L’orologio da camino in bronzo dorato, sormontato da una figura femminile con puttino e i due angioletti avviticchiati a un segnatempo a forma di uovo nella Galleria Deti; l’orologio da cavaliere in corno verde, opera dell’ebanista Lieutaud, nella sala degli Arazzi. E ancora, la pendola Marti del salotto giallo, dove gli ospiti di riguardo e le delegazioni vengono fatti accomodare – che trovata, che ironia – proprio tra il quadro raffigurante un’orgia e “Il diluvio” di Francesco Bassano (e benvenuti, allora).
Nei primi giorni a Palazzo Chigi, Mario Draghi, neo premier, si mostrava incredulo: aggirandosi per le stanze del governo, fino a un momento prima occupate da Giuseppe Conte, trovava questi magnifici orologi, tutti però invariabilmente fermi. «Ma sono rotti?», domandava perplesso. Forse pensando al nefasto simbolismo: un governo abituato ad agire in stanze fuori dal tempo (e, aggiungiamo: sarà mica per questo che Conte si riduceva sempre a tarda notte i Dpcm?). Un dettaglio che deve essere parso intollerabile a un premier chiamato a portare l’Italia nel Pnrr, a cogliere il momento, a non perdere tempo.
Via dunque gli orologi, inviati a riparare con massima discrezione per evitare i lài del «ki paga», in un tempo particolare: il tempo in cui Draghi minaccia Conte di dichiarare chiusa la maggioranza se non si allinea sulle spese militari e, dall’altra parte, il tempo delle nomine. L’ora dei boiardi di Stato.
Al primo piano di Palazzo Chigi si consulta il grande libro, si opera la Ricognizione delle Cariche degli Enti pubblici, salta fuori che ci sono ben 350 poltrone da (ri)occupare. Mentre Conte digrigna i denti, Stefano Patuanelli, a sorpresa, è diventato un falco in questi valzer, per conto del capo dei Cinque Stelle e non solo: in ballo, oltre a Snam, Italgas, Invitalia eccetera, c’è il vertice di Fincantieri, interessante per competenza territoriale (anche il ministro dell’Agricoltura fa base a Trieste); e per quanto i grillini nella poltronofilìa siano più rapaci che abili (soffrono l’assenza di un bacino da cui pescare), vi è comunque da ricollocare Fabrizio Palermo, l’ex ad di Cdp mandato a casa da Draghi in favore di Scannapieco.
L’altro giorno, con gran fanfara, Draghi si è recato in visita a Napoli e, in tour nei cunicoli di San Gaudioso al Rione Sanità, ha rimirato l’affresco di uno scheletro con ai piedi una clessidra, un libro, una corona e uno scettro. Quello che ispirò ’a Livella di Totò. «Conosco questa storia», ha esclamato il premier: «La cultura, la ricchezza e il potere non hanno senso con la morte, che rende tutti uguali». Niente scettro dunque, né clessidra: vale per l’aldilà, può valere anche per l’aldiqua. «Il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo», aveva osservato Draghi nel suo primo discorso al Senato, 17 febbraio 2021. Adesso le ore corrono veloci verso la fine del suo tempo, del governo, della legislatura, verso il 2023 in cui ci sarà una nuova tornata di nomine, le più importanti. Chissà se per allora le lancette di Palazzo Chigi saranno in funzione, al cospetto di quali occhi, per conto di chi. Il premier-orologiaio giura che non si tratterà di lui.