha utilizzato meglio e prima di altri in Italia gli strumenti messi a disposizione dei social network. E ha impresso un cambiamento netto nel modo di comunicare dei politici, paragonabile forse a quanto fatto da Berlusconi nella prima metà degli anni Novanta.
La Bestia ha dato forma al moderno politico influencer, che ti racconta la sua vita e quello che mangia, la squadra per cui tifa e la foto di sua figlia. Intervallato ogni tanto da un battage contro il nemico di turno: immigrati, Europa, sinistra. Una macchina a cui hanno lavorato decine di persone ogni giorno e che proprio dalla quantità di messaggi, di like, di foto, di buongiornissimi e card ha tratto la sua forza. Feroci campagne xenofobe o fette di pane con Nutella, fake news più o meno evidenti al fianco di selfie con la nonna e dirette con il cellulare dal ministero, frullate in un unico calderone con l'obiettivo di farti sentire come vicino ai tuoi interessi e consumi Matteo Salvini.
Una strategia che, quando ha iniziato a prendere corpo, è stata semplicemente travolgente. La mole di critiche enorme che ha dall'inizio accompagnato ogni post di Salvini non ha scalfito la crescita di fan, like e consensi reali, diventando nei fatti un modello. Che oggi a destra è IL modello, come dimostra l'esempio di Giorgia Meloni che, pur senza alcuni eccessi, di questa strategia social ha ricalcato almeno le linee guida.
Oggi la Bestia, con l'addio del suo ideologo, muore. Certo, la squadra di Salvini resta e i suoi fan e le sue strategie anche. Vedremo ancora le sue sparate e le sue mangiate. Ma il modello travolgente che ha contribuito non poco a inquinare e abbassare ancora il livello del dibattito nel nostro Paese aizzando i peggiori umori degli elettori, entra in una fase diversa. Proprio come è costretta a fare anche la Lega.
Purtroppo per noi, la Bestia ha fatto molti figli.