Quirinal Game

Enrico Letta e Matteo Salvini, gara di coraggio tra astensione e scheda bianca

di Susanna Turco   27 gennaio 2022

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Alla quarta votazione trionfa la prudenza. I due schieramenti non fanno nomi. Il centrodestra non entra neanche nell’urna, per paura di finire in mille pezzi. La Lega dice no a Casini. Le correnti trasversali paralizzano M5S. Ma anche il Pd non si sente affatto bene

Alla quarta votazione per il Colle, la prima a maggioranza semplice, in Parlamento è un tripudio di coraggio. Alla don Abbondio. Il trionfo della politica che non ha paura (solo) di fare nomi e cognomi: ha paura persino dell’ombra delle proprie intenzioni. I più spavaldi infatti votano scheda bianca: è il centrosinistra, o fronte progressista come preferisce chiamarlo Giuseppe Conte, incapace di proporre persino nomi di bandiera, perché si rivelerebbero in quel modo le correnti incrociate che percorrono ogni partito e componente di Leu, M5S, Pd, Iv, come accaduto ieri sul nome di Sergio Mattarella (125 preferenze, in parte dem, in parte contiane, in parte dimaiane).

Nel centrodestra fanno, diciamo, ancora di meglio: si astengono. Non azzardano nemmeno il gesto di entrare nell’urna. È l’unico modo per restare compatti, fare numero: altrimenti, con la scheda bianca, come accaduto già ieri, il fronte sempre più teorico composto da Lega, Fi e Fdi finirebbe per fare la ola a Guido Crosetto (già titolare di 114 preferenze) e sfarinarsi tra i «Giancarlo Giorgetti», «Umberto Bossi», «Silvio Berlusconi», eccetera. Meglio niente dunque. «Abbiamo deciso obtorto collo di astenerci per non far diventare Casellati un candidato di parte e quindi per offrire a tutti la possibilità di valutare un nome di alto profilo», dichiara Ignazio La Russa. Forse una battuta, uno scherzo polemico.

Di fatto è il «brullo nulla o nulla brullo» come direbbe Corrado Guzzanti in versione Fascisti su Marte, l’unico punto nel quale i due schieramenti riescono ciascuno a trovare un punto di contatto. La scheda bianca e l’astensione sono infatti i risultati di una lunghissima notte di riflessioni e trattative, in entrambi i fronti, approdate sostanzialmente a niente di concreto. Un risultato impresentabile agli occhi degli elettori, una lentezza che tutti giurano di voler superare, preannunciando per domani una votazione doppia. Come se bastasse la fretta a colmare l’attuale impasse.

Nel centrodestra la mossa fatta ieri da Fratelli d’Italia di convergere sul nome di Crosetto (114 preferenze, ma Fdi può contare su 60 voti) ha sostanzialmente sfarinato il fronte, svelato la capacità di leadership di Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia ha così decapitato in un sol colpo le ipotesi Casellati e Casini, rispetto alle quali il partito erede della destra An-Msi è contrarissimo.

Dalle 18 di ieri sera, Matteo Salvini arranca dunque per recuperare posizioni: di qui il tira e molla sul nome di Pier Ferdinando Casini, che ieri sembrava salire e oggi è stato di nuovo oggetto di un «no» da parte leghista. Resta ancora un punto interrogativo su Sabino Cassese, che ieri secondo il Foglio ha ricevuto la visita sondante di Matteo Salvini: puntuale la smentita, ma il nome a questo punto circola.

Nel centrosinistra in serata proprio l’ipotesi di convergere su Pier Ferdinando Casini si era fatta strada, dopo un mezzo assenso di Berlusconi, anche nel corso della riunione dei grandi elettori del Pd, dove Enrico Letta – pur favorevole a Draghi – si era applicato a una grammatica di morbida disponibilità verso quello che è il candidato avanzato non solo da Matteo Renzi, ma anche da Dario Franceschini. E sul quale è ben disposta anche una buona parte dei grillini (un partito, M5S, per il resto completamente balcanizzato tra le correnti).

Quello che pareva un inizio si è però schiantato con l’arrivo dell’alba. E, come in un estenuante girotondo, sono riemersi i nomi dell’inizio: Mario Draghi e Sergio Mattarella.