Analisi
Cosa deve fare adesso il Presidente della Repubblica
Spingere i partiti a rafforzare il Parlamento o a scegliere il presidenzialismo. E soprattutto a riformare il welfare perché sia all’altezza dei bisogni di giovani, donne e deboli, i veri sacrificati di questo Paese
Per quanto appassionante sia stato soprattutto per il genio nazionale il gioco del toto-presidente , per quanto la sua elezione sia un’irrinunciabile occasione per politici e opinionisti per dar sfoggio della propria intimità con gli arcana imperii e delle infinite risorse del politichese, il gioco in realtà è semplice e non potrebbe che svolgersi lungo binari obbligati. Mai come oggi è così: il Presidente dovrà per forza presentare alcuni requisiti pre-condizioni:
Uscire da questo identikit sarebbe, letteralmente, de-lirare - e, sia chiaro, grosso modo lo stesso vale per il Presidente del Consiglio. Sotto questo profilo, una linea assolutamente conservativa era forse augurabile. Con quale animo lo dica, forse si può immaginare - ma senza realismo fa strada solo la fantasia.
Stabiliti questi “principi”, può aver senso anche esprimere alcuni “desiderata” (quelle cose che vengono dalle stelle, sidera). I poteri del nostro Presidente sono vastissimi; non è presidenzialismo, ma nessun altro Presidente di Repubblica (o Sovrano) ne ha in Europa di così forti. E nel corso dell’ultimo trentennio si sono ingigantiti de facto, per la crisi radicale che ha investito partiti e culture politiche. Il futuro Presidente dovrebbe affermare con decisione che è tempo di porre mano al problema, di cercare di uscire da una navigazione a vista, puramente occasionale-emergenziale, tra riforme inventate e fallite, rattoppi e governi-Arlecchino.
Il Presidente svolge davvero il suo ruolo di custode della Costituzione se indica le riforme necessarie affinché della stessa Costituzione si possa salvare, nel salto d’epoca che attraversiamo, lo spirito progressivo. Un qualsiasi organismo si può custodire soltanto innovandolo in base alle sfide che vengono dall’ambiente. Non è più neppure decente tirare avanti senza decidere. O l’esperienza degli ultimi decenni si sviluppa in un senso coerentemente presidenzialistico, oppure si metta mano a una seria riforma del rapporto Parlamento-Governo, ridando al primo una piena rappresentatività, anzitutto attraverso una riforma elettorale in senso chiaramente maggioritario.
Il Presidente della Repubblica nei suoi atti concreti ha tutti i mezzi per promuovere l’uno o l’altro degli indirizzi, anche senza mai parlarne in modo esplicito. Ma egli dovrà richiamare le forze politiche alla loro responsabilità, come ha fatto soltanto il Presidente Napolitano nel momento della sua rielezione.
Il Presidente è il primo garante della stessa attività legislativa, promulga le leggi, emana i decreti e i regolamenti, autorizza la presentazione dei decreti del Governo. Altro che pura moral suasion. Egli potrebbe dunque frenare la pulsione normativistica, irrefrenabile nelle situazioni di emergenza, che è propria dell’attività parlamentare e di governo (e sintomo inequivocabile della sua debolezza); spingere per la semplificazione delle procedure burocratiche e per la formazione di testi unici in tutte le materie fondamentali per la vita economica; imporre finalmente di procedere a una reale, efficace spending review prima di autorizzare, in qualsiasi settore, ulteriori incrementi di spesa.
Su un piano politico più generale, credo sia giunto il momento, per un Presidente della Repubblica, di esprimersi anche sull’assetto regionalistico di questo Paese. Il custode della Costituzione dovrebbe interrogarsi se, per caso, proprio in questo campo, il suo spirito non sia stato particolarmente tradito. Che hanno a che fare catafalchi centralistici come le attuali Regioni, responsabili in minima parte per la riscossione delle risorse con cui svolgono le proprie funzioni, divise tra ordinarie e speciali, con l’idea di uno Stato che si regga su principi di partecipazione e sussidiarietà? Sono problemi scomparsi dall’agenda dei nostri ex-partiti, ma che sarebbe augurabile fossero ben presenti in quella del nostro Presidente.
La figura del Presidente ha certo anche una sua dimensione, per così dire, meta-politica, che può però avere effetti pratici più profondi di ogni sua diretta decisione. I simboli contano in politica - e spesso, ahimè, molto più i cattivi dei buoni. Quale bandiera deve essere quella del futuro Presidente in un Paese come il nostro, che si avvia ad affrontare il terzo anno di lockdown, blocchi, veti, discriminazioni (utili, inutili che siano)? Una bandiera che è una generazione in carne e ossa.
I giovani e le giovani sono da anni i sacrificati di questo Paese, e il covid-19 ha drammaticamente, e paradossalmente, poiché erano quelli che col covid-19 rischiavano meno di tutti, peggiorato la loro condizione. Alla disoccupazione record in Europa, ai redditi da fame, quando un reddito arriva, si sono aggiunte le chiusure della scuola, gli stop-and-go che sono ancora peggio (in questo abbiamo l’assoluto record mondiale), la perdita drammatica di spazi di confronto, l’immiserimento dei rapporti sociali (le conseguenze di questo “disagio”, come si usa dire eufemisticamente, lo conoscono bene psicologi e psichiatri).
Che il Presidente si rivolga loro, sia prima di tutto il loro Presidente. Il nostro Paese è tremendamente vecchio, e ciò è male - ma è malissimo che sia pure sempre più una gerontocrazia. Dica il nuovo Presidente a questi giovani e a queste giovani e alle donne senza adeguati servizi per i loro figli, costrette a salti mortali per combinare lavoro (le fortunate) e famiglia, dica loro che esigerà che le risorse del Paese vadano prioritariamente alla scuola, al diritto allo studio, alla ricerca, al welfare sociale. Cerchi in tutti i modi, signor Presidente, di ridurre l’abisso, altro che “distanza sociale”, che si è aperta tra le nuove generazioni e la politica di questo Paese, o alle elezioni del 2023 avremo le percentuali di votanti delle ultime supplettive romane.